Maccartismo (Storia di ieri e farsa di oggi)


Los Angeles, 1947, Humphrey Bogart e Lauren Bacall guidano una manifestazione di attori, registi, sceneggiatori, maestranze, contro il Maccartismo, l’orrenda commissione/organizzazione criminale di Stato, che sta conducendo la caccia alle streghe contro chiunque sia sospettato di avere, ad Hollywood e Broadway, simpatie socialistoidi e comunistoidi. Attraverso metodi coercitivi e ricattatori, attraverso la fame e la disoccupazione, il pubblico ludibrio, il Senatore repubblicano McCarty e il suo terrifico ispiratore, l’oscuro e perverso direttore dell’FBI, Edgar G.Hoover, costrinsero molti artisti ad eseguire false denunce su colleghi e amici. Molti film non furono mai realizzati, artisti, registi e produttori arrestati e rovinati, centinaia di suicidi e di morti misteriose, con la partecipazione straordinaria di “cosa nostra” e mafia cubana.

I pochi artisti che si ribellarono, come Bogart e Bacall, ebbero vita assai difficile, tra ostracismo, contratti annullati e orrendi pettegolezzi di pubblico dominio.

La Storia non insegna nulla solo alle capre.

RICCHI E ACCATTONI, IL FUTURO COME RITORNO AL PASSATO. (di Carlo Anibaldi)


Quando il passato non passa, il futuro minaccia di essere solo un ritorno al passato, al pari di un carretto in cima alla salita: se il bove che lo tira muore, il carretto torna a valle.

Solo la morte è la vera livella sociale; quando tornano i barbari al governo di un popolo, essi corrompono i sindacati, aboliscono il welfare, inculcano che la povertà sia un castigo di Dio. Un Dio su misura dunque, dalla parte del successo, comunque ottenuto.

Ma vediamo da dove veniamo, vediamo da vicino cos’era quel passato, cui i nostalgici ci vorrebbero riportare a norma di legge.

A causa della crisi economica e sanitaria di questi anni ’20, le grandi città sembrano tornate al tempo del papa re, zeppe di elemosinieri in proprio, manco per conto del parroco. Fino al ’700 gli straccioni, i mendicanti, gli storpi, i pazzi, i malati, gli affamati, gli scheletri spolpati, erano organizzati in turbe, folle che sciamavano per le città europee dando loro un volto caratteristico, sporco, malato, vissuto fino all’indecenza e violento. Avevano un nome di fantasia quasi sempre pittoresco, bande e capibanda, un linguaggio segreto, fino a farsi strada il concetto: diseredato uguale ladro o assassino. La povertà come peccato, che insozzava solo ad averla vicino, lavacro dei sensi di colpa della borghesia nascente che dava loro la monetina per mondarsi a poco prezzo l’anima. Talmente la dava questa monetina, che molti derelitti avevano un gruzzolo nel materasso sozzo e puzzolente.

Particolarmente dopo le frequenti guerre per le pianure d’Europa, le città si riempivano poi di carne umana puzzolente, infetta, lurida. Ma nulla di questo fenomeno è a caso; l’alternativa era la morte per inedia, fame e malattie. Allora si arrivava a storpiarsi, ferirsi, sporcarsi, lacerarsi i vestiti, pur di sopravvivere suscitando i sensi di colpa e la paura, soprattutto, di chi aveva la ricchezza, che questi pezzenti mostravano loro come cosa precaria, non data a priori, ma casualmente; si rendevano spaventosi ad arte.

Nell’800 le cose cambiarono, complice del cambiamento le stragi che le malattie contagiose mietevano in queste affollate comunità di straccioni. Nacque la figura dell’accattone solitario e teatrale, meno vistoso come fenomeno, ma sempre mascherato da dimenticato da dio che tutt’oggi funziona alla grande, tanto che tornarono in Europa le organizzazioni in racket della miseria, che è sempre stato un buon affare. Non c’è governo o regime che possa eliminare l’accattonaggio, al pari della prostituzione, essendo parti costituenti della società. Le moderne città sono nate e si sono sviluppate su accattonaggio, prostituzione, miseria dei diseredati, sui loro tuguri putrescenti e le loro malattie invalidanti ed immiserenti. Non c’è modo di enucleare il neonato dall’adulto che si pensa divenuto, apparso, senza radici. Che cosa allora fa girare il mondo? Come siamo arrivati dallo scaldarci intorno al fuoco acceso in una grotta umida allo scrivere poesie? Solo grazie al nostro potente cervello e soprattutto grazie alla nostra immaginazione, esclusiva dell’uomo fra i viventi. Grazie ad essa è scongiurata la stagnazione di “inclinazioni” naturali, come quelle di cui abbiamo parlato qua sopra e che sono solo fenomeni di dimostrazione della stagnazione, che ritorna sempre, al pari di un cesso otturato che prima o poi ci riempirà di escrementi la casa.

CENTURION, ovvero qualche parola circa la cosiddetta “Invidia Sociale”


di Carlo Anibaldi2021

Un milionario apre una pizzeria in una strada alla moda a Roma e ci spiega la sua idea innovativa, vale a dire la sostanza è niente rispetto alla forma e che dunque curando “l’intorno” si può far pagare una pizza e birretta come fosse ostriche e champagne. I grandi quotidiani lo intervistano come avesse inventato la lampadina, ma in realtà l’industria del lusso esisteva già prima della sua nascita, con regole molto precise e codificate. Nulla di nuovo in realtà dunque, ma di grande impressione per larghi strati di semianalfabeti. Vediamolo da vicino il mondo che ci viene fatto credere come innovativo e per cui fioriscono interviste quasi quotidiane.

L’indice SALLI (Stonehage Affluent Luxury Living Index), cioè l’indice ISTAT degli straricchi, il “paniere” dei paperoni, segnala addirittura una controtendenza rispetto ai prezzi al consumo di noi comuni cittadini che lamentiamo aumenti di prezzi e tariffe. Vale a dire che in questi tempi di ‘crisi’ i generi considerati dal paniere SALLI scendono e diventano a ‘buon mercato’. Grazie alla costante diminuzione del costo della mano d’opera, è infatti ora possibile acquistare una camicia in cotone egiziano Turnbull & Asser per sole 315 sterline, o un profumo alla fragranza di gelsomino “X”, prodotta da Clive Christian a soli 600 euro a bottiglietta, salvo dover spendere 1900 euro per la confezione regalo in cristallo baccarat ornata da un piccolo brillante vero. Conveniente anche lo smalto per unghie Black Diamond, realizzato con 276 scagliette di diamante che finalmente si può trovare anche a 250mila dollari a flacone. E che dire degli orsacchiotti di peluche marca Hamleys praticamente regalati a sole 160 sterline?
Il capitolo vacanze di quell’1% di abitanti del mondo di cui stiamo facendo i conti in tasca è in buona tendenza a farsi economico. Scendono infatti i prezzi degli 8-10 alberghi a loro riservati nelle più importanti capitali mondiali, dove con prezzi dai 2000 ai 5000 dollari per notte il relax per i fine settimana è assicurato.
.Questo 1% di esseri umani ha il palato assai raffinato e non mangia per nutrirsi, che è cosa da mensa delle ferrovie, non danno importanza al cibo e lo usano per svago, per lo più in piatti molto grandi dove le pietanze occupano il 10% della superficie. I poveri ingrassano a botte di pizza al taglio e big burgher, ma loro hanno ben altri svaghi e allora godono di una linea perfetta e salutare, magari deliziandosi con poche cucchiaiate del famoso risotto milanese con sfoglia d’oro che un rinomato chef scodella a prezzi da gioielleria, visto l’uso di vera polvere d’oro in formulazione commestibile e brevettata…non sia mai gli rubano l’idea.

Contrariamente a quanto i benpensanti credono, coloro che invidiano questi signori dell’Olimpo non sono certo gli operai, gli insegnanti, i professionisti o gli artigiani e nemmeno i pensionati, ma quel milione e 200 mila ricchi sfondati che in Italia si sentono proletari per avere solo 5-8-10 milioni di euro di patrimonio e dunque col cavolo che gli danno la Centurion Black Amex con cui pendere una Ferrari con una strisciata. La corsa si fa allora sfrenata e senza regole, l’invidia causa malattie e tristezze infinite. Pur di mettere un piede nell’Olimpo dei ricchi veri questi sfigati colpiti dalla malasorte sono pronti a tutto: a fare contratti capestro ai loro operai, a delocalizzare in Bangladesh, a licenziare le donne incinta, a sparare cannonate sui barconi dei negri e soprattutto a vendersi l’anima.

Sono 30 anni che ci scassano le balle con la storia dell’ “invidia sociale” su ogni rivendicazione, ma si tratta di gente che non ha studiato niente di cui parla, ha solo tante “opinioni”. L’invidia NON è interclassista, ma insiste nella stessa classe. Il povero non invidia il ricco sfondato, il povero invidia il vicino col balcone, il condomino con l’attico, il collega con 100 euro di stipendio superiore. Esattamente come il ricco invidia chi è più ricco di lui e possiede una carta di credito senza limite di spesa.
La cosiddetta “invidia sociale” è una invenzione recente del liberismo, l’evoluzione carogna del capitalismo, ma c’è una vasta letteratura addirittura secolare che spiega che si tratta invece di “giustizia sociale”. Un anelito sacrosanto fin dalla rivoluzione francese. Siamo in piena Restaurazione, con un ritardo storico di due secoli esatti.
Si tratta di un fenomeno sociale tendente dunque alla restaurazione. Tanto è vero che i giornali non dicono dello sciopero generale del 16 dicembre scorso, ma dell’apertura di una pizzeria extralusso a Roma.
Chi ha un negozietto in centro, non odia Zara, ma la bancarella all’angolo. Sulla guerra fra poveri si fondano le grandi ricchezze, tutte.

Marcia su Kabul


di Carlo Anibaldi – Agosto 2021

I commentatori più attenti fanno notare che i talebani non sono di un esercito invasore, ma sono afghani e dunque tanti editoriali di questi giorni sono sbagliati. La cultura, o incultura, talebana è profondamente radicata in Afghanistan e con la marcia su Kabul ha mostrato di essere maggioritaria., tant’è che senza l’opposizione di eserciti stranieri, sono arrivati a Kabul senza quasi sparare un colpo. Le punte progressiste ora piangono e si disperano per questo evento che promette di riportare indietro di un secolo quelle terre, avendo forse ben compreso che la democrazia di uno Stato laico un popolo la deve conquistare e non può essere paracadutata. Tutto questo per dire che, al netto delle balle che ci raccontano i media dei Paesi che in Afghanistan, con le buone o con le cattive, ci hanno fatto affari laggiù, spendendoci vite e soldi, oggettivamente non potevano portare democrazia e laicità in quella Nazione.

In qualche modo questa situazione ricorda il nostro Ottobre 1922, quando la Marcia su Roma portò al potere per vent’anni i nostri talebani, che indubbiamente erano italiani sostenuti dal popolo italiano. Le punte progressiste della nazione piansero a lungo quell’evento, particolarmente i socialisti, le donne emancipate, molti intellettuali e gli ebrei. L’intervento di eserciti stranieri spazzò via il fascismo, ma non i fascisti, che sono infatti ancora intorno a noi, forse perchè radicati nella cultura, o incultura, di un popolo.

Archetipi e Identificazioni


di Carlo Anibaldi, 2021


Come esseri umani in generale e come soggetti politici in particolare, dobbiamo quotidianamente confrontarci con tentativi, non sempre limpidi, di farci subire la ‘fascinazione’ di alcuni individui che ambiscono ad acquisire potere su di noi. Ma attenzione, siamo all’interno di una ‘trappola psicologica’ vecchia come il mondo. Che possiamo però contrastare con lo sviluppo di sempre maggiori capacità analitico critiche. A livello individuale e di massa.


Politica e potere

Per cercare di capire di più circa questi meccanismi e difendercene, proviamo a servirci di alcuni elementi che conosciamo della natura umana e vedere se ci possono essere utili.
Il ‘segreto’ del successo, sia esso pubblico o privato, sembra attinente alla capacità di tenere in pugno,se così posso esprimermi, l’altro.
Un atto di questo tipo solo talvolta è volitivo, per lo più non è cosciente e si dispiega grazie a meccanismi noti. Non voglio qui soffermarci sui metodi ‘scoperti’ di conseguire potere sull’altro, vale a dire il ricatto, l’intimidazione e la violenza fisica. Appare più interessante sondare i meccanismi del potere reale, quello in grande stile, quello che nella vita privata e
in quella pubblica consente di conseguire vantaggi altrimenti insperati.
Per compiere questa esplorazione delle possibilità e comprenderne i meccanismi, dobbiamo fare un passo verso alcuni elementi base della psicologia del profondo e dunque all’origine del
‘funzionamento’, quel posto cioè dove si crea e, successivamente, dirige secondo regole infallibili, l’energia psichica.


Volontà e pulsioni


Il fatto incontestabile che la nostra mente abbia una straordinaria capacità di elaborazione delle informazioni, non dovrebbe trarci in inganno circa le effettive possibilità di conoscere la radice dei nostri atti di volontà, dunque le nostre scelte. Proviamo ad immaginare un edificio ben riscaldato ed illuminato. Nel viverci e lavorarci all’interno, la nostra percezione fisica ci fornisce dati molto affidabili circa lo stato di benessere o meno, ma questi dati che elaboriamo, temperatura sulla pelle e luminosità, sono solo il risultato dell’energia ‘spendibile’ e sulla base di quella ci facciamo opinioni circa la qualità della vita in quell’edificio.
In realtà il processo di ‘creazione’ di quel benessere o malessere percepito avviene altrove, nella centrale termica ed elettrica, secondo regole ai più sconosciute, di termostati, potenziometri, leggi della termodinamica e dell’elettronica sulla trasformazione dell’energia. Alla stessa maniera noi siamo portati a ritenere come atti volitivi le scelte determinanti della nostra vita, ma credo bisognerebbe soffermarsi sui momenti creativi e trasformativi di quell’energia. Dal punto di vista filogenetico la corteccia cerebrale, il luogo cioè dei nostri atti di volontà, è una struttura assai giovane e arrivata per ultima su strutture preesistenti, di grande efficienza, che ci hanno permesso di sopravvivere in un ambiente ostile e che sono state alla base di ulteriori evoluzioni. E allora, visto che non possiamo prescindere dal nostro cervello ‘antico’, cerchiamo di conoscere come funziona e come abbia un peso spesso determinante sulle scelte, le empatie, gli ‘innamoramenti’, gli atti eroici e quelli vili, e soprattutto come esso viene ogni giorno più o meno consciamente manipolato.


Potere e massa


Il potere sull’altro o addirittura su una moltitudine lo si ottiene solo assecondando un bisogno profondo e la chiave di questo potere è la conoscenza di quel bisogno. Qui non facciamo marketing e allora non ci interessa trovare il modo di vendere bene un detersivo, e nemmeno facciamo psicoanalisi per capire qualcosa di più sulla scelta sbagliata di un partner, ma più utilmente, almeno in senso sociale, cerchiamo di sapere di più sulla scelta di Un mafioso e un delinquente in generale si esprime in termini simili: «quell’uomo o quel gruppo lo tengo per il collo», esprimendo in questo modo un potere coercitivo, tendente a soggiogare con metodi ricattatori in senso lato, anche violento. Un leader, politico o altro, si potrebbe invece esprimere così: «quell’uomo, quel gruppo, quella moltitudine li tengo per l’archetipo».
Gli archetipi sono strutture che è riduttivo chiamare ‘intelligenti’ poiché prescindono dall’intelligenza e appartengono alla ‘memoria’ di specie, umana in questo caso; possono essere considerati come dei contenitori delle esperienze fondamentali dell’umanità che lì si sono depositate e che sono patrimonio di ogni essere umano, indipendentemente dalla latitudine e dal grado di civilizzazione. In questi contenitori ci sono figure (archetipiche)
che appartengono a tutte le mitologie, a tutte le leggende e a tutte le religioni.
Sono storie tramandate nei millenni da popoli ai quattro angoli del pianeta che nulla avevano in comune e nulla potevano scambiarsi a livello di conoscenze e riguardano invariabilmente comportamenti e modi di essere tipici della specie. Ovunque sono descritti gli Eroi, i Vili, i Salvatori, le Grandi Madri, i Vecchi Saggi, il Puer Eterno, il Satiro, il Condottiero, il Demonio,
l’Angelo, la Vergine, la Meretrice.


Fascinazioni pericolose


Per brevità non aprirò ora un altro capitolo, peraltro davvero interessante, circa l’affermazione di alcuni studiosi che ci dicono che ciò che sospinge la vita di ognuno di noi è inconsciamente la realizzazione di un archetipo e dunque ci troviamo circondati da Grandi Madri, da Condottieri, da Salvatori, da eterni Puer e così via e ci daremo pace solo quando avremo individuato l’archetipo che inconsciamente sospinge noi stessi e la nostra vita.
Tornando al potere dell’uomo sull’uomo, alla luce di questi ragionamenti, che invero i ricercatori hanno messo in campo da quasi un secolo, appare di una certa evidenza il fatto che alla base delle fascinazioni di massa e non solo, ci sia il più o meno cosciente “travestimento” da archetipo. Un politico che, nonostante la giacca e la cravatta, riesca a mettersi i ‘panni’ di El Cid, di Cromwell o del Cristo, ha grandi possibilità di affascinare le masse, di convogliare insomma su di sè la straordinaria energia connessa ad un archetipo fra i più antichi e potenti fra quelli affondati nell’inconscio di tutti noi, quello del Salvatore, appunto.


Omologazione ed emancipazione


Se costui, politico, militare o religioso che sia, riesce nell’impresa di animare nel nostro inconscio un potente archetipo di specie, ad esempio il Salvatore, il Vecchio Saggio o il Condottiero, ebbene siamo molto al di là della propaganda, siamo nella fascinazione assoluta ed irrazionale e allora può prendersi le masse. Auguriamoci a fin di bene.
La storia ci porta esempi clamorosi di personaggi che hanno acceso nelle masse la forza di archetipi antichi quanto il mondo, che ritroviamo anche nei graffiti di caverne paleolitiche, ed assai poco mutati se non nella forma esteriore, nella Storia e nella cronaca anche contemporanea. Penso a Churchill, a Hitler, Stalin, Peron e Mussolini, ma anche ai piccoli capopopolo della scena politica odierna.


Qui chiudo poiché quanto volevo evidenziare è ora palese: il potere di attrazione di un leader è tanto maggiore quanto più il nostro senso critico è povero o impoverito, in definitiva quanto
più la nostra capacità di far funzionare coscienza e cervello evoluto soggiace alla potenza del cervello arcaico, preda di fascinazioni archetipiche con cui vestiamo personaggi mediocri.

La Cancel Culture Vs l’incultura


Enrico Mentana: “La cancel culture come i roghi dei libri scomodi del nazismo”.

Non sono d’accordo. Innanzitutto perchè la “cancel culture”, cioè l’inversione della possibilità data da sempre al potere di cancellare, ridurre al silenzio, coloro che potere non ne hanno, è nata negli USA ad opera della comunità afro-americana, che dimostrò che non era necessario avere il potere per imporre una cultura, ma che dal basso, stavolta, vale a dire come individuo, era possibile “scegliere”, questione sempre negata alle persone di basso reddito, di scarsa o nulla influenza nelle decisioni che pur li riguardano.

Vennero poi i Social e il moltiplicarsi dell’offerta delle televisioni. La possibilità di scegliere chi possa avere influenza culturale su di noi si è allargata a macchia d’olio. Ora si può scegliere di negare un “mi piace” ed anche bannare dalla nostra quotidianità persone, giornalisti ed esponenti politici che esprimano convincimenti, opinioni, e in definitiva propaganda, lontane dalla nostra visione del mondo. Persone che portano idee lontane dalla nostra Weltanschauung, direbbero i tedeschi, per meglio esprimere con una sola parola che alcune persone e/o personaggi ci appaiono come provenienti da altre terre, da altre radicate culture che non sono la nostra.

Bene, si direbbe dunque che la “Cancel Culture” sia un grande passo verso la democrazia, intesa come libertà interiore di scelta. Purtroppo in Italia accade che di ogni vagito di democrazia reale si impossessi la destra per farne una mazza per stravolgerne il senso e in definitiva per reprimerlo. La libertà del singolo di potersi scegliere il modello culturale cui aderire è infatti l’antitesi del pensiero di destra, particolarmente in Italia, dove la destra sbandiera la parola “libertà” ma che di fatto questa libertà è sempre contro qualcuno.

Ecco allora che i grandi gruppi di potere hanno in odio il fatto che chiunque con un semplice telecomando in mano abbia la possibilità di cancellare palinsesti abilmente architettati per “plasmare” la pubblica opinione a loro vantaggio; ecco che giornalisti mediocri, che avevano visto nella possibilità di scrivere su un giornale a tiratura nazionale o parlare da un microfono in TV l’agognata chance di parlare al mondo, frustrati dai mancati “mi piace” o perfino da un “grrr” o un ban, insorgere contro la “Cancel Culture”, additata come ‘barbarie’ nazistoide. Quasi che davvero cancellare le loro facce dalla TV o i loro mediocri scritti dai social possa assimilarsi al bruciare i libri di Bertold Brecht o di Sigmund Freud. Li abbiamo visti recentemente condannare la cultura dal basso, nell’esecrare l’abbattimento di statue dedicate a personaggi sanguinari o ignobili ed anche dileggiare un popolare rapper per aver osato sbeffeggiare una casta di potere che di fatto privatizza pure i servizi pubblici. Li vediamo ogni giorno in atteggiamenti scomposti nel loro macinare odio contro la cultura dal basso a detrimento di quella dei loro padroni …con un semplice click. Il colmo! (Carlo Anibaldi – maggio 2021)

Processo alla Resistenza


di Carlo Anibaldi

Si avvicina il 25 Aprile – Oramai siamo al punto che i telegiornali ed i talk show per l’occasione daranno la parola anche ai neofascisti, per farne una ricorrenza “non divisiva”. Chissà che ne penserebbero i morti per la liberazione dal nazifascismo. I caduti per la Resistenza italiana (in combattimento o uccisi a seguito della cattura) sono stati complessivamente circa 45 000; altri 20 000 sono rimasti mutilati o invalidi; i soldati regolari morti nelle formazioni che combatterono accanto agli Alleati nella Campagna d’Italia furono invece circa 3.000.Le donne partigiane combattenti sarebbero state 35.000, mentre 70.000 fecero parte dei Gruppi di difesa della donna; 4.653 di loro furono arrestate e torturate. 2.750 furono deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate; 1.070 caddero in combattimento; 19 vennero decorate con la medaglia d’oro al valor militare. I tempi sono cambiati al punto che si vorrebbero decorare al Valor Militare anche gli alleati dei nazisti? Siamo fuori dalla Storia e anche fuori di testa oramai.

Alienazione da ipersocializzazione


di Carlo Anibaldi

Salvo coloro che hanno fatto dei Social il loro business e quindi emotivamente impermeabili ad ogni altra questione che non riguardi la propria visibilità, per tutti gli altri l’iper-stimolazione dovuta a miriadi di notizie vere o false rimbalzate sulla nostra home, opinioni rispettabili e infami, persone degne e psicopatologie a briglia sciolta, il tutto mescolato senza filtri possibili, come siamo abituati nel mondo fenomenico (nei social è in ogni momento possibile che un idiota in mutande, dalla sua cameretta irrompa sulla tua bacheca a richiedere attenzione e tempo), ebbene tutto questo rischia di essere superiore alla nostra possibilità di fronteggiare contenuti che superino il contenitore. Viene spontaneo di pensare che chi non ce la fa può tornare alle 4 telefonate pomeridiane agli amici, ma una exit strategy così semplice non esiste. Non può esistere poichè la comunicazione digitale ha abituato il nostro cervello a ritmi e quantità di sollecitazioni tali che venti anni fa avremmo giudicato da manicomio, per poi diventare la norma. Un po’ come pensare con aria di nulla di tornare a godersi una commedia di Pirandello dopo anni di action movie americani.

In pratica siamo intrappolati dentro le scopo dei Social, che non è quello di una sana socializzazione ma di inebetirci al punto di divenire buoni clienti divoratori di pubblicità e messaggi subliminali. Quello descritto non è un vero problema per i ventenni, poichè loro credono che i ritmi siano questi e si adattano, il problema è per coloro che hanno conosciuto altri ritmi e difficilmente si adattano, più facile che si alienino.

Il popolo di Pasquino (di Carlo Anibaldi)


Ogni volta che muore un grande autore TV in Italia, se ne tessono le lodi, meritate, per la sagace ironia che ci ha allietato ed arricchito lungo generazioni. Si dice, a ragione, che gli italiani hanno il gusto dell’ironia ed in varia misura tutti ne sono forniti, fino a formulare massime di vita come “L’ironia salverà il mondo” o “Una risata li seppellirà”.

Guardando il fenomeno più da vicino osserviamo che quella dell’ironia è una caratteristica che hanno sviluppato di più e meglio quei popoli per secoli soggiogati da dominazioni straniere o da un potere temporale assoluto, dunque in particolare l’Italia, dove fino al 1870 in gran parte era sconosciuto quel Parlamento che in altri Paesi d’Europa e oltreoceano era da oltre due secoli un dato di fatto, seppure con diverse caratteristiche di potere effettivo.

Ecco allora che l’ironia, passata di bocca in bocca perlopiù in forma anonima, era il solo riscatto possibile del popolo, minuto derivante dal non avere voce e rappresentanza. In definitiva non si tratta di una qualità di quelle di cui essere troppo orgogliosi, somigliando piuttosto alla “rivolta del verme”.

27 Gennaio 1945 – La liberazione di Auschwitz raccontata dai soldati sovietici, testimoni oculari dei fatti


I prigionieri di Auschwitz furono liberati da quattro divisioni di fanteria dell’Armata Rossa. Nella prima linea offensiva avanzarono i soldati della 107esima divisione. Nell’ultima servì il maggiore Anatolij Shapiro, il cui corpo d’assalto è stato il primo a varcare la soglia di Auschwitz. Lui stesso ricorda: “Nella seconda metà della giornata siamo entrati nella zona della lager passando per i cancelli principali sui quali era affisso il motto avvolto con filo metallico:” Il lavoro rende liberi”. Accedere nelle baracche senza una benda per coprire la bocca e Il naso era impossibile. I letti a castello erano disseminati di cadaveri. Scheletri semivivi a volte emergevano da sotto i letti e giuravano di non essere ebrei. Nessuno osava credere ad una possibile liberazione. ” Il tenente generale Vasily Petrenko, comandante della 107a divisione di fanteria nel 1945, raggiunse il campo di concentramento subito dopo Shapiro. Nelle memorie “Prima e dopo Auschwitz” descrive ciò che ha visto: “I tedeschi il 18 gennaio hanno buttato fuori tutti quelli che potevano ancora camminare. Tutti gli altri, deboli, malati, li hanno lasciati. Alcuni degli altri che potevano ancora muoversi sono fuggiti quando il nostro esercito si è avvicinato al campo di concentramento. I nostri uomini hanno inviato i battaglioni medici della 108esima e 322esima e della mia divisione, la 107esima nell’area del del campo. I battaglioni medico e sanitario di queste tre divisioni furono distribuiti prontamente secondo l’ordine ricevuto. Anche il cibo fu organizzato dalle divisioni stesse. Furono inviate cucine da campo “. Anche il comandante del battaglione Vasili Gromadskij fu uno dei primi a entrare nel “lager della morte”: “C’erano cancelli chiusi, non ricordo se era l’ingresso principale o qualcos’altro. Ho ordinato di sfondare i lucchetti . Non c’era nessuno. Abbiamo camminato per circa duecento metri ei prigionieri sono corsi verso di noi, 300 persone con camicie a strisce . Siamo stati in allerta, sapevamo che i tedeschi si travestivano. Ma poi erano solo prigionieri. Hanno pianto, ci hanno abbracciato. Hanno raccontato come milioni di persone erano state annientate lì. Ricordo ancora quando ci hanno detto da Auschwitz avevano inviato 12 vagoni di sole carrozzine per bambini “. Il tenente maggiore della mitraglieri della 322a divisione di fanteria Ivan Martynushkin aveva 21 anni. Ricorda che fino all’ultimo momento non sapeva di essere stato incaricato di sgombrare il campo di concentramento. “Io e il mio reggimento ci siamo avvicinati all’ingresso quando era già buio, quindi non siamo entrati nell’area del campo di concentramento ma ci siamo posti in posizione di guardia ai suoi confini. Ricordo che lì faceva molto caldo, abbiamo anche pensato che il I tedeschi avevano costruito una casa calda e noi eravamo arrivati ​​subito a casa. Il giorno dopo iniziarono le pulizie. C’era un enorme villaggio, Bzezinka, con solide case di mattoni. Quando abbiamo iniziato a muoverci in quella direzione, ci hanno sparato da qualche edificio. Ci siamo nascosti a terra e abbiamo contattato il comando: abbiamo chiesto il consenso per colpire l’edificio con l’artiglieria, per abbatterlo, per poter continuare l’avanzata. Ma dall’altra parte ci hanno improvvisamente detto che l’artiglieria non poteva entrare in azione, perché quell’edificio era un lager e c’erano persone nel lager e quindi dovevamo evitare qualsiasi tipo di sparatoria. Solo allora ci siamo resi conto di che recinzione fosse “. Al seguito dei militari,i corrispondenti di guerra della 38a divisione Usher Margulis e Gennadij Savin entrarono nel campo di concentramento. Le loro testimonianze: “Siamo entrati nell’edificio in mattoni e sbirciato nelle stanze, le porte non erano chiuse. Nella prima stanza c’erano pile di vestiti per bambini: pantaloni, maglioni. Molti con macchie di sangue. In un’altra stanza c’erano scatole piene di corone ed impianti dentali d’oro. In un terzo, c’erano pile di capelli tagliati. Infine una donna (una prigioniera nel campo di concentramento ) ci ha portato in una stanza piena di lussuose borse da donna, abajour, carte, portamonete e altri oggetti in pelle. Ci ha detto: “tutto questo è fatto di pelle umana”. Dopo la liberazione per il controllo della città, viene eletto un nuovo comandante, Grigorij Elisavetinskij, che il 4 febbraio 1945 racconta in una lettera alla moglie: “Nel campo di concentramento ci sono molte baracche per bambini. Là hanno portato bambini ebrei di diverse età (gemelli). Su di loro, come sui conigli, hanno fatto diversi esperimenti. Ho visto come un ragazzo di 14 anni hanno iniettato cherosene per qualche scopo “scientifico”. Poi hanno tagliato un pezzo del suo corpo per inviarlo a un laboratorio a Berlino. Un altro pezzo del corpo è stato attaccato a lui. Ora il ragazzo è in ospedale tutto coperto di piaghe profonde e putrescenti. Per il lager, una ragazza carina e giovane va avanti e indietro. Sono stupito di quanto siano pazze queste persone. ” Nel frattempo, tra i liberati, quelli che sono riusciti a riprendersi e sono fuggiti hanno lasciato Auschwitz autonomamente. Il prigioniero № 74233 lo testimonia: “Il 5 febbraio ci siamo spostati verso Cracovia. Lungo il percorso, da una parte, si susseguivano gigantesche fabbriche, costruite da prigionieri morti da tempo a seguito dell’estenuante lavoro. Dall’altra, c’era un’altra grande lager. Siamo entrati e trovato dei malati, i quali proprio come noi, solo perché sono riusciti a sopravvivere, non erano partiti con i tedeschi il 18 gennaio. Da lì siamo proseguiti oltre. Per molto più tempo, lungo il nostro cammino, i cavi elettrici si sono srotolati sui pilastri di pietra così a noi noti, simboli di schiavitù e morte. Ci sembrava che non saremmo mai stati in grado di uscire dal campo. Finalmente lo abbiamo percorso completamente e abbiamo raggiunto il villaggio di Vlosenjushchô. Lì abbiamo trascorso la notte e il giorno successivo, il 6 febbraio , siamo andati oltre. Una macchina ci è venuta a prendere per strada e ci ha portati a Cracovia. Siamo liberi, ma ancora non possiamo godercela. Troppo è quello che abbiamo vissuto e troppe persone abbiamo perso “.

Capitalismo Vs Liberismo


“L’operaio conosce 100 parole, il padrone 1000, per questo lui è il padrone”. (don Lorenzo Milani)

Queste parole di don Milani, scritte fra gli anni ’50 e ’60 ci fanno ben intendere la differenza fra il capitalismo di allora e il liberismo di oggi. Il capitalismo, quello de “il tempo è denaro” per intenderci, quello de “se io mi strafogo tu mangi sennò crepi”, aveva regole economiche e santuari culturali, e allora, a seconda che lo si volesse combattere oppure perseguire per farne parte, la strada era segnata: o la lotta di classe da una parte, o l’emancipazione dall’altra, per saltare di classe. Il capitalismo fu una creazione inglese e nacque insieme alla seconda Rivoluzione Industriale ed ai sindacati. Il liberismo invece è di importazione americana, ne ricalca infatti l’impronta meno raffinata e di frontiera di un Paese che intende la ‘democrazia’ come cosa per uso interno e non sostanziale ed il patriottismo come nevrosi ossessiva, caratteristiche tipiche di una nazione che ha trascorso solo 18 anni su 245 dalla fondazione in completa pace. La caratteristica del liberismo è l’abbattimento delle regole (deregulation) che investe ogni ambito. Il lavoro non è necessario a creare ricchezza, i soldi si possono fare coi soldi e la compravendita di influenze. Nemmeno la cultura, che nell’era digitale è sostituita dall’informazione, ha importanza nella scalata sociale come lo era fino agli anni ’70. Le tradizioni e la religioni sono pastoie poichè zeppe di regole. Il credo liberista si fonda sul ‘successo’ in qualunque modo ottenuto. Ecco allora che i pilastri classici di ogni società, sia capitalista che socialista, quali l’onestà e la lealtà e la figura archetipica del “buon padre di famiglia”, diventano ostacoli al successo, unico Dio ed unico obbiettivo. Il liberista non ha tradizioni, non ha cultura, non ha religione, non ha ideali, non ha regole, non ha etica. Per noi che siamo nati e cresciuti fra gli anni ’50 e ’70 il liberismo ci appare un mostro con le gambe corte e le braccia lunghe, non deve infatti correre ma arraffare, ma per le nuove generazioni il successo, realizzato o più spesso solo immaginato, è tutto quanto c’è da considerare

Meno Alighieri più Calamandrei


Il discorso completo ai giovani fu pronunciato da Piero Calamandrei nel salone degli Affreschi della Società Umanitaria il 26 gennaio 1955 in occasione dell’inaugurazione di un ciclo di sette conferenze sulla Costituzione italiana organizzato da un gruppo di studenti universitari e medi per illustrare in modo accessibile a tutti i principi morali e giuridici che stanno a fondamento della nostra vita associativa.
L’art.34 dice:” I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Eh! E se non hanno i mezzi? Allora nella nostra costituzione c’è un articolo che è il più importante di tutta la costituzione, il più impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi. Dice così:
”E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
E’ compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’art. primo- “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro “- corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società.
E allora voi capite da questo che la nostra costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi!
E‘ stato detto giustamente che le costituzioni sono anche delle polemiche, che negli articoli delle costituzioni c’è sempre anche se dissimulata dalla formulazione fredda delle disposizioni, una polemica. Questa polemica, di solito è una polemica contro il passato, contro il passato recente, contro il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime.
Se voi leggete la parte della costituzione che si riferisce ai rapporti civili politici, ai diritti di libertà, voi sentirete continuamente la polemica contro quella che era la situazione prima della Repubblica, quando tutte queste libertà, che oggi sono elencate e riaffermate solennemente, erano sistematicamente disconosciute. Quindi, polemica nella parte dei diritti dell’uomo e del cittadino contro il passato.
Ma c’è una parte della nostra costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società presente. Perché quando l’art. 3 vi dice: “ E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” riconosce che questi ostacoli oggi vi sono di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani.
Ma non è una costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo, è una costituzione che apre le vie verso l’avvenire. Non voglio dire rivoluzionaria, perché per rivoluzione nel linguaggio comune s’intende qualche cosa che sovverte violentemente, ma è una costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa società n cui può accadere che, anche quando ci sono, le libertà giuridiche e politiche siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche dalla impossibilità per molti cittadini di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anche essa contribuire al progresso della società. Quindi, polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente.
Però, vedete, la costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La
costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni
giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo politico che è -non qui, per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghe categorie di giovani- una malattia dei giovani.
”La politica è una brutta cosa”, “che me ne importa della politica”: quando sento fare questo
discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina,, che qualcheduno di voi conoscerà, di quei due emigranti, due contadini, che traversavano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime e il piroscafo oscillava: E allora questo contadino impaurito domanda a un marinaio: “Ma siamo in pericolo?”, e questo dice: “Se continua questo mare, il bastimento fra mezz’ora affonda”. Allora lui corre nella stiva svegliare il compagno e dice: “Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare, il bastimento fra mezz’ora affonda!”. Quello dice: ” Che me ne importa, non è mica mio!”. Questo è l’indifferentisno alla politica.
E’ così bello, è così comodo: la libertà c’è. Si vive in regime di libertà, c’è altre cose da fare che interessarsi alla politica. E lo so anch’io! Il mondo è così bello, ci sono tante cose belle da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica. La politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.
La costituzione, vedete, è l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista letterario non sono belli, ma è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento. E’ la carta della propria libertà, la carta per ciascuno di noi della propria dignità di uomo.
Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del fascismo, il 2 giugno 1946, questo popolo che da venticinque anni non aveva goduto le libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare dopo un periodo di orrori- il caos, la guerra civile, le lotte le guerre, gli incendi. Ricordo- io ero a Firenze, lo stesso è capitato qui- queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni, disciplinata e lieta perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità, questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio paese, del nostro paese, della nostra patria, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese.
Quindi, voi giovani alla costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto- questa è una delle gioie della vita- rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in più, che siamo parte di un tutto, nei limiti dell’Italia e nel mondo.
Ora vedete- io ho poco altro da dirvi-, in questa costituzione, di cui sentirete fare il commento nelle prossime conferenze, c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato. Tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie son tutti sfociati in questi articoli. E a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane.
Quando io leggo nell’art. 2, ”l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale”, o quando leggo, nell’art. 11, “l’Italia ripudia la guerra come strumento di
offesa alla libertà degli altri popoli”, la patria italiana in mezzo alle alte patrie, dico: ma questo è Mazzini; o quando io leggo, nell’art. 8, “tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”, ma questo è Cavour; quando io leggo, nell’art. 5, “la Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali”, ma questo è Cattaneo; o quando, nell’art. 52, io leggo, a proposito delle forze armate, ”l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica” esercito di popolo, ma questo è Garibaldi; e quando leggo, all’art. 27, “non è ammessa la pena di morte”, ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria. Grandi voci lontane, grandi nomi lontani.
Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa costituzione! Dietro a ogni articolo di questa costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta.
Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti.
Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle
montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono
impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione.

Paul Grüninger, un eroe poco conosciuto


Guardia svizzera frontaliere falsificò 3600 passaporti fra il ‘38 e il ‘39, salvando in questo modo altrettanti ebrei dell’Olocausto.
Paul Grüninger è uno degli eroi sconosciuti più stimolanti della seconda guerra mondiale. In qualità di comandante del confine svizzero, ha sfidato i suoi superiori e ha aiutato migliaia di rifugiati ebrei ad entrare nella Svizzera neutrale.
Ma il paese d’origine di Grüninger non lo ha celebrato come un eroe durante la sua vita. Invece, hanno punito le sue buone azioni ponendo fine alla sua carriera e etichettandolo come un criminale, il che ha reso quasi impossibile per Grüninger trovare lavoro.
Ma non si è mai pentito delle sue azioni. Guardando indietro, Grüninger ha riflettuto: “Si trattava fondamentalmente di salvare vite umane minacciate di morte. Come potrei quindi prendere seriamente in considerazione schemi e calcoli burocratici “.
Morì in povertà nel 1972, sconosciuto ai più, ma mai dimenticato dai 3.600 ebrei cui salvò la vita.

Simone Segouin, partigiana


Ieri e Oggi

A fronte dei tanti indifferenti, dei delatori e dei collaborazionisti fascisti, anche in Francia come in Italia si contano parecchi piccoli grandi eroi che istintivamente giudicarono inaccettabile avere tedeschi in armi padroni a casa propria.Una di questi è stata Simone Segouin, per lo più conosciuta con il suo nome in codice, Nicole Minet, aveva solo 18 anni quando i tedeschi invasero la Francia. Il suo primo atto di ribellione fu quello di rubare una bicicletta a un’amministrazione militare tedesca, e di tagliare le gomme di tutte le auto e moto in modo che non potessero inseguirla. Ha trovato un gruppo della Resistenza e si è unita alla lotta, utilizzando la bici rubata per portare messaggi tra gruppi di Resistenza.

Imparava molto velocemente ed è diventata rapidamente un’esperta di tattiche ed esplosivi. Ha guidato squadre di combattenti della Resistenza per catturare truppe tedesche, mettere trappole e sabotare l’equipaggiamento tedesco. Man mano che la guerra continuava, le sue gesta si svilupparono fino a far deragliare i treni tedeschi, bloccando le strade, facendo saltare i ponti e contribuendo a creare un percorso libero per aiutare le forze alleate a riprendere la Francia dall’interno. Non è mai stata beccata.Segouin era presente alla liberazione di Chartres il 23 agosto 1944, e poi alla liberazione di Parigi due giorni dopo. È stata promossa tenente e ha avute assegnate diverse medaglie, tra cui la Croix de Guerre. Dopo la guerra, ha studiato medicina ed è diventata infermiera pediatrica. Continua ad andare forte e questo ottobre 2021 compirà 96 anni.

PERCHE’ IL BUFALO SOFFRE MENTRE MUORE?


di Carlo Anibaldi

Cerco di rispondere a coloro che affermano che la Natura è imperfetta, visto che ci fa vivere, invecchiare e morire spesso con sofferenza, del corpo e/o della mente.
Per chi non avesse familiarità con le teorie darwiniane circa l’evoluzione, è utile pensare al bufalo, che muore fra indicibili sofferenze. Il leone lo sa che per uccidere una gazzella è sufficiente una stretta forte sul collo, e sa anche che il bufalo è grande e forte e solo una schioppettata lo può uccidere, e dunque se lo mangia vivo intanto che altri lo immobilizzano. Questo fatto crudele ci fa capire che la Natura non ha interesse alla sofferenza ma solo alla sopravvivenza della specie. L’ “intelligenza” della Natura ha questo solo fine: far crescere il bufalo forte affinché possa procreare, poi se ne disinteressa. E’ lo stesso principio per cui non ha provvisto la coda del leone di campanelli per avvisare le prede, poichè l’interesse della Natura è che il leone si nutra a sufficienza per procreare.
Per quanto riguarda l’essere umano la questione non è diversa, una volta che ha procreato la Natura se ne disinteressa, poichè la sua sofferenza o il suo benessere e pure una “buona morte” non riguarda la sopravvivenza della specie.
Ogni altra osservazione riguarda la filosofia, l’etica e la religione, tutte questioni verso cui la Natura è indifferente.

MA QUALE VOLTAIRE!


“Non sono d’accordo con quello che dici ma darei la vita affinché tu possa dirlo”.

Cominciamo col chiarire che questa famosa frase NON è di Voltaire, ma della scrittrice Evelyn Beatrice Hall, che la utilizzò nel suo libro ‘The Friends of Voltaire’ del 1906 e che fino alla morte la rivendicò come sua.

Al di là di questo aneddoto meglio aggiungere che questa frase è stata nel tempo usata come foglia di fico per ogni aspirante alla notorietà attraverso la “bastiancontrarietà”, che per alcuni è una professione. Il significato reale di questo bell’insieme di parole, è divenuto un marchio di fabbrica per chi, puntualmente, dimostra di avere torto. Col risultato oggi più che mai evidente, che alcuni abomini culturalmente e scientificamente inaccettabili hanno trovato spazio. Dunque non diamo retta a quei ciarlatani che darebbero la parola anche alla brutta anima di Pacciani pur di emergere dall’anonimato, magari in nome di Voltaire, per quella frase mai pronunciata.

Le conseguenze di questo pensiero debole sono catastrofiche. Ecco che i pregiudicati aspirano a posizioni apicali in politica, come pure gli affabulatori, quelli che solo un secolo fa vendevano pozioni ‘miracolose’ nei mercati contadini, oggi siedono in Parlamento. Dare la vita affinché tutti possano esprimere opinioni di minoranza è un pensiero illuminista che trovò ragione in quell’epoca, ma che oggi ha assunto il solo scopo di elevare ad opinione anche l’ignoranza, la violenza e la disonestà. il periodo illuminista fu la reazione ad un lungo periodo oscurantista, dove la politica, la scienza, la società e la cultura erano soggette, anzi soggiogate, e non centrali. Oggi quella frase non ha più senso.

“Parlare alla pancia”


Perché si dice “parlare di pancia”…”parlare alle pance”? Perché fin dall’antichità è noto che l’addome ha un suo sistema nervoso autonomo, capace di orientare scelte e azioni. La fame ad esempio spinge le persone a dar l’assalto ai mulini a rischio della vita, la paura e il desiderio possono alla stessa maniera escludere il cervello.
Eccoci al punto: ciascuno di noi può diventare “popolo bue” o “gregge” se coi leader si stabilisce un dialogo fra pance. Questo fenomeno è oggi molto evidente grazie ai Social, perchè sui Social le pance hanno diritto di penna, non serve neanche più imbracciare forconi, dar l’assalto ai forni o alla Bastiglia, le persone possono essere orientate in massa.
Ecco allora che un fatto di cronaca è capace di cancellare due millenni di diritto e giurisprudenza, ecco che il principio che ciascuno è innocente fino a prova contraria diventa barzelletta, ecco che aggravanti e attenuanti diventano orpelli…e così via, fino ad impiccare al ramo più alto anche lo scemo del villaggio. La pancia infatti non ha figli o genitori, non pretende giustizia, la pancia dialoga solo col suo culo.

THE CROSS OF CHANGES (di Carlo Anibaldi)


Al pari degli innamorati…esempio che torna sempre buono poichè essi vivono sulle soglie del conosciuto… al pari degli innamorati dicevo, dovremmo dare per scontato che siamo tutti in interconnessione come i neuroni dentro ad un cervello…e allora la sinergia di microenergie va a formare un “sistema” . Il mondo è cambiato cento volte in questo modo sino ad ora…e così sarà in futuro, ma non è per domani o dopodomani, il tempo non è misurato sulle necessità dei singoli, ma sul determinarsi di un punto critico, chiamiamolo pure “punto del Caos”, oltre il quale tutto è in mano “nostra” …inteso come sistema pronto al balzo e dunque pronto a muoversi come un sol uomo. [C.A.]

Il solo junghiano è Jung, ma… (di Carlo Anibaldi)


IMG_20150611_164341Il solo junghiano è Jung, come lui stesso ci ricorda. Chiarito questo, come professionisti o ricercatori, o come semplici esseri umani in cammino, molti di noi condividono con lui la Weltanschauung, quella speciale visione del mondo che dà un senso alla vita terrena, senza sprecarla. Personalmente credo che la vita terrena sia ben spesa se prepara alla morte del corpo come passaggio. Diversamente, se il trapasso, e anzi l’idea stessa del trapasso, chiude l’orizzonte, allora tutto è vano per gli esseri umani. Una lucertola, un gufo o un cane, può dire “mi mangio tutto quello che c’è in tavola, ne godo e poi amen”, ma a noi il cervello critico e non solo istintuale ci è stato dato, in senso evolutivo, per andare oltre la dualità vita/non vita, questione prettamente legata all’invecchiamento delle cellule e morte dei sistemi. Forse considerando NON i miliardi di corpi che si sono avvicendati e si avvicendano sul pianeta, ma UN unico essere, costituito da quello che questi miliardi di corpi hanno creato e immaginato, allora ecco che abbiamo raggiunto l’immortalità. Smettendo di pensarci unici, originali ed irripetibili come lo è in effetti il nostro corpo, non moriremo con lui…e saremo parte dell’Anima Mundi da subito dopo che lo abbiamo compreso e per sempre….e questo è un modo di vivere, non di vedere.

IRLANDA SI E ITALIA NI. UNA DIVERSA STORIA MILLENARIA (di Carlo Anibaldi)


Il risultato del recente referendum irlandese sui matrimoni fra omosessuali ha suscitato commenti a non finire, poichè da un paese col 90% di cattolici davvero ci si attendeva altro. Ma guardando alla storia d’Irlanda lo stupore svanisce e si dà conto della peculiarità del cattolicesimo irlandese e delle sue origini. celtic_cross_by_cacaiotavares-d64bj0sFra l’800 ed il 300 a.C. i Celti, vale a dire popolazioni per lo più slave e sassoni, si stabilirono nella terra d’Irlanda e qui rimasero incontrastati per mille anni, dando quelle fondamenta linguistiche, mitologiche e culturali che sopravvivono ancora oggi. Vennero poi le invasioni vichinghe e quelle normanne, ma l’impronta era data e dopo i Celti solo i commerci e l’architettura furono tributari di influenze altre. Il senso religioso delle popolazioni celtiche era orientato al culto degli animali e della natura in generale, con tinte esoteriche e mitologiche. L’Irlanda fu la sola terra in Europa a non subire l’invasione romana e quando giunse il cristianesimo, coi suoi monaci e monasteri, abbazzie e quant’altro, non vi fu alcuna resistenza, nulla da ‘convertire’. Nell’alto Medio Evo l’Irlanda era la terra del cristianesimo ‘puro’, dove i ricchi d’Europa e la chiesa di Roma stessa, mandavano i loro figli ed i loro monaci ad apprendere quel cristianesimo che assimilava le culture dei luoghi, senza distruggere, plagiare o sostiture gli antichi simboli religiosi con i propri. Non venne insomma un esercito armato di croci e crociati, di bombarde e di spade in queste terre, ma studiosi e religiosi aperti a mescolarsi alla cultura locale senza stravolgerla. Questa peculiarità, che gli storici attribuiscono, come si diceva più sopra, al non essere questa terra mai stata invasa e concupita dall’esercito romano, ha dato origine ad un’altra peculiarità, almeno per l’Europa…vale a dire l’identificazione del credo religioso con la terra, la Patria, da opporre ai violenti espropri culturali e religiosi operati dagli inglesi. Il cattolico qua è il patriota che combatte per la sua identità, il cattolico si oppone al protestante, vale a dire agli inglesi, che subdolamente stavano sostituendo il credo anglicano alla tradizione cattolica. Essere irlandese ed essere cattolico era un tutt’uno con l’essere esercito (IRA) di liberazione. Guardando a questi aspetti storici e culturali vediamo bene che il cattolico irlandese non si sente succube della chiesa di Roma, per quanto ne segua i dettami e ne rispetti i pontefici….l’irlandese infatti si considera “il Cattolico”, non dimentico che nei secoli passati là ci venivano da Roma per “studiare” da cardinali e monaci. Nella questione dei matrimoni gay il popolo irlandese ha risposto da ‘celtico’, nonostante l’influenza della chiesa sia connaturata con le istituzioni forse più che in Italia. E allora, chiunque abbia la libertà intellettuale di vedere le cose come sono in natura, senza influenze dogmatiche e dottrinali, lo sa bene che l’omosessualità non è “malattia”, “porcheria” e cosa “contro natura” ma un comportamento presente in ogni specie animale, che anzi come ogni comportamento sociale è influenzato dalle epoche. Alcune epoche nelle comunità animali sono maggiormente dedite a pratiche omosessuali ed altre epoche o locazioni lo sono meno…magari per un semplice meccanismo di controllo delle nascite che non minaccia la specie, come alcuni dicono, ma al contrario la protegge. Comportamenti dunque, solo comportamenti, non certo difetto o deviazione. Alcuni sostengono che ragioni commerciali, inerenti il sicuro incremento del turimo, abbiano spinto gli irlandesi a tanta apertura, in considerazione del fatto incongruente che in quello stesso paese l’aborto non è consentito nemmeno nei casi di stupro. (Carlo Anibaldi – 2015)

VIAGGIO NELL’ULTRAPRESENTE (di Carlo Anibaldi)


 Era tanto che non sognavo, o almeno, non avevo la coscienza di aver sognato qualcosa. Forse per l’abitudine di non serrare le imposte. Mi dicevo che se il ritmo naturale è scandito dall’alternanza  luce/buio ci deve essere una ragione e allora basta imposte chiuse, ad alterare la percezione dei ritmi naturali. Ma poi, a ben pensarci, mi sono detto che il Sole illumina tutto e tutto insieme, ma per vedere bene davvero bisogna scrutare nel buio.

Tant’è che con le imposte serrate ripresi a sognare e a ricordare i sogni. Uno in particolare, dopo una serata a tirar tardi e qualche bicchierino

di troppo, vale che ve lo racconti.  Mi trovavo in un posto che mi dava l’impressione di essere uno di quei resort dove i ricconi vanno a ricaricarsi, tutto poltrone in pelle chiara, piscine termali, vetrate su fitti giardini che sembrano tropicali ma non lo sono, cameriere belle come top model ed inservienti con la faccia del mio direttore di banca. Andavo in giro a curiosare, con le mani nelle tasche dell’accappatoio bianco, dicendomi che forse mi era stato regalato un bonus per soggiornare in questo paradiso artificiale. Mi sdraio a bordo piscina fumante, apro l’accappatoio sul mio costume a mezza coscia, come i ciclisti, nero a strisce rosse e gialle, un pugno nello stomaco, ma era griffato e a quanto pare alla moda. Non si ‘prende il Sole’ qua, non a gennaio, ma grandi lampade sospese assicurano perfette abbronzature, a patto di girarsi di tanto in tanto. Un grill di lusso, mi dicevo…quando una voce mi distoglie dai miei pensieri sciocchi. Era il direttore di banca, che mi chiede se desidero bere qualcosa di fresco. Un frullato di frutta tropicale a pezzettoni, grazie, ma solo una giratina, niente purea, mi raccomando. Ci si adatta alla svelta a fare il direttore del direttore di banca, mi gongolavo.

Si sdraia a meno di mezzo metro da mio lettino, manco fosse la fidanzata, un omone di mezza età, ben proporzionato però, con una abbronzatura uniforme, non esagerata, i capelli bianchi come neve ed un sorriso a 46 denti, perfetto, grandioso. Mi dice che si chiama Varig, sì, proprio come la compagnia aerea, ma lui non capisce la battuta. “Piacere, Carlo”.  Iniziamo a conversare ma presto capisco che lui sta facendo uno sforzo di comprensione circa il senso delle mie banalità.

Mi fermo, decido di far parlare lui, che esordisce con un incredibile “Un minuto di pazienza, mi sto sintonizzando sul suo linguaggio arcaico”.

Dopo nemmeno un minuto infatti inizia a parlarmi, in perfetto italiano, senza inflessioni dialettali, come uno svizzero. “Un altro direttore di

banca” pensai. Mi dice che lui ci viene di tanto in tanto in questo posto. Io no, era la prima volta. “Vieni per rilassarti?”, la mia domanda ovvia, quasi scema. “No, vengo per lavoro, per documentarmi”. Ma dai…questo viene per lavoro a bordo piscina in costume da bagno, verde bandiera a strisce blu elettrico! “Quale sarebbe il tuo lavoro, di grazia?”. Passa quasi un minuto prima che apre bocca, mi guarda dritto negli occhi e poi esordisce “Sono uno storico, viaggio nel tempo, mi documento sulle ere antiche, ne parlo agli studenti, comunico le mie impressioni di viaggio. Sono molto interessati”. “Non credo di aver compreso sai? Gli storici vanno nelle biblioteche, nei siti archeologici, nei musei, non a bordo piscina in accappatoio. Non c’è Storia in un Grill di lusso”. Ancora un minuto di silenzio. “Sono qui per parlare con te”, mi dice. “La Storiasei tu”, aggiunge.

Vedendomi a bocca aperta e gli occhi sgranati a forma di punto interrogativo, continua… “Noi non misuriamo più il tempo come facevate voi e proprio per questo non so dirti quello che vorresti sapere. Non so la distanza temporale fra te e me, credo anzi che non ce ne sia. La cosa che vengo a studiare in questo posto è il tuo cervello. Non c’è altro posto dove io possa documentarmi su un cervello che venga usato al 10, forse 15 per cento delle sue possibilità”. Comincio ad incavolarmi. Questo babbonatale di lusso, immagino compreso nel prezzo del soggiorno, mi sta sfottendo con modi affabulanti per in definitiva darmi dell’idiota.

Ma lui continua, incurante che mi sono accigliato. “Alcune cose che posso dirti, già le conosci. Ma non conosci come poi si sono evolute e le

soluzioni trovate a questioni che pensavi insolubili. Come sai, il cervello umano è misterioso, è infatti capace di elaborare informazioni in misura tale che ad un supercomputer non basterebbe un intero palazzo per contenerlo…e spendendo energia per soli 20 watt, quando sai che l’asciugacapelli che usi al mattino ne consuma 700, 1000. Dunque una macchina perfetta, di prestazioni incredibili. Ma poi vi siete trovati di fronte ad un problema enorme. Avete scoperto che l’Universo di cui facciamo parte non sta fermo come un hotel, ma si stava espandendo…e il Sole, millennio dopo millennio non scaldava più a sufficienza, l’energia non bastava e toccava crearne in misura enorme, con rischi per l’ambiente e dunque per la specie. Nello sperimentare fallimenti, il cervello cercava soluzioni, ma si fermava davanti al buio, davanti alla limitatezza del suo orizzonte.

untitledEcco allora che avete scoperto che il cervello ha possibilità pressoché infinite di espandersi, poiché la sua evoluzione, la sua crescita, non è lineare, ma esponenziale. Ad ogni nuova esperienza una nuova connessione fra neuroni si formava e da quella altre si ramificavano…come quando scoprimmo l’America, o le leggi della Fisica, o la natura dei rapporti e dell’affettività…il mondo cambiò perché il cervello acquisiva nuove conoscenze ogni giorno, il mondo e le esperienze nuove si moltiplicavano e con esse le connessioni nel nostro cervello.  Dal 5% che avevamo raggiunto insieme ai delfini, le potenzialità del nostro cervello si espansero fino anche al 15%. Ma al 15% delle possibilità potenziali solo pochi sperimentarono che gli ausili alle funzioni superiori del nostro cervello…vale a dire i telefoni, i computer, le onde radio, erano il passato e che tutto questo il cervello lo possedeva già e le protesi non sarebbero più servite, per comunicare e creare nuove connessioni tra i neuroni. Solo pochi si resero conto che il tempo e lo spazio misurabile erano convenzioni che una mente funzionante al 5, 10, 15% ha dovuto creare per orizzontarsi, per definirsi e in definitiva per conoscere i limiti e dunque attrezzarsi per superarli. L’Universo continuò ad espandersi, creando problemi grossi sulla Terra. L’intelligenza si industriò. Enormi lenti convogliavano la luce del Sole, sempre più lontana e fioca, su prismi grandi come montagne…ma tutto sembrava al limite dell’insostenibile e gli uomini erano oramai certi della fine del mondo.  Quando dai loro calcoli apparve chiaro che l’espansione era finita e l’Universo si stava di nuovo contraendo. I problemi da risolvere erano enormi e gli uomini affinarono l’intelligenza,  alcuni cervelli già funzionavano al 50% e la media era già oltre al 30%.

1044487_10201327046080949_1093401814_nLe questioni sul tappeto erano universali, nessuno si sarebbe salvato da solo e ben presto sparirono gli stati ed i governi. La coscienza individuale diventò ipercoscienza, e questo fece diminuire fino a sparire la necessità di spostarsi per incontrarsi…e molto altro che ora non ti sto a dire poiché non capiresti. Voglio però dirti che quando arrivarono a superare il 50% delle possibilità operative del cervello, gli uomini avevano abbandonato l’idea di dualità vita/morte, e molte altre dualità sparirono. Sapevano dunque che il cervello può servirsi del corpo ma non in modo esclusivo. L’intelligenza è immanente…e passa da un corpo all’altro in una danza senza tempo. I problemi si fecero opposti a quelli che erano stati affrontati e superati. Ora la Terra si stava avvicinando ad un buco nero, l’Universo si contraeva senza sosta fino ad infilarsi in un’altra dimensione. Sulla Terra presero ad accadere cose mai viste. I bambini nascevano con aspetto sano ma vecchieggiante e andavano ringiovanendo negli anni fino a sparire di nuovo nel nulla da dove erano venuti. Non servivano scuole nè asili, ma solo “raccoglitori” di ipercoscienza ed iperintelligenza. Luoghi di meditazione trascendente il tempo e lo spazio, dove le interconnessioni non erano più solo neuroniche ma globali. Ogni individuo, come lo chiameresti tu, era anche l’altro da sè. Nulla appartiene a qualcuno poiché tutti erano tutto. In questo modo l’intelligenza funzionava come uno dei vostri supercomputer…moltiplicava le possibilità operative”.

“Caro Varig, bella favola mi racconti, ma ho notato che usi i verbi al tempo passato. Forse il tuo italiano lo hai imparato troppo in fretta….”

“No Carlo, non faccio errori di grammatica. Accadde poi che il cervello degli umani prese ad essere operativo al 100% … ed allora siamo diventati pura intelligenza…senza luogo nè tempo. Io sono te e tu sei me, solo che tu non lo sai”.

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(Carlo Anibaldi, © 2015)

 

 

 

 

Da Einstein, a Jung, allo Zen, una sola voce: il tempo non esiste. (di Carlo Anibaldi)


 Le particelle subatomiche non rispondono a criteri fisici di ‘tempo’ … e di passato, presente e futuro non ce n’è traccia nemmeno nell’universo e, per quanto ci è dato sapere, nei ‘buchi neri’. Il tempo non è dispiegato sui punti di una retta, come l’individuazione di un passato e un futuro vorrebbe, ma piuttosto il tempo è curvo e incontra se stesso continuamente…insomma non esiste, per dirla con Einstein, che non credeva all’esistenza del tempo. Per lui tutto esisteva nello stesso istante: il passato, il presente, il futuro….che sono solo convenzioni stabilite dal modo di ‘funzionare’ della mente umana per poter organizzare le esperienze. E dimostrò matematicamente questa intuizione, del resto oggi confermata anche fisicamente. Possiamo allora affermare come cosa vera che tutte le persone che abbiamo conosciuto, che conosciamo e conosceremo, insieme a tutto ciò che diventeremo, sono con noi in ogni momento. Questo modo di ragionare, e alla fine dimostrare, è il metodo scientifico ‘occidentale’. Ci sono posti al mondo dove tutto ciò è risaputo e mai messo in dubbio da millenni. (Carlo Anibaldi)

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Recensione a LA DONNA FERITA di Linda Schierse Leonard – di Carlo Anibaldi


  Questo libro esplora i rapporti psicologici e spirituali di quelle donne che abbiano avuto difficoltà nel rapportarsi al padre, fino a ferirsi, dove per ‘padre’ dobbiamo qui intendere il padre biologico, quello spirituale, quello patriarcale, quello culturale, quasi mai riuniti in una unica figura maschile. L’autrice porta testimonianze di situazioni reali raccontate dalle sue pazienti, ma il punto di vista fa riferimento a figure archetipiche, vale a dire contenitori atti ad ospitare figure simboliche antiche quanto l’umanità, con annesso potenziale energetico psichico che tende alla realizzazione del simbolo introiettato, generalmente in maniera incosciente. Da questo punto di vista è allora facile scorgere nei comportamenti il tentativo inconscio di realizzare un archetipo. Abbiamo allora da considerare il “Vecchio perverso”, figura archetipica spesso attiva in donne che non avevano un padre con cui mettersi in rapporto e che iniziano a cercalo in ogni uomo che hanno di fronte. All’inizio ripugna l’idea di avere rapporti sessuali col padre trovato, ma ben presto si rendono conto che non incontreranno uomini disposti a ricoprire quella figura senza una ‘contropartita’ ed allora accade che l’ingenuità sessuale si trasformi in promiscuità sessuale. Spesso questi rapporti sono soddisfacenti ma mai conclusivi e la ricerca continua fino alla perdita della residua autostima, tanto più che queste figure paterne sono il più delle volte già padri di famiglia e dunque poco disponibili a ricoprire quel ruolo. Questi comportamenti, neanche tanto alla lunga, mostrano il vulnus, vale a dire la ripetizione dell’insoddisfazione del rapporto col padre. Come peso schiacciante infine,  accade a queste donne che l’eros femminile, continuamente tradito per non essere al centro della ricerca, incentrata su altro, determina il posizionamento al centro del tradimento stesso, che si perpetua a carico degli uomini con cui si rapportano, stante che il ‘Vecchio perverso’ attivo in queste donne le porta all’esposizione del corpo, alla perdita della sacralità dell’eros e attraverso la disistima crescente le porta a chiudere il cerchio, vale a dire che ritorna al punto iniziale dell’esclusione del sesso dal rapporto col padre. Si tratta generalmente di quarantenni ‘ragazzine’ insicure e le troviamo spesso negli studi dei terapeuti per la chiusura del cerchio suddetto, che non lascia speranze alla crescita individuale senza un aiuto alla disperazione. 

 Nel libro sono descritti vari archetipi contenenti tanta energia, capace di mal orientare l’intera vita di una donna, almeno finché ignoti alla coscienza. Citerò di seguito solamente quello relativo alla donna “Puella”. La donna Puella è quella che nasconde l’ira, quella che ha un centro infuocato da ferite profonde, ma la loro rabbia è diretta all’interno, sotto forma di sintomi fisici, depressione e tentativi di suicidio. Questa ira profonda fa loro paura, poichè è quella che ricordano del padre, che esplodeva in eccessi folli. Sono anche donne ben organizzate, forti, capaci di carriere di successo poichè ricche dell’energia del centro infuocato. Teniamo conto che la rabbia non ha forma, colore ed obbiettivi, la rabbia si ‘scaglia’, è esplosiva, e dunque queste donne possono schiacciare le altre persone. L’energia non incanalata crea paura in queste donne e tendono allora al controllo per non incorrere nella follia dello scoppio d’ira, col risultato che spesso accade di trovarsi di fronte donne miti, dolci, ma con un punto debole assai. Il padre travolto dall’ira infatti tradì l’archetipo del Buon Padre, distruggendo stabilità, ordine, fiducia. Il rapporto con l’uomo è quindi spesso fonte di paura anziché fascino. La donna Puella tende spesso a nascondere la propria ira profonda per il timore che sia come quella percepita come patologica del padre….e per evitare il confronto, la maschera. L’ira è mascherata per lo più dai ‘vizi’. Queste donne sono talvolta alcolizzate o bulimiche o ipocondriache. Tutti segni di energia bloccata, autodestruente. Purtroppo insieme all’ira, viene nascosta anche la tenerezza e le lacrime e allora l’intimità con un uomo è vissuta in modo incompleto, spesso caratterizzato da apertura sessuale nei confronti di un partner oggetto e bersaglio però anche dell’ira. Di qui rapporti conflittuali caratterizzati dal rifiuto da parte dell’uomo di avere attrazione verso una donna che ne faccia oggetto d’ira di giorno e di desiderio sessuale la notte. Incanalare la rabbia è l’inizio della soluzione, quando non è troppo tardi per il rapporto in essere, oramai evacuato dalla fiducia reciproca.

 Oltre ad altri esempi di archetipi attivi nell’universo della conflittualità originaria irrisolta col padre, il libro accenna anche al problema del senso di colpa…che vorrebbe la donna più incline dell’uomo a questo vulnus e alla fine meno creativa dell’uomo poichè schiacciata nel ruolo di eterna fanciulla (Puer Aeternus) sottomessa passivamente al padre creativo e forte. Un uomo che si chiudesse tre mesi nello studio a scrivere un romanzo, non si sentirà mai oppresso dal senso di colpa per il trascurare la casa e la famiglia. Meno facile questo per la donna, schiacciata da secoli in ruoli solidi come roccia.   

(Carlo Anibaldi, 2013)

 

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IL COMUNE SENSO DELLO SCHIFO E DELLA PIETA’ (di Carlo Anibaldi)


Siamo in molti ad avere il culo più presentabile della faccia, ma esiste una normativa severa che si richiama ad un COMUNE SENSO DEL PUDORE, secondo cui la faccia la possiamo pubblicamente esporre ma il culo no. Ma se è vero che esiste questo ‘senso comune’, in verità molto mobile e difficilmente calibrabile sulle coordinate del cervello della gente tanto da definirne un qualsiasi ‘comune senso’, mi chiedo perchè il legislatore non abbia preso in considerazione altri ‘comuni sensi’. Il COMUNE SENSO DELLA PIETA’ ad esempio. Possiamo esporre pubblicamente foto di uomini ed animali seviziati e martoriati, ma non possiamo esporre il nostro o vostro bel culo sodo. Possiamo perfino postare su Facebook la foto della mamma or ora morta, ancora calda sul letto d’ospedale, ma non possiamo mostrare il nostro mirabile culo. E che dire del COMUNE SENSO DEL RIDICOLO? Offeso quotidianamente da tutti i media con l’esibizione istrionica di pregiudicati, inquisiti, magnaccia, puttane e ladri? L’offesa diventa poi insopportabile quando è rivolta contro il COMUNE SENSO DELLA VERGOGNA. Si ammette senza batter ciglio che la delicata pelle di una giovane donna debba essere messa al riparo da inestetismi quali allergie e rossori, anche a costo di seviziare e martoriare creature che non hanno meno diritti di noi su questo pianeta. Viene ammessa la sperimentazione su animali, perfino quelli domestici, anche per malattie non mortali o epidemiche, ed è cosa che per il legislatore non susciterebbe OFFESA AL COMUNE SENSO DI QUALCOSA, come per l’esibizione di grufolanti animali in doppiopetto, ma non al pari del mio culo, che invece pare offenda parecchio. Alla fine di questa chiacchierata i vorrei appellarmi ad un COMUNE SENSO DELLO SCHIFO, quotidianamente offeso per il confondere il comune senso dei sentimenti con il minimo comune multiplo dell’intelligenza, vale a dire lo slivellamento della società ai suoi valori più bassi, una rincorsa verso gli ultimi anzichè verso livelli evolutivi. (Carlo Anibaldi)

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Tributo d’Anima a Jung nel giorno del 52’anniversario di morte. Di Emanuele Casale (6/6/1961)


Jung Italia

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Un giorno a me caro nel quale contemplare alcune cose del remoto e alcune cose del domani per riunirle nell’adesso, dove mi servono da bussola imprescindibile per orientarmi nel caos di cui ognuno, con sue modalità, ne abita gli ampi spazi fecondi. Oltre ad essere il mio compleanno è stato, già da diversi anni ormai, un giorno nel quale trovarmi ancora più vicino a Jung oltre la mera vicinanza dovuta agli studi sulla e della psiche nei quali lui è la base che lancia raggi ancora tuttora in un lontano futuro.

Il 6 Giugno 1961 Andava via da questo piano di realtà CARL GUSTAV JUNG, a casa Kusnacht, in piena serenità, circondato dai cari che gli avevano riempito la vita fino agli ultimi suoi giorni; lasc

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Le ‘Finestre Decisionali’ di Laszlo


SIAMO AL CENTRO DI UNA FINESTRA DECISIONALE, TUTTO E’ ANCORA POSSIBILE  [recensione di Carlo Anibaldi al punto del Caos, di Laszlo] I sintomi di una decadenza inesorabile ci sono tutti, non solo in Italia. Incertezza economica, potenzialità delle nuove generazioni inferiori a quelle delle vecchie, vilipendio delle risorse ambientali, esaurimento delle fonti energetiche non rinnovabili, valori relazionali impoveriti, allargamento della forbice delle diseguaglianze sociali, preponderanza di valori non aggreganti. Verrebbe da allargare le braccia. Cosa può il singolo di fronte a fenomeni di tale portata? In soccorso ci viene la Fisica moderna, strano ma possibile, a detta di parecchi studiosi. Da pochi decenni siamo entrati in una nuova era della Fisica. Siamo, senza accergercene troppo, entrati nella terza fase, quella della Fisica olistica. Al tempo di Newton si posero le basi della fisica moderna e si affermò una visione meccanicistica dei fenomeni, le leggi della termodinamica e la fisica dello spostamento delle masse cambiarono il mondo e diedero vita alla Rivoluzione Industriale, con tutti i cambiamenti sociali connessi alle nuove scoperte. Einstein e i fisici del suo tempo aprirono la seconda Era della Fisica, quella relativistica e quella dei quanti. La scoperta della non assolutezza di tempo e spazio e che la velocità della luce non era il massimo concepibile, ma un ventimillesimo di quanto possibile in natura, aprì nuovi orizzonti al modo di pensare il creato e le creature, l’energia e lo spazio. Oggi siamo nella terza Era della Fisica, chiamata olistica o non-local, poichè con esperimenti si è potuto dimostrare che il micromondo sub-atomico e il macromondo dell’Universo rispondono a leggi che non potevamo nemmeno immaginare: non esistono sistemi chiusi, ad esempio un cavallo è un sistema, il fiume un altro, l’uomo un altro ancora e poi la montagna, le nuvole, il passato, il futuro, la foresta, la città e così via all’infinito in un Universo separato al suo interno e costituito da sistemi indipendenti.  Semplificando un po’, si può oggi dire che l’Universo e tutto il suo contenuto sono ‘non localizzati’, nel senso che l’aggregazione delle particelle a formare due individui, non è cosa definitiva e assoluta. Sono stati compiuti esperimenti su gemelli, all’inizio, e s’è fisicamente dimostrato che la ferita inferta ad un gemello causava dolore all’altro, indipendentemente dalla distanza e consapevolezza. Altri esperimenti sono stati condotti nel mondo vegetale. La spiegazione a questi fenomeni di teleportazione non poteva che essere olistica, vale a dire che nell’Universo tutto è connesso e interscambiabile a livello subatomico e quello che appare separato e diverso nel mondo che vediamo, è invece ricco di mediazioni e connessioni nel mondo sottile, con scambio continuo di particelle, fisiche e/o energetiche. Una tale visione delle cose sposta parecchio in avanti le nostre conoscenze o almeno la possibilità di conoscere i fenomeni, quali i disastri ambientali, quelli di recessioni economiche globali, di crollo e nascita di modelli, di fenomeni naturali apparentemente inspiegabili, di stati “d’animo” collettivi. Molti individui ‘sensibili’ soffrono in prima persona per una deforestazione o per l’oppressione di una dittatura su un popolo lontano. Moltissime persone hanno sofferto per l’Olocausto, perpetrato 60 anni prima a danno del popolo ebraico, come fosse cosa attuale e vicina fisicamente. I fenomeni di sfregio alle leggi della Natura, sia quella fisica che quella che concerne i sentimenti profondi degli esseri umani, possono subire compressioni che durano decenni, ma poi si apre un momento detto ‘finestra decisionale’ che precede di poco il Punto del Caos. Dopo quel punto è possibile uscirne alla grande o precipitare. Alla luce delle scoperte del nuova fisica, sembra proprio che i destini del mondo siano in mano alle singole nostre microenergie, che tutte insieme determinano il fenomeno. Ma sentiamo cosa ci dice in proposito un cervello davvero brillante che è una punta avanzata dell’Umanità, il prof. Ervin Laszlo, il maggior esperto mondiale di Teoria dei sistemi e Teoria Generale dell’Evoluzione: “In una finestra decisionale, i singoli individui possono creare coscientemente le piccole ma potenzialmente potenti fluttuazioni che potrebbero ‘far saltare’ e decidere il percorso evolutivo che sarà adottato dalla loro società. Possono far pendere il sistema verso un’evoluzione in linea con le loro speranze e aspettative. Allora il Punto del Caos non sarà necessariamente portatore di un collasso globale. potrebbe essere l’araldo, l’annuncio del salto verso una nuova civiltà…..Dove andremo, spetta a noi deciderlo”. [Carlo Anibaldi – rev.2014]

DECRESCITA RESPONSABILE ovvero LATOUCHE IN SINTESI


A guardarla giorno dopo giorno sui giornali e sui telegiornali questa ‘crisi’ mondiale, siamo nostro malgrado tentati di seguirla passo passo, tra slogan, paure, domande e speranze, entrando in discorsi ristretti che tolgono l’aria e la visione d’insieme.  E allora ci ritroviamo a cercare un ‘salvatore’…ora individuato in un economista di fama, ora in un novello masaniello. Proviamo invece a considerare il mondo come un laboratorio, come alla fine è. In un laboratorio i fenomeni si osservano e la loro interpretazione non è lasciata ai dilettanti e ai ciarlatani.

Diagnosi. “La disintegrazione del tessuto industriale distrugge la solidarietà nazionale e aumenta la distanza tra la media statistica e la variazione reale dei livelli e dei modi di vita. Le disuguaglienze aumentano a tutti i livelli. In ogni Paese, così come su scala mondiale, si dilatano le distanze fra i più poveri e i più ricchi, raggiungendo proporzioni inaudite**.

–  Effetti a breve. “Il controllo, provvisoriamente rimpiazzato da una politica industriale alla ricerca dei suoi principi, tende a perdere ogni consistenza. La crisi dello Stato sociale e lo smantellamento dei sistemi di protezione sociale conducono semplicemente alla crisi dello Stato tout court. La spoliticizzazione dei cittadini e la sostituzione delle istituzioni politiche con organi amministrativi finiscono con lo svuotare lo Stato-nazione del suo contenuto**.

–  Effetti a medio-lungo termine. “La deterritorializzazione economica e sociale non sfocia tanto in un nuovo ordine internazionale, o anche in un ordine mondiale, quanto in un disordine, nel caos. Questo disordine è già in atto in molti paesi semi-industrializzati. Un ministro brasiliano ha detto a proposito della regione di Sao Paulo: “E’ una Svizzera circondata da venti Biafra“. Questo tende a diventare vero su scala planetaria. Laddove c’è un’impresa, un impianto industriale, commerciale, un centro di ricerca, che sia a Singapore, nella Silicon Valley o nel Katanga, lì regneranno una relativa prosperità, una società di consumi, o addirittura un sostituto regionale dello Stato sociale. Laddove non c’è mai stato nulla, laddove imprese o uffici hanno chiuso i battenti, al Nord come al Sud, emergono o persistono miseria e povertà senza protezione sociale di alcun tipo e senza solidarietà. In questo mondo a macchia di leopardo la politica scompare, mentre l’amministrazione e la burocratizzazione si rinforzano, e gli apparati di polizia diventano autonomi per gestire tensioni spersonalizzate**.

Rimedi. La società post-industriale era immaginata come la società del futuro, basata sui servizi, ad ogni livello…. ed i beni, quelli attualmente prodotti nelle fabbriche, sarebbero stati forniti dall’attuale terzo mondo in espansione economica. Ma le cose non sono andate come previsto, poichè i modelli non hanno tenuto conto del fattore A…Avidity…che avrebbe dovuto essere sotto controllo costante grazie ad una legislazione ad hoc. Ma il legislatore, ovunque, s’è mostrato succube del potere finanziario e sappiamo come è andata a finire. I rimedi suggeriti dall’osservazione del laboratorio-mondo sono dunque orientati al contrario esatto di ciò che lo sta portando al disastro, e cioè indirizzati alla decrescita e alla localizzazione intesa come non globalizzazione, che abbiamo visto lasciare indietro interi pezzi di mondo, e ovviamente all’abolizione del PIL come strumento per la misura dl benessere, che in una visione olistica degli esseri umani è davvero l’ultima cosa da considerare.

La decrescita responsabile è un concetto filosofico prima che economico e dunque non può essere imposto per legge, ammesso che appaiano sulla scena legislatori tanto lungimiranti, e dunque necessita di farsi strada nei singoli come la Weltanshauung del terzo millennio, un vero capovolgimento della visione del mondo…il solo modo per salvarlo dal disastro incombente, dove la guerra nucleare dei nostri incubi è solo una metafora del NWO, il Nuovo Ordine Mondiale che alla fine farà solo un gran cumulo di macerie..

[ Carlo Anibaldi – 2012]

Serge Latouche

Bibliografia **Serge Latouche (Vannes, 12 gennaio 1940) è un economista e filosofo francese, sostenitore della decrescita conviviale e del localismo, intese come le sole attività in grado di fornire i mezzi materiali per il soddisfacimento dei bisogni delle persone nella società post-industriale.

12 Dicembre 1969 VERITA’ NASCOSTE


12 dicembre 1969 – Strage di Piazza Fontana. Dopo 42 anni è ancora “una Verità Nascosta”

Cosa allora si potrebbe scrivere sulla lapide delle vittime di quella odiosa strage? E su

quelle delle vittime delle tante altre stragi senza giustizia di quegli anni? Queste lapidi

sono bianche e immacolate, di marmo vergine, o tali dovrebbero essere, perché solo

quando le vittime avranno giustizia ci sarà un epitaffio da incidere.

Le celebrazioni delle ricorrenze storiche portano con sé il ricordo di quanti, coinvolti nell’evento, hanno perso la vita perché l’evento si dispiegasse. La Storia procede con un susseguirsi di immagini, non a caso il più delle volte cruente, a causa dei forti radicamenti che si vanno a sconvolgere; è dunque per l’aprirsi di nuovi scenari che gli eventi divengono Storia. Non è questo il caso, poiché questa non è Storia, ma una Verità Nascosta.

Sono molti coloro che datano l’inizio della cosiddetta ‘strategia della tensione’ o degli ‘opposti estremismi’ al 12 dicembre 1969, il giorno dell’esplosione della bomba alla BNA di Piazza Fontana a Milano, ma altrettanti sono convinti che questa datazione sia arbitraria ed emotiva, facendo infatti risalire l’inizio dei ‘Misteri d’Italia’ a qualche anno prima, quando ‘cadde’ l’aereo di Enrico Mattei, se non addirittura al 1° Maggio 1947, giorno della strage di Portella della Ginestra. La difficoltà di datazione di questo periodo oscuro della Storia d’Italia è probabilmente dovuta al fatto che la storia stessa della Repubblica è, fin dai primi giorni di vita, connessa alla storia dei nostri servizi di Intelligence che, come ogni Servizio di questo genere, non hanno, per definizione, la trasparenza fra i valori fondanti.

Molti sono gli autori, giornalisti, osservatori e storici, che hanno scritto di questa orribile strage e del lunghissimo iter giudiziario che ne seguì. Quello che vogliamo invece fare qui oggi è rivolgere un pensiero alle vittime innocenti e ai loro familiari e cercare di vedere l’evento dal loro punto di vista, per quanto possibile.

Le vittime di eventi bellici o rivoluzionari e perfino le vittime di incidenti di ogni tipo ed i loro familiari, si fanno alla fine una ragione, se così mi posso esprimere, di quanto accaduto, secondo una scala di consapevolezza che va dal futile all’eroico, passando per una moltitudine di situazioni intermedie che alla fine sono quelle sintetizzate negli epitaffi.

Ma cosa è umanamente misericordioso e sensato scrivere sulla lapide delle vittime di quella odiosa strage? E in quella delle vittime di altre stragi di quegli anni, che a centinaia non hanno potuto avere giustizia né comprensione terrena? Se mai esistesse un’altra forma di giustizia, a quella varrebbe la pena di affidarsi, ma temo non ci sia nulla oltre la legge del contrappasso, talvolta. Questa è la vera pagina nera di questa Repubblica: ci sono dei morti, tanti morti, che non sono né partigiani né fascisti, né rivoluzionari né oppressori, né guardie né ladri e al tempo stesso ci sono degli assassini che non sono finiti nella polvere, né in galera né davvero liberi, se mai hanno avuto una coscienza.

Queste lapidi sono bianche e immacolate, di marmo vergine, o tali dovrebbero essere, perché solo quando le vittime avranno giustizia ci sarà un epitaffio da incidere. Nel corso di vari processi penali è alla fine affiorata la dinamica scellerata dell’attentato e qualche manovale della morte e del dolore ha vissuto i suoi ultimi anni in prigione, ma questi processi sono stati utili, alla fine, per dare non giustizia, ma consapevolezza delle dinamiche e, attraverso queste, visione del disegno, questo sì, eversivo della volontà popolare. Come tutti sappiamo, fu all’inizio seguita, o meglio, creata, una ‘pista anarchica’ che vedeva la cellula anarchica milanese del Ponte della Ghisolfa, rappresentata dal ferroviere Giuseppe Pinelli, come l’ideatrice ed esecutrice dell’attentato alla BNA, insieme a quello che avrebbe dovuto dispiegarsi nelle stesse ore alla Banca Commerciale e che non produsse un’esplosione ed altri attentati dinamitardi che in quel giorno, fra Roma e Milano nell’arco di una cinquantina di ore, si verificarono. Queste cellule anarchiche, come ogni movimento di questo tipo in Italia e nel mondo, perseguono attentati dinamitardi dimostrativi, contro ogni potere costituito che limiti le libertà fondamentali dell’individuo.

Ideali di violenza, senza meno assai discutibili, ma che per statuto fondante, mai avevano avuto lo scopo di spargere sangue ritenuto innocente. Dunque l’accusa fatta al Pinelli di aver organizzato un attentato tanto sanguinoso, col concorso della cellula romana, rappresentata da Pietro Valpreda, sconvolse a tal punto Giuseppe Pinelli, che durante un drammatico interrogatorio nei giorni successivi alla strage, alla Questura di Milano, cadde, non si sa quanto volontariamente o in seguito a malore, dalla finestra e ne morì. Questa la versione ufficiale della Questura. La contestazione alla versione ufficiale fu talmente accesa da parte degli ambienti dell’estrema sinistra legati all’organizzazione Lotta Continua, che ne scaturì la morte violenta del commissario Calabresi, ritenuto da questi il responsabile della morte, non creduta accidentale o suicidaria, del Pinelli.

Nel corso di un ventennio di udienze in diversi processi, emersero circostanze incredibili. L’attentato doveva essere dimostrativo come altri in quel periodo, e fu organizzato dagli anarchici per un orario successivo alla chiusura della banca, ma infiltrati neofascisti dell’organizzazione Ordine Nuovo raddoppiarono la borsa e dunque le bombe, all’insaputa degli anarchici e oprattutto ne anticiparono lo scoppio in un orario di apertura al pubblico.

Le carte processuali ci dicono anche di depistaggi, pedinamenti e infiltrazioni organizzate da fronde deviate dei servizi di intelligence. La data del 12 dicembre fu scelta in coincidenza con un viaggio a Milano dell’anarchico Valpreda. Un sosia del Valpreda fu fatto scendere da un taxi davanti alla BNA con una borsa. Testimonianze incrociate portarono all’arresto di Valpreda e alla sua incriminazione. Ma questo era solo il primo atto di una marcia di avvicinamento alla verità che durò un ventennio, senza peraltro produrre certezze processuali definitive sui mandanti occulti e sui loro inconfessati scopi eversivi.

In questo 41° anniversario della strage, nel ricordare le diciassette vittime, il nostro pensiero va a questo modo di ‘diventare Storia’, un modo che toglie anche la dignità alla morte, che dissolve persone incolpevoli in una nuvola rovente e densa di verità nascoste.

Questa nuvola è tutta italiana e purtroppo arriva da lontano, da quel dopoguerra che da noi è stato il più lungo del mondo intero. Un dopoguerra che per vili ragioni di realpolitik non ha potuto trovare pace, poiché non ha del tutto escluso dalla vita civile e dalle Istituzioni, personaggi e burocrati del disciolto partito fascista e della Repubblica di Salò, che per nulla avevano in animo amore per questa nuova Nazione, facendone anzi, in varie e documentate circostanze, i fondatori e gli alti funzionari dei neonati Servizi di Intelligence. Queste furono le scellerate premesse da cui derivò un sessantennio di Misteri d’Italia, che passano impuniti per la morte di Enrico Mattei, Mauro De Mauro, Pierpaolo Pasolini, Mino Pecorelli ed altri e che oggi ci costringono a commemorare queste ed altre vittime senza ‘parte’, senza ‘causa’, senza barricate, senza ideale o bandiera, di fronte alle quali altro non possiamo fare che chinare il capo per la vergogna.

Carlo Anibaldi

LA TEORIA SUBCELLULARE DEL PIACERE di Carlo Anibaldi


Al primo sguardo appare una teoria biologica avanzata quella di cui andiamo a parlare, ma è in realtà una intuizione economica di quelle che in tempo di crisi possono essere utili e che spero mi faccia vincere il Premio Nobel per l’Economia e pure quello della Pace, perchè no, così io pure sono apposto.

 Sappiamo che la nostra unicità nell’universo mondo ci è conferita dall’unicità del nostro DNA, passata, presente e futura, scoperta assai recente questa…neanche sessant’anni. Sappiamo anche qualcosa della teoria degli insiemi e delle nuovissime scoperte della fisica di terza generazione, detta della “delocalizzazione” o “non local”. In quest’ultima si sostiene, con poche prove che non siano solo teoriche a dire il vero…sinora, ma piuttosto consistenti (del resto le ‘prove’ della veridicità delle teorie della Relatività di Einstein vennero molti anni dopo il ritiro del Nobel…..). Questi scienziati dicono che è sbagliato sostenere che in natura i sistemi siano ‘chiusi’, senza interscambi come riteniamo sino a tutt’oggi…e cioè che io sia un sistema, il mio unico lettore un altro sistema, il cagnolino qua sotto un terzo sistema e così via. Nella fisica “non local” infatti si sostiene che i sistemi non siano chiusi ma ‘aperti’ e in continua comunicazione tra loro tramite particelle subatomiche che si spostano incessantemente tra un sistema e l’altro senza problemi di confini, limitazione di spazi e di tempi…insomma siamo immersi in un unico enorme sistema che percepiamo suddiviso in miriadi di unità incomunicanti e assolutamente ‘diverse’ in tutto. Un discorso che per questi fisici suona veritiero quanto quello di un miliardo di granelli di sabbia che vogliano ad ogni costo sentirsi cosa diversa da una spiaggia. Abbracciando queste teorie trovano invece facile spiegazione fenomeni che oggi ci appaiono misteriosi…mi riferisco alle veggenze, le premonizioni fra gemelli, ma anche le catastrofi naturali e quelle umane collettive…presagite da milioni di persone alcuni anni prima dello scoppio della prima e seconda guerra mondiale (resoconti di psicanalisti su una infinità di pazienti di allora, parlano chiaro su questo punto). Se insomma i sistemi sono aperti e comunicanti, allora la comunicazione va ben al di là di quanto sinora supponiamo…poichè è quantomeno bizzarro pensare che alle particelle subatomiche serva il telefono per passarsi le notizie, più facile sarebbe ammettere che sappiamo quasi nulla sulle comunicazioni di informazioni a tali livelli.

A farla breve io alla fine ritengo che il DNA contenuto in ogni nostra cellula nucleata contenga molto più delle informazioni sulla nostra unicità biologica, ma abbia la possibilità di scambiare informazioni con ogni altra unicità …e se ammettiamo che il sistema Pinco Pallino non sia chiuso, allora non sarà necessario che tutto l’insieme faccia esperienze, ma sarà sufficiente che le faccia un suo componente.

Questa teoria chimico-fisico-biologica nonchè psico-antropologica, promette di diventare anche una importante Teoria Economica che dopo le tre Rivoluzioni Industriali non ha visto nulla di parimenti destrutturante il sistema conosciuto. Mi riferisco alle infinite possibilità di risparmio in tema di Felicità e Piacere e dei costosi mezzi per procurarselo.

Con poca spesa potremmo infatti recarci al più vicino aeroporto internazionale e con noncuranza lanciare un capello estirpato alla radice su ogni valigia diretta ai nastri trasportatori, a loro volta diretti agli aerei in partenza per tutto il mondo…ed attendere fiduciosi le informazioni che vogliano rimandarci dei magnifici viaggi che saranno dunque esperienza condivisibile…a patto di mettere a punto un buon ricevitore di informazioni subcellulari e anzi subatomiche…ma a questo penseranno i tecnici. Non è infatti stato compito di Einstein costruire la bomba atomica e caricarla su un aereo…lui ha solo indicato che era possibile.

Alla stessa maniera io aspetto paziente la conferma a queste teorie e nell’attesa del Nobel nel tempo libero lancio capelli all’aereoporto, e al supermercato quando ho fame e dal parrucchiere sotto casa quando ho desiderio di sapere di più sulle donne.

[Carlo Anibaldi 2012]

ALLE ORIGINI DEL MUOS


Informiamoci almeno delle ‘Cose Nostre’….

29 settembre / 5 ottobre 1944 – Strage nazifascista di Marzabotto (eccidio di Monte Sole), circa 1800 vittime (R.I.P.) OMAGGIO


«  Questa è memoria di sangue, di fuoco, di martirio, del più vile sterminio di popolo, voluto dai nazisti di von Kesselring, e dai loro soldati di ventura, dell’ultima servitù di Salò, per ritorcere azioni di guerra partigiana.  »
( Salvatore Quasimodo, epigrafe alla base del faro monumentale che sorge sulla collina di Miana, sovrastante Marzabotto)

« La nostra pietà per loro significhi che tutti gli uomini e le donne sappiano vigilare perché mai più il nazifascismo risorga. »
(Lapide del cimitero di Casaglia)

L’eccidio di Monte Sole (più noto come strage di Marzabotto, dal maggiore dei comuni colpiti) fu un insieme di stragi compiute dalle truppe naziste in Italia tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, nel territorio di Marzabotto e nelle colline di Monte Sole in provincia di Bologna, nel quadro di un’operazione di rastrellamento di vaste proporzioni diretta contro la formazione partigiana Stella Rossa. La strage di Marzabotto è uno dei più gravi crimini di guerra contro la popolazione civile perpetrati dalle forze armate tedesche in Europa occidentale durante la Seconda guerra mondiale.

Dopo il Massacro di Sant’Anna di Stazzema commesso il 12 agosto 1944, gli eccidi nazifascisti contro i civili sembravano essersi momentaneamente fermati. Ma il feldmaresciallo Albert Kesselring aveva scoperto che a Marzabotto agiva con successo la brigata Stella Rossa, e voleva dare un duro colpo a questa organizzazione e ai civili che la appoggiavano. Già in precedenza Marzabotto aveva subito delle rappresaglie, ma mai così gravi come quella dell’autunno 1944.

Capo dell’operazione fu nominato il maggiore Walter Reder, comandante del 16º reparto corazzato ricognitori (Panzeraufklärungsabteilung) della 16. SS-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS, sospettato a suo tempo di essere uno tra gli assassini del cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss. La mattina del 29 settembre, prima di muovere all’attacco dei partigiani, quattro reparti delle truppe naziste, comprendenti sia SS che soldati della Wehrmacht, accerchiarono e rastrellarono una vasta area di territorio compresa tra le valli del Setta e del Reno, utilizzando anche armamenti pesanti. «Quindi – ricorda lo scrittore bolognese Federico Zardi – dalle frazioni di Panico, di Vado, di Quercia, di Grizzana, di Pioppe di Salvaro e della periferia del capoluogo le truppe si mossero all’assalto delle abitazioni, delle cascine, delle scuole», e fecero terra bruciata di tutto e di tutti.

Nella frazione di Casaglia di Monte Sole la popolazione atterrita si rifugiò nella chiesa di Santa Maria Assunta, raccogliendosi in preghiera. Irruppero i tedeschi, uccidendo con una raffica di mitragliatrice il sacerdote, don Ubaldo Marchioni, e tre anziani. Le altre persone, raccolte nel cimitero, furono mitragliate: 195 vittime, di 28 famiglie diverse tra le quali 50 bambini. Fu l’inizio della strage. Ogni località, ogni frazione, ogni casolare fu setacciato dai soldati nazisti e non fu risparmiato nessuno. La violenza dell’eccidio fu inusitata: alla fine dell’inverno fu ritrovato sotto la neve il corpo decapitato del parroco Giovanni Fornasini.

Fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, dopo sei giorni di violenze, il bilancio delle vittime civili si presentava spaventoso: oltre 1800 morti. Le voci che immediatamente cominciarono a circolare relative all’eccidio furono negate dalle autorità fasciste della zona e dalla stampa locale (Il Resto del Carlino), indicandole come diffamatorie; solo dopo la Liberazione lentamente cominciò a delinearsi l’entità del massacro.

I processi per crimini di guerra

Al termine della guerra Walter Reder fu processato e nel 1951 condannato all’ergastolo, ma in seguito graziato su intercessione del Governo austriaco. Morì a Vienna nel 1991.

Nel 2006 ha avuto inizio il processo contro 17 imputati, tutti ufficiali e sottufficiali della 16. SS-Freiwilligen-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS. L’istruzione dei procedimenti ha avuto luogo grazie alla scoperta, avvenuta nel 1994, di 695 fascicoli di inchiesta presso la sede della Corte Militare d’Appello di Roma. Questi fascicoli, segnati con il timbro della “archiviazione provvisoria” datata 1960 e conservati in un armadio rivolto verso il muro, il cosiddetto “armadio della vergogna”, rimasto chiuso fino alla scoperta avvenuta nel 1994, contenevano i dati riferiti a numerosi ufficiali delle SS responsabili di crimini di guerra dal 8 settembre 1943 al 25 aprile 1945.
Il 13 gennaio 2007 il Tribunale Militare della Spezia ha condannato all’ergastolo dieci imputati per l’eccidio di Monte Sole, ritenuti colpevoli di violenza pluriaggravata e continuata con omicidio.

I condannati, tutti in contumacia, sono:

Paul Albers, aiutante maggiore di Walter Reder;
Josef Baumann, sergente comandante di plotone ;
Hubert Bichler, maresciallo delle SS;
Max Roithmeier, sergente;
Adolf Schneider maresciallo capo;
Max Schneider, sergente;
Kurt Spieler, soldato.
Heinz Fritz Traeger, sergente;
Georg Wache, sergente;
Helmut Wulf, sergente;

Il 7 maggio 2008 la Corte Militare d’Appello di Roma ha confermato gli ergastoli della sentenza di primo grado, e ha condannato alla stessa pena Wilhelm Kusterer, il quale era stato assolto in primo grado. Il processo si è concluso con la morte di Paul Albers, l’unico ad aver presentato ricorso in Corte di Cassazione.

Il parco storico e la Scuola di Pace di Monte Sole

Nella piccola frazione di Casaglia di Monte Sole don Giuseppe Dossetti volle insediare la comunità religiosa Piccola Famiglia dell’Annunziata.
L’estesa area della strage è stata trasformata in parco storico regionale (Parco di Monte Sole) sia per l’interesse ambientale che per mantenere la memoria storica della Resistenza e degli eccidi nazifascisti.
Nel 1994, cinquantesimo anniversario della strage, viene posta vicino ai resti della chiesa di Casaglia una campana fusa con materiale bellico, donata all’arcidiocesi di Bologna dal vicepresidente della Russia Aleksander Putskoj.
Nel 2002 è stata istituita la Scuola di Pace di Monte Sole per promuovere iniziative di formazione ed educazione alla pace e alla convivenza pacifica fra i popoli.

 

 

Bibliografia

Luca Baldissara, Paolo Pezzino, Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole, Bologna, Il Mulino, 2009.
Luca Baldissara, Paolo Pezzino (a cura di), Crimini e memorie di guerra, Napoli, l’ancora del mediterraneo, 2004.
Carlo Gentile: Le SS di Sant’Anna di Stazzema: azioni, motivazioni e profilo di una unità nazista, in: Marco Palla (a cura di), Tra storia e memoria. 12 agosto 1944: la strage di Sant’Anna di Stazzema, Roma, Carocci, 2003, p. 86-117.
Carlo Gentile: Marzabotto, in: Gerd R. Ueberschär (a cura di), Orte des Grauens. Verbrechen im Zweiten Weltkrieg, Darmstadt, Primus, 2003, p. 136-146.
Carlo Gentile: Walter Reder – ein politischer Soldat im „Bandenkampf“, in: Klaus-Michael Mallmann/Gerhard Paul (Hg.): Karrieren der Gewalt. Nationalsozialistische Täterbiographien (Veröffentlichungen der Forschungsstelle Ludwigsburg der Universität Stuttgart, Vol. 2), Darmstadt, Primus, 2004, p. 188-195.
Luciano Gherardi: Le querce di Monte Sole, Vita e morte delle comunità martiri fra Setta e Reno (1898-1944), Bologna, Il Mulino, 1986.
Renato Giorgi: Marzabotto parla. Venezia, Marsilio Editore, 1999.
Lutz Klinkhammer: Stragi naziste in Italia, Roma, Universale Donzelli, 1977, p.118-141.
Marzabotto, quanti, dove, chi, a cura del Comitato regionale per le onoranze di Marzabotto, Bologna, Ponte nuovo, 1995.
Jack Olsen: Silenzio su Monte Sole, Milano, Garzanti, 1971.
Dario Zanini: Marzabotto e dintorni, Bologna, Ponte Nuovo, 1996.

Filmografia

Quello che abbiamo passato. Memorie di Monte Sole (2007), documentario di Marzia Gigli, Maria Chiara Patuelli e Comunicattive (a cura di Scuola di pace di Monte Sole)
Lo stato di eccezione (2008), documentario di Germano Maccioni
L’uomo che verrà (2009), film di Giorgio Diritti presentato al Festival Internazionale del Film di Roma

ODIO FACEBOOK UN PO’…Parte terza


Alcuni devono cambiare casa a causa del loro Ego smisurato, ma in varia misura e con più o meno abili mascherature un Ego lo abbiamo tutti, altrimenti saremmo su un livello transpersonale tale che farebbe a pugni con l’iscrizione stessa ad un Social. Per sopravvivere pare che dobbiamo appellarci ad un universo consensuale…è il germe autolimitante del Social Network. Non vogliamo che sulla nostra bacheca scorazzino fascisti, conservatori, madonnari, mistici, autoritari, blasfemi, razzisti, omofobi, patrioti, qualunquisti, idioti…non vogliamo nemmeno che ci propongano giochi, quiz, sondaggi e nemmeno che ci inseriscano in Gruppi di condivisione che ci sono estranei…non vogliamo che ci vengano sottoposte baggianate tipo “firma qua per abolire il papa” o “firma qua per averla gratis”, che è la stessa cosa, scemenze. E allora…a forza di sfrondare si arriva in breve a quello che dicevamo di voler lasciar perdere, e cioè all’idealismo. Ci rendiamo conto che abbiamo un ideale di ‘frequentatore’ del nostro micromondo virtuale e questo ideale è il nostro clone. Tutto ciò avviene nonostante e a dispetto di dichiarazioni libertarie e di accoglienza. C’è chi si vanta di avere 4-5mila contatti e chi si vanta di averne 140, tra familiari, amici e compagni di scuola invecchiati, ma tutti tendono alla selezione per giungere a quell’universo consensuale che è quello che garantisce minor dispendio di energia e dunque paradossalmente il Social Network tende al suo contrario, a negare cioè la socializzazione come valore per giungere alla realizzazione di un ideale….un ideale di piattaforma costituita da affini e dunque ben individuabili soggetti. Ma per cosa tutto questo lavorio se non per ottenere il bene supremo? Quello per cui c’è gente che si è ammazzata di lavoro e altri che hanno rischiato anche la vita…chi è diventato ricco sfondato, chi s’è coperto di piaghe il corpo…chi mostra un’anima piangente e chi luminescente…chi vanta un petto pieno di medaglie e chi a petto nudo sfida soverchianti forze avverse. Quale il Bene Supremo per cui scartiamo in quantità industriale e diveniamo selettivi parossistici se non il desiderio…ma che dico desiderio…il bisogno infantile, direi neonatale, di attenzione?

LA RAGNATELA di Carlo Anibaldi


 Avete mai sentito parlare dell’Associazione Italiana dei Medici Zen? Oppure dell’Associazione Italiana dei Fisici Taoisti? O dei Filosofi Mormoni Italiani? No, certamente no!  Quello che abbiamo visto…noi e nostri nonni e bisnonni sone le associazioni cattoliche di ogni sorta, a coprire ogni ambito del libero pensiero per renderlo di parte.

 Non ci sono più i tribunali ecclesiastici e la Santa Inquisizione, nè il boia a Castel Sant’Angelo o il rogo in Campo dei Fiori. Quando i tempi sono cambiati a forza di cannonate piemontesi, la linea politica è diventata strategia…vincente. Abbiamo visto il proliferare di un associazionismo cattolico che in pratica avesse le stesse funzioni di precedenti istituzioni illiberali, ma senza averne l’aria.

 Dalla culla alla bara siamo seguiti passo passo da dictat circa il bene e il male, il buono e il non buono. Ma per questa operazione panculturale non poteva essere bastante il catechismo e la predica domenicale nelle chiese, ma una vera ragnatela che avvolgesse e collegasse ogni ambito, da quello educativo a quello professionale…da quello affettivo a quello artistico, perfino. Sono dunque proliferati asili di suore e salesiani di preti…colonie marine e montane per i giovani. E poi associazioni di medici cattolici, di scienziati cattolici, di filosofi, letterati, economisti e politici cattolici. I fondi a queste associazioni benemerite non sono mai mancati, mai sono stati soppressi o dichiarati fallimentari. Sono anzi spesso il centro vitale di quanto nella società funziona senza tentennamenti. Il successo arride da oltre un secolo a queste associazioni poichè sono le sentinelle della fede, gli avamposti di un pensiero unico che passa indenne attraverso guerre, crisi, rivoluzioni, controrivoluzioni e ogni sorta di catastrofe sociale, poichè sempre allineate coi potenti di turno.

 Per quanto con spunti paranoici, la cosa sarebbe comprensibile da un punto di vista dottrinale integralista ed  aggressivista…ma non è questo, non è nemmeno questo…le prove sono milioni, ma basta guardare a come migliaia di vedove sono state ‘convertite’ a lasciare alla chiesa i loro averi mobili e immobili…un tempo non lontano anche in modo coercitivo, basti guardare a Beatrice Cenci, il cui solo torto era di avere un patrimonio che facesse gola al papa e per questo fu assassinata. Oggi i metodi sono diversi, ma ugualmente la chiesa di Roma necessita di molti miliardi ogni anno. Soldi che…conti alla mano…servono a tenere in piedi la ragnatela descritta sopra e in minima parte, come fumo negli occhi, alla partecipazione in opere di misericordia. In quanto a queste ultime, bisogna anche dire che sulle elemosine ed i grandi elemosinieri, la chiesa ha costruito l’impero economico che conosciamo…Le opere missionarie all’estero sono le odierne crociate, a colpi di ospedali e collegi per fanciulli, operano la conversione di quanto c’è ancora da convertire. Retaggio di un mondo antico che non è nemmeno invecchiato, nei consessi, concistori e nelle encicliche dei papi che si avvicendano con la stessa mission da secoli.

ARIA FRITTA! [parafrasando Bukowsky]


Cazzo! La vita qua corre via di gran carriera…qualcuno va dicendo cose strane…tipo ‘riprendiamoci i giocattoli’, torniamo a quando eravamo felici, che si invecchia meglio. Ma io son più felice oggi di allora, a dire il vero…mah…Altri invocano un maggiore impegno civile, che la comunione con gli altri fa bene….bah, mica li capisco tanto pure questi. La società è decadente, dicono…azz! Che mi metto domani…in questa società decadente?  Ahahahaha….Urge una riflessione và, sennò domani in ufficio…alla pausa caffè, ci faccio la figura dell’imbranato coi colleghi…Dunque com’era ‘sta cosa? Ah sì, siamo decadenti, stante che pensiamo solo ai cazzi nostri…mmmmh, embè, dove sta il problema? No, così non va…mi devo impegnare di più in ‘sta riflessione. Azz…che caldo oggi….Prendo il walkmann con ‘Roma Capoccia’, di Venditti, un pacchetto di sigarette, un caffè americano e vado in camera mia. Mi spoglio, tengo le mutande e mi sdraio sul letto. Era un gran casino. La gente si aggrappava ciecamente a tutto quello che trovava: pittura, scrittura, scultura, berlusconismo, antiberlusconismo, comunismo, leghismo, macrobiotica, zen, surf, ballo, ipnotismo, terapie di gruppo, orge, finisco di vivere in Costa Azzurra, ciclismo, fascismo, cattolicesimo, sollevamento pesi, viaggi, solitudine, facebook, dieta vegetariana, anzi vegana, India, composizione, erbe aromatiche, direzione d’orchestra, fiori di Bach, campeggio, yoga, sesso estremo, domani mi iscrivo in palestra, affiliazione alle mafie, caciara, gioco d’azzardo, alcool, ozio, vado a vivere a Londra, gelato di yogurt, politica, Budda, Cristo, meditazione trascendentale, carriera, pedofilia, succo di carota, twitter, vestiti fatti a mano, viaggi aerei, New York City….. Azz…la gente fa un sacco di movimento e poi tutte queste cose sfumano e resta niente.

La gente deve trovare qualcosa da fare mentre aspetta di morire, gira a vuoto, un sacco di aria fritta. Sai che gli dico ai colleghi dell’ufficio alla pausa caffè? Che era bello avere una scelta e io l’avevo fatta da un pezzo, la mia scelta. Domani è lunedì e esce il Corriere dello Sport. Eccola qua la scelta. Alzo il volume e mi addormento. Gli italiani alla fine sapevano il fatto loro, azz se lo sapevano. Forza Roma!

(Carlo Anibaldi)

IL SIMBOLISMO JUNGHIANO (di Carlo Anibaldi)


Nel corso della sua lunga vita (1875 – 1961) Carl Gustav Jung ha esplorato molti ambiti riguardo l’animo umano ed i suoi segreti, ci ha lasciato infatti contributi che sono tutt’oggi riferimento fondamentale per chiunque voglia cimentarsi nello studio delle umane cose, particolarmente riguardo la psicologia del profondo, la filosofia e la storia dei Simboli dell’Umanità.

Si deve a Freud la fondamentale intuizione dell’esistenza di una zona del nostro immaginario che non è sottoposta alle regole della coscienza e che quindi sfugge alle categorie tipiche della mente quali il bene e il male, un prima e un dopo: l’Inconscio. In questo ambito, tipico del mondo dei Sogni, degli Istinti e delle Emozioni e dunque del cosiddetto “cervello arcaico”, non abbiamo un diretto controllo da parte della Coscienza, parte “alta” della psiche”, ci troviamo piuttosto nella condizione di subirne gli influssi. Gli studi di Freud conclusero che in questa zona inconscia della psiche confluiscono le esperienze, per lo più infantili, che in qualche modo la mente ha rifiutato e rifiuta in quanto percepite come dolorose e/o fonte di vergogna e non accettazione da parte di se stessi e degli altri. Tali contenuti, qualora irrisolti, cioè non portati alla luce della coscienza adulta, sono in grado di produrre quella sofferenza del mondo psichico individuale chiamata “nevrosi”, variamente espressa e comunque in grado di condizionare l’esistenza, se non altro per le enormi quantità di energia psichica imprigionata nei nuclei “infantili” delle nevrosi.

Quella appena descritta è, in sintesi, la definizione freudiana di Inconscio Personale e della possibilità che questo ha di interagire con l’individuo tramite la “nevrosi”. Jung allargò questo concetto, definendo un ambito che si aggiunge a quello e va oltre, trascendendo l’esperienza personale; chiamò questa zona inesplorata Inconscio Collettivo. L’Essere Umano, inteso come Specie, accumula, fin dalla notte dei tempi, esperienze che sono caratteristiche della specie e di nessun altro nel Creato. Tali Esperienze Fondamentali dell’Umanità sono, in questa concezione junghiana, strutturate nella psiche per diritto di specie, al pari dei processi filogenetici che la caratterizzano, come l’aver assunto la stazione eretta, l’aver modificato la dentatura, l’aver perso la pelliccia di pelo, ecc…

 I Simboli per Jung sono il linguaggio attraverso cui la mente si esprime, un linguaggio dunque molto antico che va inteso come nutrimento ed espressione della mente stessa e va a costituire l’essenza dell’Inconscio Collettivo, come lui stesso lo ha definito. Proverò a fare qualche esempio per rendere più chiaro il concetto espresso.

Alcune migliaia di anni or sono, ai quattro angoli del mondo, popolazioni lontanissime e certo non in contatto fra loro, tracciavano sulle rocce, sui monumenti funerari e sacri, sugli utensili, disegni di forma quadrata e/o circolare di aspetto e contenuto straordinariamente simile tra loro.

Il Simbolo della Croce è parecchio antecedente all’era cristiana, e lo ritroviamo nella simbologia sacra di civiltà lontanissime tra loro che nulla potevano avere in comune, se non qualche elemento psichico inconscio, appunto.

Figure mitiche come l’Eroe, il Guerriero, la Grande Madre, il Vecchio Saggio, il Fanciullo, il Demone, la Fata, le ritroviamo nelle culture delle più antiche e disparate civiltà del Pianeta. Questi miti sono figure archetipiche patrimonio dell’Umanità, vale a dire “contenitori” delle esperienze profonde dell’essere Umano inteso come specie e dunque dalla sua comparsa su questo mondo. La Mitologia Classica racconta infatti storie che ci sono “familiari”, come la leggenda di Edipo, quella di Demetra, di Venere o di Enea, che ritroviamo, pur con nomi e contesti diversi, nelle vicende  tramandate di antiche civiltà pellerossa, centroeuropee o asiatiche.

Gli eventi sincronici (premonizioni, veggenze) sono per Jung un’altra dimostrazione dell’Inconscio Collettivo. Le categorie spazio-tempo sono artifici della mente, la Fisica delle nano particelle ha infatti dimostrato che il prima e il dopo non sono valori assoluti, ma relativi all’osservatore che, a sua volta, è soggetto a più variabili. L’Inconscio è slegato da queste categorie “mentali” e allora accade che in particolari stati di abolizione della Coscienza (sogni, stati crepuscolari, trance, ecc…) ci si possa trovare in un “qui ed ora” che non ha inizio e fine, prima e dopo, al pari di un’immagine e allora ci si può parare davanti quello che chiamiamo “futuro”, ma che invero appartiene alla dimensione senza spazio e senza tempo che tutto comprende e che rappresenta l’Esperienza dell’Umanità, percepibile dall’Inconscio.

La conclusione cui giunge Jung è dunque che la psiche ha uno straordinario contenuto energetico connesso ai Simboli e, semplificando un importante postulato junghiano, si potrebbe dire che la vita di ognuno di noi è inconsciamente sospinta da un destino realizzativo che, a ben vedere, è già tracciato in un simbolo affondato nel nostro inconscio e che tendiamo a rappresentare nel corso della nostra vita. Guardando con questi occhi gli esseri umani che ci circondano, possiamo ben riconoscere tanti Edipo, tante Demetra e gli Eroi come El Cid o Giovanna D’Arco, i Demoni come Hitler e quelli votati al Male. Le tante Grandi Madri per antonomasia e i Vili, gli Avari, gli Eroi e i Puer di ogni epoca stanno lì a dirci che forse Jung ha intuito qualcosa di davvero grande che è la nostra stessa Essenza.

Carlo Anibaldi

 

LETTERA A ROBESPIERRE, L’INCORRUTTIBILE


[di Carlo Anibaldi]

Caro Maximilien, ti scrivo di ritorno da un mio recente viaggio a Londra, dove, strano a dirsi, il mio pensiero è corso fino a te. Stenterai a crederci, ma davanti al Parlamento inglese ho visto una statua di Oliver Cromwell, regicida (condannò a morte re Carlo I Stuart – 1649) ed anche golpista, diremmo oggi, poiché nel 1653 sciolse il parlamento e concentrò su di sé tutti i poteri (Lord Protettore del Commonwealth). Gli inglesi, si sa, sono liberi da sentimentalismi cattolici, sono pragmatici e hanno la giusta dose di onestà intellettuale che manca nei paesi latini, ciononostante la statua di Cromwell davanti al Parlamento, per di più di una nazione con ancora la monarchia, mi ha molto impressionato, poichè sancisce un principio non da poco: l’ideologia dominante in un dato momento storico non conta nulla al cospetto di valori universali. Ma ti rendi conto Maximilien che Cromwell sostenne in linea di principio quanto sostenesti tu in tema di rivoluzione politico-giuridica, ma senza alcuna attenzione al sociale, senza la tua volontà di estendere questi principi alle masse popolari, per sottrarle alla fame, alla miseria e all’ignoranza. Al contrario l’inglese soffocò nel sangue ogni anelito di uguaglianza e affrancamento delle masse. Non solo…Cromwell assoggettò le popolazioni cattoliche del nord Irlanda al potere dei protestanti, mentre tu ti battesti per l’abolizione della schiavitù nelle Colonie francesi. In definitiva Cromwell non aggiunse nulla al progresso civile e morale dell’umanità, ma la statua gliel’hanno fatta lostesso e davanti al Parlamento, poichè gettò le basi che fecero dell’Inghilterra la prima potenza marittima, commerciale e militare.

Tu Maximilien sei rimasto vittima del tentativo di cancellare ogni aspetto positivo del tuo passaggio nella Storia, nonostante sei l’uomo che ha ideato la Carta dei Diritti dell’Uomo, ispirando la costituenda Unione degli Stati Uniti d’America e che è alla base di ogni Magna Carta scritta dopo di te. Ti accusano di aver istituito il Terrore, quando in realtà ti circondasti di collaboratori sanguinari, più realisti del Re, diremmo oggi. Ti sei meritato l’aggettivo di Incorruttibile e per questo, solo per questo, fosti trascinato nella polvere e nel tuo stesso sangue.

Ti ho scritto, Maximilien, per restituirti un po’ del maltolto, per rassicurarti del fatto che è solo per paura delle tue idee davvero rivoluzionarie che non te l’hanno fatta la statua davanti al Parlamento e non perchè il mondo moderno deve più a Cromwell che a te…ma questo tu lo sai bene. Volevo solo ricordarlo a coloro che da un po’ di tempo in qua, in modo non casuale, vorrebbero tanto che tu, Maximilien Robespierre, fossi dimenticato.

[Carlo Anibaldi – 2012]

DOVE SONO I FOTTUTI SOLDI?


Ero alla bancarotta, il governo era alla bancarotta, il mondo era alla bancarotta. Ma chi cazzo li aveva, i fottuti soldi?” – Charles Bukowski

 

I personaggi che oggi governano questo Paese, non eletti, rappresentano solo se stessi e tutto il loro background e forma pensiero. Dunque per costoro, come le ‘manovre’ e le vistose azioni ed omissioni mostrano, non siamo cittadini, soggetti ‘politici’ e sociali, ma Utenti/Clienti…divisi in categorie tipiche, Buoni Pagatori, Cattivi Pagatori, Clienti Privilegiati, Clienti Ordinari e Insolventi. Le operazioni (bancarie) di un tale governo sono allora il rastrellamento di liquidità, calcolare Utili e Dividendi, Recupero Crediti. Come è noto, alle banche puoi ‘solare’ milioni, ma non certo 5 Euro, dipende da che tipo di Cliente sei e noi, stipendiati, disoccupati, sottooccupati, pensionati, non siamo nulla…a noi ci toglieranno tutto il possibile perchè siamo tanti e alla fine possiamo solo fare rumore e basta poichè le leggi non sono per noi ma per gli interessi delle lobby…che sono ben rappresentate in Parlamento e invece la gente comune non la rappresenta nessuno in questa Nazione indecente….dove i massimi rappresentanti vanno negli spogliatoi a congratularsi con giovani miliardari in attenzione alla Finanza e solo per aver tirato qualche calcio ad un pallone senza manco entusiasmare nessuno. Ci restituiranno briciole per far parlare i telegiornali, ma tutto ciò che funzionava male prima funzionerà peggio, dunque, in definitiva pagheremo di più per avere meno del risibile che avevamo prima, se lo mettiamo a confronto di quanto hanno in Germania, Inghilterra e Francia con tassazioni inferiori e stipendi superiori. Ci viene detto che non ci sono soldi per queste cose della gente comune e che col nostro astronomico debito pubblico questo alla fine ci meritiamo….ma con le mafie con fatturati che valgono finanziarie grazie agli appalti pubblici e il livello di corruzione da 60 miliardi che abbiamo, sappiamo bene come si è formato il debito pubblico negli anni, non ci raccontassero frottole e smettessero di raccomandare di non ‘disturbare’ il manovratore della ‘salvaitalia’. Chi ha solo vissuto, lavorato, tirato su una famiglia, mandato i figli a scuola e pagato il mutuo con interessi, non l’ha formato il debito pubblico, certamente no, ma ora questo governo di banchieri e tirapiedi degli stessi ci presenta il conto, a noi, ed è ingenuo sperare in operazioni di Giroconto…saranno solo le Banche e i Clienti Privilegiati a guadagnarci…esattamente come vediamo accadere ogni giorno nella banca sotto casa, dove ci fanno pagare anche il prelievo dei soldi nostri allo sportello. Ora ci dicono che dopo 37-40 anni di lavoro è da privilegiati andarsene a casa o ai giardinetti, da affamatori del sistema e delle generazioni future il volgersi altrove in serenità e dunque siamo trattenuti in servizio per tutti gli anni che c’è ancora salute, poi possiamo anche andarcene all’altro mondo e pure alla svelta. Io comincerei a presentare invece pacificamente il conto alla bella compagnia che faceva una opposizione da ridere ai precedenti governi e manco di facciata a questo governo dei garantiti contro la gente comune che nessuno li garantisce. In che modo? Non votando più nessuno che porti il loro nome e la loro faccia…altro che cambiare nome ai partiti….La crisi è crisi finanziaria, bolle, speculazioni, rapine di bande, mafiose e non, armate e no…non altro, non è una crisi dovuta al fatto che non circola danaro, non ancora. Le imprese e i lavoratori c’erano e ci sono, esattamente come in Germania, ma qua tutto ciò è calcolato niente, poichè in modo bipartisan i nostri ‘governanti’ hanno sempre evitato di legiferare per contrastare le speculazioni, gli arricchimenti illeciti, le evasioni fiscali, le sacche di privilegio ingiustificato e di furbizia. Hanno, tutti e ora più che mai, guardato al capitale e avallato, se non facilitato, ogni modo di accrescerlo, senza che nulla facesse loro rivoltare per lo sfregio al buon senso e alla giustizia sociale. Questi sedicenti uomini politici sono espressione di tante cose fuorchè i tuoi interessi, gentile lettore. Cosa aspetti a mandarli tutti a quel paese con operazioni forti? Ad esempio ritirando i pochi soldi rimasti dalla banca, smettere di votare persone che cercano il modo di ‘sfangarla’ e campare alla grande senza lavorare, acquistare solo prodotti locali, non usare le carte di debito e credito se non per prenotare un volo che vi porti lontano, boicottare le multinazionali poichè in maggioranza operano in modo non etico e solidale? Tanto per cominciare…poi si vedrà che altro c’è da fare. Dal mio punto di vista chiunque occupa una posizione istituzionale e allorchè c’è da tagliare e risparmiare comincia dal welfare e dalle pensioni e stipendi di gente comune, ebbene  è un usurpatore, un rappresentante di interessi altri e la gratitudine la cercasse allora altrove. Chi tenta di scoraggiarvi con lo spettro del ‘default’ merita una vostra domanda:” Il default di chi? Poichè il mio, e il tuo, è già avvenuto per il solo essere stati governati da sedicenti politici prima e da autentici nemici della gente ora“.

[Carlo Anibaldi – giugno 2012]

NO PASARAN!


Le persone che nonostante tutto rimangono sane, con equilibri sudati lungo percorsi spesso faticosi, diventano presto l’ossessione di coloro che non ce la fanno…accade sempre…nei posti di lavoro, nelle amicizie e ora anche sui Social Network. E’ una questione energetica…un vero furto di energia vitale. No pasararan!

  L’intelligenza emotiva non è equamente distribuita, come quasi nulla a questo mondo ed è, secondo alcuni psicologi, [un aspetto dell’intelligenza legato alla capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni. Wikipedia].

 C’è un esempio che vale per tutti…Ad una infinità di persone accade di avere una talmente scarsa conoscenza di se stessi e di come funzionano…che scambiano per sentimento positivo quello che è solo un transfert delle figure genitoriali su terzi malcapitati e vivono la loro vita saltando da un acting out all’altro…e allora parlano d’amore, di sentimenti profondi, di attaccamenti…si sbracciano una vita fra delusioni, abbandoni e gelosie come se piovessero…che gli uomini sono tutti idioti…che le donne sono tutte puttane…passano la vita intera ad asciugare le proprie lacrime, parlano di sofferenze patite e di ingiustizie senza pari….quando basterebbe un pizzico di umiltà e almeno, al 27esimo fallimento, accettare dei consigli…. da uno sconosciuto….e anche caramelle, da uno sconosciuto, che tanto il peggior nemico ce l’hanno dentro, non fuori….e darebbero finalmente pace al prossimo più prossimo.

[Carlo Anibaldi – Alias Carlos Jackal]

Eroi un cazzo!


Le piazze e le chiese sono piene di statue di assassini, spesso sanguinari. La differenza fra un monumento in piazza e 30 anni di galera è relativa al solo fatto che è davvero oggettivo: la Storia la scrive chi vince e generalmente scrive boiate. Ogni città e paese d’Italia ha un monumento a Vittorio Emanuele, ad esempio… quel Savoia che fu assassino di 60.000 borbonici massacrati nel campo di concentramento Sabaudo di Fenestrelle, e poi innumerevoli stupri contro donne e bambine, le esecuzioni sommarie, le confische arbitrarie, i furti delle risorse, il movimento partigiano del sud lo definirono ” brigantaggio”, costrinsero un intero popolo che non conosceva l’emigrazione ad abbandonare la loro terra a milioni, per le Americhe a seguito della depredazione.

[Carlo Anibaldi]

LE 10 REGOLE PER IL CONTROLLO SOCIALE di Noam Chomsky*


L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche.

1 – La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).

2 – Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema – reazione – soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3 – La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

4 – La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.

5 – Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

6 – Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l’emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti…

7 – Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori” (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

8 – Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti…

9 – Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di repressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!

10 – Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

* Avram Noam Chomsky (Filadelfia, 7 dicembre 1928) è  un linguista, filosofo e teorico della comunicazione statunitense. Professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology è riconosciuto come il fondatore della grammatica generativo-trasformazionale, spesso indicata come il più rilevante contributo alla linguistica teorica del XX secolo.

ESSERE ANARCHICO OGGI


Anarchismo non è sinonimo di ‘famo come ce pare’, questo è lo stravolgimento di un’idea, oltre che di un termine. Il pensiero anarchico è sintetizzabile nella bella idea che vuole che ognuno sia così partecipe del bene comune da potersi governare da solo senza pregiudicare l’altro. Nulla a che vedere con il comunismo o la democrazia rappresentativa, cui è sottesa l’idea che le masse siano incapaci di evolvere e dunque bisognose di essere ‘governate’, per lo più da persone bramose di potere e ricchezza personale.Il terzo millennio è iniziato con una crisi profonda dei modelli e quasi sempre ciò è avvenuto perchè le idee, alla fine, camminano sulle gambe dei peggiori. Lo diceva già Lenin un secolo fà. Dunque non le idee mancano, ma uomini giusti che vogliano occuparsi di politica, intesa come cura della cosa pubblica. E’ un ossimoro, mi rendo conto, del genere ‘mi sento vivo da morire’. Infatti gli uomini ‘giusti’ generalmente stanno alla larga dalla politica, che è l’arte del compromesso e talvolta della sopraffazione. Gli ideali anarchici sono utopici, ne convengo, ma non più di quelli della democrazia e del comunismo o del capitalismo. Alla base di tutto questo discorso c’è l’uomo e le sue possibilità evolutive. Dunque dobbiamo dare per scontato che le possibilità ci sono, perchè ci sono sempre state e ci hanno condotto fuori dalla barbarie e dalla legge della jungla. Sappiamo anche che la barbarie arde sotto la cenere ed è pronta a riprendere vigore ogni volta che gli uomini ‘giusti’ mollano.Dunque non si tratta di ripulire il mondo dai furbi, dagli ignoranti, dagli egoisti e dai sopraffattori (questa è davvero utopia, poichè i percorsi di crescita sono individuali, c’è chi evolve in un anno e chi non gli basta una vita intera), ma di far sentire queste persone come si sente un fumatore in un parco di Santa Monica: un didadattato, una persona fuori dal tempo, antica. In questa società occidentale i ‘disadattati’ sono invece al potere e radicano nelle menti deboli questi ideali da par loro e gli uomini ‘giusti’ si nascondono nel privato, poichè le minoranze sono perseguitate fino a che il mondo sta in mano ai cosiddetti ‘governanti’. Ecco, spostare questi equilibri, capovolgere il sentire comune è il mestiere dell’Utopia.Dal mio punto di vista è sbagliato perfino il concetto di ‘maggioranza’, alla base della democrazia. Un esempio paradossale per spiegarmi meglio. Secondo il principio di maggioranza gli handicappati dovrebbero strisciare su e giù per le scale e invece ha vinto il principio di minoranza, non puoi più costruire case e uffici con barriere architettoniche perchè non è vero che la maggioranza rappresenta sempre il meglio per tutti.I movimenti anarchici hanno frange che usano violenza, ritenuta commisurata alla violenza subita, perlopiù diretta alle cose e non alle persone, allo scopo di richiamare l’attenzione dei media. Su questo punto si può discutere all’infinito, ma alla fine non ne risulta sminuito il principio base: chi intende ‘governarci’, inevitabilmente ci pensa e ci tratta come bestiame, altrimenti non avrebbe scelto di guadagnarsi da vivere ‘governando’ i propri simili. Questo è uno dei principi da abbattere, filosoficamente parlando, come fu abbattuto quello della schiavitù, della segregazione razziale e del lavoro minorile per dar posto al diritto all’istruzione, al lavoro e al suffragio universale. Tutto ciò è costato lacrime e sangue lungo centinaia di anni, in quanto non accade mai che si salga da qualche parte prendendo strade in discesa. Ditelo forte ai milioni di cattocomunisti che asfissiano e incatenano, da destra e da sinistra, se così si può dire, questo Paese. La ‘globalizzazione’ non è, come i media tentano di farci credere, un fenomeno ineluttabile, ma il tentativo di riunire il potere in pochissime mani. Questa oligarchia, economica, finanziaria e politica, si propone di governare il mondo più di quanto stia già facendo. Tutti i movimenti e i partiti, ad esclusione di quello anarchico, portano acqua a quel mulino. Il futuro penso che sia nel pensiero anarchico, poichè sempre più persone non intendono vivere la propria vita all’interno di un gioco di ruolo, dove tutto è previsto, indirizzato, manipolato, finto. Cito il pensiero anarchico poiché è una delle poche forme mentis che ci slegano dal forte bisogno di essere servi o padroni o entrambi e dunque non liberi di considerare la nostra unicità e, alla fine, solitudine nell’universo.

Anarchia è sinonimo di Utopia esattamente come lo era la Democrazia al tempo di Cesare. Dunque nessuna utopia, ma un’alternativa, una possibilità. Il fatto che tale alternativa necessiti di una rivoluzione sociale è vero, ma non più di quanto furono necessari altri stravolgimenti sociali per l’affermarsi del capitalismo, del fascismo e del nazionalsocialismo. L’idea che gli anarchici siano dei comunisti rivoluzionari non è esatta, ma si è radicata per via del fatto che ovunque ci sia stato da menar le mani per abbattere il potere costituito, gli anarchici c’erano e sempre in prima fila. A cominciare dalla Rivoluzione russa, ma anche prima. In verità, gli anarchici semplicemente sanno che senza rivoluzione sociale qualunque cosa si faccia è un piacere allo statu quo, e allora si sono trovati spesso al fianco di movimenti rivoluzionari comunisti. Gli anarchici non fanno una questione di potere buono e potere cattivo, dunque non possono essere comunisti e statalisti. L’anarchia è anche altro… un modo di essere, una mentalità, un modo di vivere, un concetto e una visione differente della vita. E’ autonomia, rispetto, solidarietà, universalità, tolleranza, insomma… se la conosci t’innammori e dopo non potrai essere altro.

In vista e nella speranza di un sovvertimento sociale, gli anarchici sanno che opposte fazioni si contenderanno il potere. Per questa ragione la loro azione ‘prerivoluzionaria’ è rivolta a promuovere il rifiuto di ogni forma di potere dell’uomo sull’uomo, a convincere insomma le masse che non esiste la necessità di essere servi o padroni, poichè questo assunto è solo un’invenzione di menti astute e antiche come il mondo, non una legge di natura.

[Carlo Anibaldi alias Carlos]

IL MARE NEL BICCHIERE


Sono pochi quelli che pensano di infilare il mare nel bicchiere, eppure sono tantissimi che tracannano miriadi di informazioni ogni giorno. Le reazioni a questa indigestione di immagini e parole sono individuali…poichè ogni immagine ed ogni parola sollecita la nostra psiche fino alle emozioni…e ciascuno è sollecitato in maniera un po’ diversa. La TV ci bombarda con immagini che se son ‘normali’ manco le mandano in onda e tutti cercano di spaccare il video e le prime pagine dei giornali con parole “ad effetto”. Il risultato di questo diverso ritmo di sollecitazioni (solo 20 anni fa i ritmi erano assai diversi…anche per chi viveva in grandi città) va dall’alienazione all’inflazione psichica…passando per stadi che definiamo ‘normalità’. L’alienazione è madre dell’indifferenza e del cinismo e l’inflazione psichica è quando i contenuti strabordano il contenitore e praticamente si inizia a dare i numeri. Dunque la massa di informazioni può essere una minaccia agli equilibri di base e come tale si alzano delle difese di cui nemmeno ci rendiamo ben conto. Tutto sto cappello introduttivo per dire di certi commenti su FB e nei blog e forum che invitano a prendere tutto con maggiore ‘leggerezza’…altri che gridano al pessimismo imperante…altri che consigliano di ‘scopare di più e pensare di meno’…un classico…Infine coloro che tentano di ‘smontare’ ogni approfondimento con la tesi del ‘complottismo’. Ecco…io li capisco tutti questi amici spaventati da contenuti che superano il contenitore…neanche la marijuana è per tutti…e faccio il tifo per la conservazione dei loro equilibri, ma per favore…non passiamo alle offese…parliamone!

[Carlo Anibaldi – Maggio 2012]

 

Non vestivamo alla marinara (di Carlo Anibaldi)


I miei ricordi marchigiani sono pallidi e assai confusi, direi inesistenti e allora posso dire che sono nato all’età di circa tre anni, a Bologna, ma con origini decisamente marchigiane.

Nei primi anni cinquanta Bologna era una città fiera, orgogliosa del suo recente passato, per non essersi mai piegata fino in fondo allo strapotere del nazifascismo e per l’alto tributo alle lotte per la Liberazione. Da quegli anni e per il trentennio a seguire, fu il ‘laboratorio’ del Comunismo al governo in Italia; un Comunismo dalla faccia ‘buona’, nient’affatto stalinista come oltre ‘cortina’, con risorse e progresso sociale per ogni classe di cittadini, siano essi contadini, operai, commercianti, impiegati, artigiani, professionisti o imprenditori. Studenti e casalinghe, ognuno aveva un posto di rispetto in questa città efficiente, ordinata, allegra ed accogliente. Mi considero fortunato per esser vissuto a Bologna in quel periodo, fino alla fine degli anni sessanta, un posto unico, un’isola nella Penisola.

Abitavamo subito fuori Porta Galliera, alla Bolognina, davanti alla grande chiesa del Sacro Cuore, con annessi complessi scolastici e Salesiani.  Io e mio fratello maggiore fummo subito iscritti al Gruppo scoutistico davanti casa, il glorioso Bologna VII°, dove per una decina di anni abbiamo compiuto la carriera che si addice agli assidui e agli entusiasti. L’A.S.C.I. (oggi A.G.E.S.C.I.) era un’associazione cattolica, come anche oggi, ma la nostra ‘indipendenza’ all’interno delle attività parrocchiali era davvero notevole, direi autogestita, come si addice ad una congrega di giovani ‘esploratori’. Le esplorazioni che imparavamo a fare non erano solo quelle del territorio (topografia, astronomia, sopravvivenza e campeggio), ma, direi soprattutto, erano curate in modo particolare le esplorazioni dell’animo umano, e dunque imparavamo di amicizia, solidarietà, lealtà, tolleranza e convivenza. A soli sette anni avevo già imparato, ad esempio, che l’uso della forza coi deboli e della condiscendenza con i forti era cosa abominevole, molto più riprovevole che infilarsi le dita nel naso. E molte altre cose che spesso i genitori non hanno tempo e cultura per insegnare ai figli.

A quel tempo avere uno o più figli in collegi cattolici era un simbolo di status sociale e mio padre, che è sempre stato un po’ affetto da deliri di grandezza, ci iscrisse al più blasonato dei collegi di Bologna in quel tempo e forse anche di oggi, il San Luigi, in Via D’Azeglio, gestito da secoli dai Padri Barnabiti. Fino quasi al nostro trasferimento a Roma, alla fine degli anni sessanta, frequentammo questo istituto, molto serio, dove gli insegnamenti barnabitici e scolastici erano indissolubilmente legati e scanditi da attività quotidiane da vero Seminario; dove l’ora di religione era la più temuta e dove l’insegnante di Matematica era un anziano  barnabita dalla faccia di pietra.  I miei ricordi degli anni del San Luigi non sono sereni, anzi, le foto di rito degli anni scolastici stanno lì a raccontare il contrario, ma a posteriori devo dire che forse devo qualcosa di importante ai Preti Barnabiti, una specie di imprinting di non facile definizione….e non facile nemmeno a scrollarsi di dosso quando, più avanti, si comprende che solo i valori laici consentono di vivere in maniera cosciente.

In definitiva ed a posteriori, posso dire che per me e mio fratello, gli anni bolognesi della formazione, insieme all’associazione scoutistica e al San Luigi, sono alla base della nostra impossibilità ad essere dei veri bastardi, ‘qualità’ che sarebbe invece stata indispensabile per farsi largo in un posto come l’Italia.  Siamo infatti solo onesti e ingenuamente convinti che solo il lavoro ben fatto possa darci tutto quanto ci serva nella vita, compresa la dignità.

Quegli anni del boom italiano videro la mia famiglia impegnata in nuovi progetti: mia sorella sposò il suo principale e mio padre allargò le sue ambizioni imprenditoriali di commerciante di carni da macello. Negli anni a venire fu chiaro che entrambi i progetti erano destinati a fallire. Negli anni a venire fu soprattutto chiaro che il boom di quegli anni fu per pochi, ma allora il presente era ‘promettente’ e se è sensato dire che ogni famiglia ha il suo momento magico, quello con le luci accese, ebbene per la mia famiglia d’origine questo è collocato fra il ’55 e il ’65.  Visto attraverso gli occhi di un bambino piuttosto introverso intorno ai dieci anni, il mondo appariva un buon posto dove stare; la fantasia assai fervida mi spingeva ad immaginare mondi lontani e situazioni avventurose. Io correvo sempre, con la mente e con il corpo, tanto da distruggere quantità industriali di scarpe, magliette e pantaloncini, ma intorno a me il mondo girava piano, rassicurante, indolente. Non succedeva mai che costruissero un supermercato nel campetto da pallone o che a qualcuno fosse usata violenza. I pomeriggi erano lunghi e le estati non finivano mai. Nonna mi preparava le merende e mamma mi ricuciva i pantaloncini. Nei rari momenti di quiete motoria leggevo Zanna Bianca, I Ragazzi della Via Pal o Il Visconte di Bragelonne. C’era musica alla radio e per tutta una sera la musica fu assai seria perché era morto il “Papa buono”. Fu forse la prima volta che vidi mia madre con una lacrima sul viso, ma ne seguirono altre.

Mum & Dad

In quegli anni ero certo che la morte fosse una cosa triste e inevitabile che riguardasse i parenti vecchi. A 10 anni i parenti sono sempre un po’ vecchi. Fra i compagni di giochi, i fratelli e il resto del mondo non c’erano così tante sfumature: noi e i vecchi. La morte di mio nonno materno mi impressionò molto perché mi costrinse a soffermarmi sul significato di alcune parole che la domenica in Chiesa ripetevo distrattamente a memoria da sempre: eternità, vita, morte, peccato, pentimento, colpa, resurrezione della carne (e qui ci coglievo dei nessi col commercio di mio padre), paradiso, inferno, purgatorio, preghiera. Ora vedevo mamma buttata sul lettone a piangere e il prete che la consolava e rassicurava facendo grande uso di quelle parole. Le mie deduzioni in quella triste circostanza portarono altre certezze: i preti in chiesa sono i padroni della morte e della vita, del paradiso e dell’inferno, del riso e del pianto di mamma. Sono dunque persone importanti con cui non bisogna scherzare troppo e men che meno contraddire.  Mio padre era nato nel bel mezzo della prima guerra mondiale e dunque la sua formazione e le sue idee, fortemente risentivano della formazione e delle idee di genitori e nonni che erano cresciuti nella seconda metà dell’ottocento. Devo dunque perdonargli idee bizzarre come l’aver riservato ai figli maschi il ciclo completo di studi e parecchie altre che solo il tempo ha lavato dal rancore connesso alla incomprensione. Mia madre era una donna cui la guerra ha strappato i sogni di gioventù. E dunque questa Rossella O’Hara con le maniche rimboccate era la donna che distrattamente si occupava della crescita dei suoi figli. La sua rabbia e delusione era cosa così evidente agli occhi di un figlio attento, che mi fu per lungo tempo impossibile scrollarmi di dosso il mantello del Cavaliere Salvatore di donne inermi insultate dalla vita. Condizione questa che certamente influenzò le mie prime scelte amorose. Ha fatto tutto quanto la sua indole le ha consentito di fare e allora non ho nulla da rimproverarle.

Gli anni cinquanta volgevano al termine e allora basta col ghiaccio da portare in casa per conservare i cibi, basta con la televisione al bar il sabato sera, basta biciclette e lambrette. Basta latte sfuso e spaghetti a etti. Avevamo come oramai tantissimi italiani un frigorifero, un apparecchio televisivo tutto per noi e l’automobilina Fiat per le gite fuori porta, e non dovevamo più invidiare un po’ lo zio che veniva di tanto in tanto con la sua Balilla dalle Marche a trovarci. Una delle prime sere che avevamo l’apparecchio telefonico in casa, mio padre lo usò in ora tarda per chiedere alle signorine dei telefoni chi aveva vinto il Festival di San Remo: Tony Dallara e Renato Rascel con Romantica, era il 1960.

Alla fine degli anni cinquanta l’affitto di casa incideva per 1/6 dello stipendio e potevi acquistare uno scooter con meno della metà della paga di un operaio e allora furono in molti a pensare che risparmiando sulle spese voluttuarie, che del resto erano ancora assai lontane dalla mentalità comune, si potevano accantonare abbastanza soldi per acquistare un appartamento. E così fu per milioni di italiani che guardavano fiduciosi al futuro.

In quegli anni, sui muri dei magazzini di periferia dove andavamo a giocare, c’erano grandi scritte nere su fondo bianco che non capivamo, in particolare una che ammoniva: “La stasi debilita, l’azione rinfranca”, figuriamoci, non stavamo mai fermi un momento! E quell’altra: “Vincere e Vinceremo”, tutte sempre firmate con una M corsivo maiuscolo. Eravamo figli di ferrovieri, piccoli commercianti, impiegati e operai, tanti operai e decisamente non vestivamo alla marinara. Molti di noi avevano indosso pantaloncini e magliette dei fratelli maggiori e poi ogni venerdì veniva il mercato americano e la mamma ci comperava strane camicie con i bottoncini sul colletto, sempre troppo grandi, buone anche per gli anni a venire. Il Caffè sotto casa aveva una saletta al piano superiore con un grande televisore e ogni sabato sera eravamo tutti lì a vedere il Musichiere, ma avremmo visto qualsiasi cosa, purché fosse venuta da quella scatola magica. La domenica mattina era sempre un po’ speciale: c’erano le attività parrocchiali, che per noi bambini avevano il significato di rendere ufficiale la nostra attitudine a giocare, sudare e sporcarci. E poi il passaggio con papà alla pasticceria per i bignè, talvolta rovinato da una precedente fermata dal barbiere, che ci faceva sfumature incredibilmente alte, così duravano di più.

Gli anni della scuola non erano facili per noi: grembiulini neri, inverni lunghi, macchie d’inchiostro sulle dita, tanti compiti a casa e tante lacrime. Per i nostri genitori la scuola era la sola possibilità di offrirci un futuro migliore del loro presente, e allora niente sconti, serietà e senso del dovere erano le parole d’ordine, insomma una specie di “missione di famiglia” e allora per essere asini ci voleva davvero un fegato grosso così. Infatti a quel tempo gli asinelli si potevano contare sulla punta delle dita di una mano.

Forse non eravamo proprio felici, ma nessuno ci aveva mai detto che la felicità fosse cosa di questo mondo, del nostro mondo e dunque come si fa ad essere davvero infelici se non la conosci, la felicità?

Carlo Anibaldi

1° Maggio – La nostra Festa Cafona


« In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe di Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito. » (da “Fontamara”Ignazio Silone)

La situazione è questa tutt’oggi, ma per il 1° Maggio a Roma si fa il gran Concertone‎…qua la buttiamo in musica…c’è un’infinità di persone che contano su questo nostro farci una cantata in coro e ogni volta non manchiamo di deluderli, sarà meglio di San Remo e costerà pochi soldi. Forse interviene anche il Sindaco, che ovviamente è stato invitato in questo culo e camicia generale….ma è sempre sperabile un uragano di vento e pioggia torrenziale su questa cosa inutile e soporifera per festeggiare il lavoro che non c’è più e buttare in retorica festaiola la carne viva che va in malora.

A PROPOSITO DI “LIBERAZIONE”


 Ci lamentiamo ogni giorno sui giornali e sui blog che in Italia una vera opposizione ai governi che via via si sono succeduti non esiste e che questa sarebbe una delle cause delle ‘anomalie’ italiane che ci fanno ‘diversi’. Eppure ci sono risposte ovvie a questa ‘anomalia’, ma sembra che politici e giornalisti le ignorino…Un po’ come se si andasse per strada senza pantaloni e ci si meravigliasse dei sogghigni dei passanti. In questo Paese si finge a tutti i livelli una ‘normalità’ che non c’è mai stata eppure si vorrebbe rispetto, dentro e fuori dai confini nostri. Sarebbe dunque da tempo il momento buono per tracciare una linea netta e decidere se stare di qua o di là. Tra coloro, cioè, a cui, per un motivo o per un altro, sta bene la suddetta situazione, e quegli Italiani, invece, che tendono fermamente a rifiutarla, e vorrebbero, in qualche modo, rimetterla in discussione.  Mi riferisco alla circostanza di non essere mai stati uno stato sovrano e vittime di sudditanza senza fine e confine nei confronti dei ‘liberatori’. Eravamo fascisti alleati dei nazisti, insieme abbiamo causato la morte di milioni di persone e distruzioni immani, dunque la ‘Liberazione’ non ci è giunta gratuitamente, ma sulla base di trattati zeppi di clausole ‘segrete’ che ci hanno tolto la sovranità per oltre un sessantennio. De Gasperi la sapeva molto lunga su questo punto e fra cento anni forse leggeremo qualcosa negli archivi di stato sul perchè i vertici dei Servizi di Mussolini erano ad organizzare i Servizi della neonata Repubblica. Su questo punto dovremmo chiarirci le idee e prendere posizione, possibilmente non ipocrita.

“Prendiamo la libertà di opposizione politica. Se ci fosse stata questa libertà ci sarebbe stato qualche partito di opposizione in Italia dopo il 1945, almeno uno, non è vero ? Invece un partito del genere in Italia, dopo il 1945 non c’è mai stato. Ci fosse stato avremmo sentito in Parlamento certe recriminazioni, certe richieste, certe verità del tipo : Siamo una colonia degli USA ! Vogliamo vedere tutte le clausole segrete del trattato di resa del 1943 e dei successivi ! Il governo ammetta che l’Italia è costretta a pagare per il mantenimento delle basi USA nel Paese ! Il governo ammetta che in Italia i militari e anche i turisti statunitensi hanno l’immunità giudiziaria ! Invece di fingere di preoccuparsi per la disoccupazione, il governo ammetta che l’Italia è stata costretta a chiudere tutte le sue industrie strategiche, militari e civili, con perdite di milioni di posti di lavoro ! Il governo ammetta che i dati dell’interscambio Italia-USA sono truccati per far risultare un attivo che non c’è mai stato ! Invece di fingere di essere inefficiente e mentecatto, il governo ammetta di dover trascurare la ricerca scientifica su ordine degli USA, che vogliono indurre i nostri scienziati giovani e promettenti ad emigrare e fare là le loro scoperte e brevetti ! Il governo ammetta che la Mafia è una questione politica e trattarla altrimenti è una ipocrisia che costa magistrati e poliziotti morti ! Avremmo sentito queste e molte altre cose e invece come ognuno può constatare, niente. Perché appunto partiti di opposizione qua non ci sono, non ci sono mai stati. Lo Stato italiano post 1945 è tutta una finzione, un edificio grottesco basato su amnesie e falsità, e fare opposizione politica di necessità (non di sufficienza, certo) significa opporsi a tutto ciò, ma appunto nessuno lo ha mai fatto. Non lo ha certo fatto il PCI, i cui militanti durante la guerra hanno combattuto agli ordini degli Alleati e nel dopoguerra hanno eseguito per loro ordine lo sterminio dei quadri portanti del PNF, 30.000 e più persone: come avrebbe mai potuto il PCI opporsi agli USA, se la sua stessa incolumità dipendeva da loro? Lo diceva, certo, ma non lo faceva. Idem per il PRC di adesso, non parliamo del PSI di una volta, per carità del PSDI e neanche del “puro“ PSIUP. E non lo ha fatto neanche il MSI, a cominciare dall’inizio e in tutte le varie denominazioni: un partito che ha fatto la “svolta atlantica“ non era certo l’erede del PNF, non era certo quello che diceva di essere.   Come è stata possibile una tale divaricazione fra i fatti concreti e le parole, le declamazioni e i programmi scritti dei partiti, specie dei più caratterizzati ideologicamente come appunto il PCI e il MSI? Essenzialmente, tramite gli infiltrati, che nel caso sono politici in genere giovani e promettenti – e molto, molto ambiziosi – scelti nelle organizzazioni politiche (partiti, sindacati, quotidiani eccetera) in cui militano, pagati nascostamente e potentemente aiutati a “fare carriera“, anche sino al vertice. Gli indipendenti invece sono ostacolati, boicottati, fatti passare per scemi o – anche – per spie, e nel caso diventino un problema sono anche fatti fuori (uno per tutti: Moro). Il motore dietro il tutto sono gli USA, che dirigono le strutture statali italiane sul campo, i Servizi, il ministero degli Interni eccetera, e l’obiettivo è di mantenere tutte le organizzazioni politiche esistenti nell’ambito della dinamica concettuale scelta come accettabile, politically correct, cioè per l’Italia all’interno del castello di menzogne ufficiali accennato sopra. O si credeva che gli USA prima conquistano l’Italia con una guerra e poi se la lasciano portare via di sotto il naso da quattro indigeni mezzo studiati che mettono in piedi un partito di opposizione? L’obiettivo è sempre stato raggiunto, gli infiltrati in Italia dominano il campo, anche oggigiorno. Anzi, soprattutto oggigiorno : come potrebbero spiegarsi infatti gli incredibili “ribaltoni“ di alcuni partiti, che hanno esattamente invertito tutta la loro linea politica, compresa la loro posizione su certi argomenti chiave (si pensi a topiche come le origini culturali dell’Europa, gli immigrati, Israele, anche il mandato di cattura europeo stesso…), se non con l’attività di infiltrati di primo piano? Questa sarebbe “libertà di opposizione?” [ J. Kleeves]

Bibliografia

– Documenti di resa Italiana durante la Seconda Guerra Mondiale. [http://pdsm.altervista.org/resa_italiana.html#str3]

– “Vecchi trucchi” di J. Kleeves

LA POLVERE DELLA STORIA


di Carlo Anibaldi

Ai nostri contemporanei dobbiamo tutto, il resto è solo la polvere della Storia che, pur inconsistente, tutto ricopre. Ci sono valori e circostanze che riteniamo centrali nella nostra storia personale; generalmente sono gli incontri, l’Amore, la Libertà, la Fortuna, gli affetti e poco altro. Con ciò tutto sembra detto. Per altri versi, anche a volerli mettere in fila, in ordine di importanza personale o anche in ordine alfabetico, par sempre che manchi qualcosa.

Dico questo perché il nostro sentire più intenso è nell’unicità, eppure ci muoviamo all’interno di valori, sentimenti, azioni ed emozioni che sono universali e universalmente vissuti, senza distinzioni di luogo e di tempo. Ma allora, cos’è che ci fa sentire così unici fra i nostri simili? Ogni nostra esperienza, con ogni probabilità, è già stata sperimentata o lo sarà in futuro. Queste stesse mie parole non è impossibile che già siano state pronunciate. Io credo allora che il sentimento che ci è più caro, quello che avvertiamo come unicità nel Creato, sia un dono dei nostri contemporanei.

I nostri contemporanei sono quattro o cinque generazioni di individui al massimo. Non sarà necessario stringere la mano a tutti per convincerci che stiamo compiendo insieme questa traversata. Dovremmo infatti, al pari dei passeggeri di una nave da crociera, essere tutti pervasi da un sentimento di magica empatia verso i nostri compagni di viaggio con cui stiamo condividendo esperienze. Per molti è proprio così, e quelli sono i migliori, perchè al di là di queste parole c’è davvero la possibilità di stringerci in un abbraccio con i contemporanei, a patto di considerarli compagni di viaggio quali sono.

In queste considerazioni sull’unicità che ci viene dalla contemporaneità, non posso fare a meno di soffermarmi sulla qualità dei nostri compagni di viaggio, che è la stessa cosa che considerare la qualità della nostra vita. Intendo dire che, ad esempio, essere ebrei ed aver avuto Hitler come compagno di viaggio è stato determinante per milioni di persone che aspiravano legittimamente ad una vita degna. Alla stessa maniera, per tanti uomini di colore fu determinante per le loro vite aver avuto Abramo Lincoln come Presidente, un contemporaneo di alta qualità.

Nel privato le cose non vanno molto diversamente. Il meglio e il peggio della nostra esistenza sta più nelle mani degli altri che nelle nostre. A dispetto di pur affermate teorie psicologiche, io penso che nella formazione della qualità della nostra vita, il ruolo centrale è affidato ai nostri contemporanei. Non mi riferisco in modo esclusivo ai contemporanei prossimi, che pur hanno un ruolo importante, ma in definitiva un marito manesco lo si può abbandonare. Diverso è prendere le distanze da un’autorità disonesta o dai mandarini di un regime, ma questo è un’altro discorso.

 Non fosse per i nostri contemporanei, saremmo, come del resto alla fine saremo, un puntino indistinto in una moltitudine di lapidi di sconosciuti, come negli antichi cimiteri di campagna che ci è capitato di visitare. Nel bene e nel male sono loro a conferirci unicità e irripetibilità, i contemporanei. Per convincercene in maniera definitiva dovremmo sfogliare quei vecchi album di foto al mercato delle pulci: quelle persone di cent’anni fa sono morte due volte, anche nella loro unicità che hanno perduto con la perdita di tutti i compagni di viaggio e dunque con l’oblio sentimentale. Perfino gli artisti e i grandi personaggi, quelli che sembravano i padroni degli eventi e delle genti, non hanno un destino diverso, infatti ciò che sopravvive è solo la polvere della Storia, quella sottile patina che contiene i rumors, le tracce, nei Movimenti e nelle opere, ma l’unicità dovuta allo scambio di sensazioni e sentimenti con i contemporanei è finita col finire dell’esistenza in vita dell’ultimo compagno di viaggio. Fintanto che erano in vita i superstiti del Titanic, ebbene quella era una forte esperienza che emozionò i contemporanei per decenni, poi è divenuta Storia, polvere impalpabile, irraggiungibile come sa esserlo un racconto d’altri tempi.

24 Marzo 1976 – DESAPARECIDOS, CAPITOLO ATROCE DELLA STORIA


di Gianni Martinelli

Nelson Martín Cabello Pérez, Gustavo Alejandro Cabezas, Ary Cabrera Prates, Jorge Eliseo Cáceres, Edgar Claudio Cadima Torrez, Eduardo Alberto Cagnola, Ricardo Luis Cagnoni, Italo Américo Cali, Simón Campano, Horacio Raúl Campione, María Silvia Campos, Luis Canfaila, José Antonio Cano, Alberto Canovas Estape, Carlos Hugo Capitman, Julio Cesar Carboni, Alvaro Cardenas, Daniel Hugo Carignano, Laura Estela Carlotto….

I pochi nomi sopra citati dovrebbero al contrario essere circa 30.000 perché questo è il costo in vite umane dell’immane tragedia dei desaparecidos in Argentina. Ma alla Casa Rosada, il palazzo  del potere argentino, alla sparizione di 30.000 persone si devono aggiungere altre cifre agghiaccianti come l’appropriazione di più di 500 figli di scomparsi, la detenzione di migliaia di attivisti politici e l’esilio di oltre 2 milioni di persone. Nomi e cifre identificano l’orrore del genocidio subito da un’intera generazione di civili argentini negli anni tra il 1976 e il 1983. Ricordiamo questo orrore perchè compito dello storico è quello di contrastare le attualissime spinte al revisionismo che cercano di nascondere e a volte addirittura di negare quello che in realtà è avvenuto. La portata di questa immane tragedia deve invece emergere in tutta la sua violenza e veridicità per essere anche un monito affinchè simili genocidi non si verifichino mai piu’ in nessun luogo. Come scrive Marco Bechis, regista di “Garage Olimpo” e “Hijos”: “la memoria è la capacità di ricordare il passato e riconoscere nel presente tutte le situazioni che gli assomigliano. Quindi serve ad agire oggi e non deve essere solo qualcosa che funziona con 50 anni di ritardo. La memoria è l’unico strumento che può impedire il ripetersi di errori”. La storia dell’Argentina sarà per sempre macchiata dal sangue dei desaparecidos e “Nunca Mas” (Mai più) è il grido che risuona ed esplode da tutte le associazioni mondiali di tutela dei diritti umani e, più in generale, dagli “ultimi cittadini liberi di questa famosa città civile” (come cantava Fabrizio De Andrè nella sua “Domenica delle salme”).

La Storia. Per comprendere appieno la tragedia dei desaparecidos dobbiamo inserirla nel contesto storico che l’ha generata. La nostra analisi non può che partire dunque dalla data del 1 luglio 1974 giorno della morte di Juan Domingo Peron, leader incontrastato della scena politica argentina fin dagli anni 40. Peron venne eletto presidente per la prima volta nel 1946, ed emblematica è la sua rielezione nel 1973 sull’onda di oceaniche manifestazioni popolari, alla veneranda età di 78 anni. Dopo la sua morte diventa presidente dell’Argentina la sua terza moglie Isabel Perón ma nello sgomento generale e in un clima di smobilitazione prende sempre più piede la figura di López Rega, che crea uno stato di polizia, inaugurando la fase del terrorismo con la formazione dell’Alleanza Anticomunista Argentina (detta Triple A). Nascono bande e organizzazioni paramilitari al servizio del potere politico con il fine di eseguire omicidi e sequestri degli oppositori al regime. In un clima di sempre maggiore incertezza economica e politica i militari decidono di assumere direttamente il potere rovesciando il governo di Isabelita Perón. E’ il 24 marzo del 1976 e ha inizio in Argentina la dittatura militare con il terribile triumvirato Massera (comandante della Marina), Agosti (comandante dell’Aeronautica) e Videla (comandante dell’esercito e presidente di fatto). Con il pretesto di effettuare un processo di riorganizzazione nazionale instaurano il terrorismo di Stato su grande scala. Dichiarano lo stato di assedio abrogando i diritti costituzionali, sospendono le attività politiche e di associazione e chiudono e sequestrano sindacati e giornali. Per ottenere qualsiasi tipo di informazioni su veri o presunti nemici del regime viene istituzionalizzata la pratica della tortura, praticata in centri clandestini di detenzione nei quali vengono incarcerati i detenuti illegali. Il clima di terrore e paura tra la popolazione viene così accentuato dalle prime sparizioni di persone: è l’inizio del dramma dei desaparecidos. I militari rimangono al potere fino al 1983 e il motivo della loro caduta va ricercato principalmente nell’insensata azione di guerra promossa nel 1982 dall’allora presidente Galtieri. Questi facendosi paladino della realizzazione delle tematiche nazionaliste tanto care ai militari decide di occupare le isole “Malvinas” (Falkland), da 150 anni nelle mani degli Inglesi. Il risultato dell’operazione bellica è disastroso; le truppe argentine sono inesperte, mal equipaggiate e mal alimentate, nascoste in trincee sotto il bombardamento delle superiori forze britanniche subiscono numerosissime perdite umane. Ed è proprio sull’onda di questo altissimo prezzo pagato che l’Argentina inizia il processo di transizione alla democrazia con la destituzione di Galtieri e la salita al potere di Bignone. In questa ultima fase la dittatura getta le basi per il suo epilogo: i militari particolarmente preoccupati per le possibili conseguenze dei loro atti eliminano gli archivi della repressione clandestina e decretano un autoindulto che li esonera dalla responsabilità per gli atti compiuti durante la dittatura. Nel 1983 i radicali portano alla presidenza Raúl Alfonsín. Il nuovo governo ristabilisce pienamente le libertà democratiche e le garanzie costituzionali tentando, ma riuscendovi solo in parte, di giudicare e condannare i colpevoli dei massacri e delle torture.

Buenos Aires Horror Tour. Massimo Carlotto nel suo libro “Le irregolari” descrive un viaggio nei luoghi dell’olocausto argentino. Ne emerge una Buenos Aires segnata anche topograficamente dalla tragedia: ogni sua strada, ogni sua piazza, ogni suo angolo porta con sè i segni indelebili dell’orrore. Il lettore entra insieme all’autore nel pullman della memoria guidato da un reduce della tragedia, per ripercorre insieme a loro i luoghi della vergogna da non dimenticare: “Numero 5600 di Avenida Rivadavia… il ventinove giugno del 1978 lì dentro hanno sequestrato Jorge Alejandro Segarra” (…) “Numero 1444 di calle Andonaegui, qui viveva il ventiduenne Eugenio de Cristofaro… lo sequestrarono il 14 settembre de 1976″ Ma la tappa più terribile del Buenos Aires Horror Tour è forse quella dell’ESMA, la terribile Escuela de Mecanica de la Armada. Nei suoi locali la dittatura allestisce uno dei più terribili campi di concentramento nel quale vengono rinchiusi e torturati migliaia di desaparecidos. Si calcola che dentro la scuola morirono circa 5.000 persone. Per due anni, ogni mercoledì, dalla base militare dell’ESMA, aerei carichi di desaparecidos si levano in volo diretti verso l’oceano; migliaia di persone torturate e narcotizzate vengono lanciate in mare ancora vive. La verità sta lentamente emergendo anche grazie alle confessioni di Adolfo Scilingo, ex capitano della marina militare argentina che ha svolto servizio proprio all’ESMA. Ecco le terribili parole che rivela al giornalista Horacio Verbitsky: “Era qualcosa che doveva essere fatto. Non so cosa senta un boia quando deve uccidere… A nessuno piaceva farlo ma era gradevole… Era qualcosa di supremo che si faceva per il paese. Un atto supremo”. Questa breve testimonianza evidenzia il clima di follia e di terrore che regnava in quegli anni in Argentina. Un clima che fa sorgere spontanea una domanda: ma quanto è lungo questo horror tour? La risposta ce la fornisce lo stesso conducente del pullman: “Non ti basterebbero tutte le notti della tua vita. Buenos Aires non finisce mai”. Il 30 aprile 1977 per la prima volta 14 donne “ingenue, vecchie e molto addolorate” scendono nella Plaza de Mayo di Buenos Aires a chiedere ragione della sparizione dei loro figli; la polizia, chiamandole locas (pazze), tenta di sloggiarle intimando loro di “camminare”. Così, camminando attorno alla piazza, inizia la lunga marcia delle Madres dei desaparecidos davanti alla Casa Rosada, sede della presidenza argentina. Una marcia attorno all’obelisco simbolo di Buenos Aires con il capo coperto da un fazzoletto bianco e in mano le foto e le immagini dei cari scomparsi. Una marcia che non si arresta neanche di fronte alla dura repressione militare che uccide Azucena Villaflor, la fondatrice del movimento. Le Madri non si danno per vinte e ogni giovedì scendono sempre in piazza noncuranti delle manganellate e degli arresti della polizia che cerca ogni volta di disperderle invocando le norme sullo stato d’assedio che proibiscono gli assembramenti non autorizzati. A chi chiede di accettare la morte senza spiegazioni, le donne cominciano a chiedere “la ricomparsa in vita”. A chi propone di ricercare le tombe, esse rispondono: “Nessuna tomba può contenere un rivoluzionario”. Leader del movimento diventa Hebe de Bonafini che così commenta: “Non vogliamo la lista dei morti, vogliamo i nomi degli assassini. Non vogliamo l’oblìo, perché vogliamo che ciò che è avvenuto non si ripeta mai più. Non dimenticheremo, non perdoneremo. Un corteo di figli di desaparecidos

A noi non interessa che i desaparecidos siano ricordati e le madri stimate. Vogliamo che i nostri figli siano imitati. ” Ma le madri non sono sole. Il 5 agosto 1978, giorno dedicato all’infanzia, due giornali pubblicano un appello. E’ quello delle Abuelas (Nonne) di Piazza de Mayo, ed è rivolto alle “coscienze e ai cuori delle persone che detengono i nipotini scomparsi, o li hanno adottati, o sanno dove trovarli”. Anche le nonne come le madri urlano con forza che i piccoli scomparsi dopo il golpe devono tornare alle famiglie legittime; è orribile che i bambini vengano cresciuti dalle stesse famiglie che hanno torturato e trucidato i loro genitori legittimi. Ma anche le nonne si scontrano contro il muro di gomma dei tribunali e dei militari che reagiscono ricordando che i loro figli erano degli “assassini” e quindi non hanno il diritto di allevare i propri nipoti perché li trasformerebbero ugualmente in criminali accaniti. Dal 1989 è Estela Carlotto la presidente delle Abuelas de Plaza de Mayo. Sua figlia Laura poco prima di venire uccisa le ha rivelato di avere partorito uno splendido bambino che avrebbe voluto chiamare Guido. Riportiamo di seguito alcuni passi della commovente lettera che Estela Carlotto ha inviato al nipote, mai conosciuto, al momento del suo diciottesimo compleanno: “Caro Guido, oggi che compi diciotto anni, voglio raccontarti cose che non sai ed esprimerti sentimenti che non conosci. I tuoi nonni appartengono a quella generazione che attribuisce a ogni data un valore speciale e particolare. La nascita di un nipote è una di queste date (…). Oggi stai festeggiando i tuoi diciotto anni sotto un altro nome, accanto a un uomo e una donna che non sono tuo padre e tua madre, ma i tuoi ladroni. Loro neppure immaginano che la tua mente custodisce le ninne nanne e le canzoncine che Laura ti sussurrava, sola nella prigione, mentre tu ti muovevi nel suo ventre. Un giorno ti sveglierai, scoprendo quanto tua mamma ti amò e come tutti noi ti vogliamo bene. (…). Ti sveglierai un giorno da questo incubo, nipote mio, e sarai libero. Con tanto amore, nonna Estela”. Ma anche i figli non dimenticano e si è infatti costituito il gruppo “Hijos” che riunisce molti di quei ragazzi che hanno da poco scoperto la loro vera identità. Attraverso esami del DNA e ricerche accurate e approfondite cercano di rintracciare fratelli e sorelle spariti, cercando di smascherare le famiglie di quei militari che hanno dei figli pur essendo le donne geneticamente sterili. Un bell’esempio di queste indagini ce lo fornisce Marco Bechis nel suo film “Hijos” nel quale una ragazza argentina cerca di rintracciare il presunto fratello rubato e affidato a una famiglia di militari.

Cinema e musica. Documenti angosciosi del nostro tempo, molti film e molte canzoni denunciano senza indulgenze le crudeltà della tragedia dei desaparecidos, dando voce e cassa di risonanza ad un grido di dolore che non può essere dimenticato. Nel campo cinematografico ricordiamo il bellissimo e drammatico film di Hector Olivera “La notte delle matite spezzate” (1986) che, ispirandosi a fatti e persone reali, descrive gli arresti, la segregazione e le torture subite da un gruppo di giovani studenti. I fatti si svolgono a La Plata e la notte degli arresti (settembre 1976) verrà appunto ricordata come la notte delle matite spezzate per ironizzare cinicamente sul corso di studi artistici che stavano seguendo questi ragazzi che mai verranno restituiti alle loro famiglie. L’unica loro colpa è stata quella di avere richiesto il tesserino liceale in modo da avere prezzi ragionevoli sul caro libri e sull’uso dei mezzi pubblici, ma per i militari è abbastanza per fare scattare la repressione. Il film descrive l’arresto e le torture subite in particolare da sette studenti; le scene girate in carcere sono crude e realistiche con la macchina da presa rasente a muri scrostati e umidi e carrellate continue lungo le sbarre che simbolicamente sembrano testimoniare come l’intera Argentina sia incarcerata. Continui sono gli zoom sui lucchetti delle celle che immobilizzano una generazione il cui unico movimento è ridotto alle voci sussurrate dei ragazzi che bisbigliano da una cella all’altra cercando di farsi coraggio e di non impazzire. Solo uno di loro, Pablo Diaz, uscirà vivo dall’esperienza, dopo aver scontato 4 anni con l’accusa di essere stato scoperto a distribuire volantini sovversivi, guarda caso proprio nel periodo in cui era già desaparecido… Probabilmente uno degli intenti del film è anche quello di tentare di dare una spiegazione della scelta caduta su Pablo: arrestato fuori dal gruppo e in una situazione successiva, per la logica poliziesca risulta defilato rispetto all’organizzazione e quindi non è pericoloso. “E’ stato deciso che tu viva, ti porteremo fuori di qui: a patto di dimenticare tutto quello che hai visto, tu non sei mai stato qui”: desapariciòn fisica, mentale, psicologica. Nella cinematografia italiana ricordiamo invece gli altrettanto struggenti ed emozionanti film di Marco Bechis “Garage Olimpo” (1999) e “Hijos” (2001).  [Adriana Varela – Con la frente marchita] In”Garage Olimpo” si racconta la storia di una ragazza, Maria, militante in un’organizzazione che si oppone al regime dittatoriale, Laura Carlotto, sparita nelle carceri della polizia politica argentina. Una mattina le milizie la rapiscono sotto gli occhi della madre per portarla in uno dei numerosi luoghi di tortura nascosti a Buenos Aires: il garage Olimpo. Qui subisce interrogatori, torture e violenze di ogni tipo fino al tragico epilogo. Il secondo film “Hijos/Figli” è la continuazione naturale di “Garage Olimpo”. È la storia dei figli dei desaparecidos, nati nei campi di concentramento e adottati illegalmente da famiglie di militari che non ne potevano avere. Quei bambini sono oggi uomini e donne che non sanno di essere figli di desaparecidos, non sanno che le persone con cui sono cresciuti sono state molto spesso le responsabili dirette della morte dei loro veri genitori. Il film racconta la storia di due gemelli Rosa e Javier che vengono separati alla nascita grazie alla levatrice che per salvare almeno la piccola è costretta a fingere di aver fatto nascere il solo maschietto che viene rubato da una coppia di militari in procinto di trasferirsi in Italia. Vent’anni dopo, da Buenos Aires, Rosa inizia a cercare il fratello e riesce tramite internet a contattarlo a Milano dove decide di incontrarlo. I due ragazzi inizieranno ora a scoprirsi tra le paure di una e le diffidenze dell’altro. Oltre al cinema anche la musica si è più volte ispirata al dramma dei desaparecidos e molti cantanti hanno tentato di rappresentare in musica e parole questa immane tragedia. Citiamo ad esempio Manu Chao e Sting tra gli interpreti stranieri con te le canzoni “Desaparecidos” e ” They dance alone” mentre in campo italiano ricordiamo i Nomadi con “Canzone per i desaparecidos” e Paola Turci con “Bambini”.

I mondiali del disonore. Nel 1978 fu disputata in Argentina l’edizione più drammatica e infame dei campionati mondiali di calcio. Nonostante i governi di mezzo mondo e le autorità del calcio fossero al corrente dei crimini tremendi che venivano commessi nell’Argentina sotto la dittatura militare, venne fatta la scelta vile di recarsi ugualmente a disputare quella che doveva essere una grande festa sportiva per il mondo intero. Disputare ugualmente quel torneo fu una grande occasione persa per emarginare un regime criminale e denunciare fatti di infinita gravità e si trasformò al contrario in un autentico regalo alla dittatura (e ai suoi protettori e padrini internazionali) che ebbero dal resto del mondo una sorta di riconoscimento formale del regime. Anche grazie alla vittoria annunciata della squadra argentina strafavorita da arbitraggi e inganni, i campionati del mondo vennero usati da Videla e Massera per distogliere l’attenzione di un popolo terrorizzato dalla tragica realtà e per cercare di dare al mondo intero una immagine di normalità. Ingenti furono i costi della manifestazione, il tutto “perché si diffondesse ai quattro venti il sorriso di un paese felice sotto la tutela dei militari” come riporta Eduardo Galeano. Ma contemporaneamente allo svolgersi del Mondiale continuavano i piani di sterminio delle alte cariche tanto che, proprio nel periodo della manifestazione calcistica, in Argentina la repressione toccò il suo culmine e con essa il numero dei rapimenti e degli assassinii. In pratica i boati del tifo argentino ai goal di Mario Kempes nascondevano il rumore degli aerei della morte che sorvolavano gli stadi trasportando i desaparecidos pronti per essere gettati ancora vivi in mare [Lockheed L-188 Electra e Short SC.7 Skyvan Usati per i Voli della Morte]. Ma le autorità non si curavano di questo e numerose furono le esternazioni di ringraziamento al regime militare. Il presidente della FIFA Havelange parlando davanti alle telecamere delle televisioni osservava: “Finalmente il mondo può vedere l’immagine vera dell’Argentina”. Henry Kissinger, ospite d’onore della manifestazione, dichiarava: “Questo paese ha un grande futuro, a tutti i livelli”. L’unico gesto dignitoso lo compirono i giocatori olandesi sconfitti in finale dai padroni di casa: al momento di ricevere il trofeo si rifiutarono di salutare i capi della dittatura.

Anibaldi Carlo e Simonetta Jaramillo hanno preparato un filmato per ricordare questo capitolo di storia.

ALPHA MALE & ZETA FEMALE ON FACEBOOK


Fra coloro che studiano i comportamenti animali, gli etologi, la definizione di Maschio-Alfa è nota da tempo ed è riferita alle dinamiche di branco, dove la natura vuole che per ragioni di conservazione della specie ci sia un maschio adulto che assume caratteristiche dominanti sugli altri maschi del branco, che assumono una posizione beta e generalmente attendono l’invecchiamento del maschio alfa per accoppiarsi anch’essi con le femmine del branco, cosa altrimenti impossibile. Le caratteristiche alfa comportano quindi onori ed oneri dovuti alla posizione dominante.

 Questa bella storia non poteva sfuggire a coloro che si occupano di venderci di tutto, con l’inganno, la seduzione e ogni mezzo possibile, anche subliminale. Sono gli esperti di marketing, che sono esperti anche di psicologia individuale e collettiva, altrimenti non venderebbero una cippa. Negli USA ci si occupava di questi problemi quando ancora da noi, in Europa, ci si occupava di confini, territori, potenza militare, filologia romanza, romanticismo, Can can, art decò e cappellini della Regina alle corse di Ascot.

Si arriva così ai giorni nostri, dove a fronte del disfacimento di modelli ideali, si va affermando un modello di cartapesta: sono i maschi Alfa, la nuova specie di uomo vincente metropolitano. E’ una vera e propria sindrome di cui sono affetti sembra addirittura il 75% dei manager e su cui si avviano milioni di individui che aspirano a quelle posizioni. Gli esperti hanno perfino definito 4 categorie o varianti di maschio alfa: Commander, Visionary, Strategist e Executor. Ovviamente sono tutte cazzate indotte…in natura infatti non esiste nulla dl genere e siamo nel campo della patologia, per il semplice fatto che le funzioni superiori degli esseri umani, rispetto ai lupi e agli orsi, hanno introdotto elementi tali da sovvertire tutto il discorso che fila solo in etologia. Fra gli umani infatti accade l’imprevisto che un semplice poeta solitario o un timido sognatore assuma caratteristiche cosiddette alfa in tema di dominanza su altri maschi, poichè magari nel tessuto sociale dove sono immersi, i valori e i disvalori sono diversi da quelli del territorio contiguo. Insomma una bufala in piena regola, che serve a vendere prodotti, mode, carriere e in definitiva a fare soldi, potere e, gioco antico come il mondo, sedurre.

Ma come potrebbe esistere una tale favola metropolitana se non fosse supportata da altri maschi che abboccano e schiere di femmine che supportano la leggenda? Non esisterebbe infatti…ma gli esperti d’oltre oceano hanno pensato anche a questo e creato allo scopo un modello di femmina che supporti l’idea. Io la chiamo per brevità Femmina Zeta ed è fondamentale per non far cadere nel ridicolo il concetto di maschio alfa, l’Uomo che non deve chiedere Mai.

La Zeta Female si concede solo a maschi alfa, li riconosce a fiuto e ne assume il carisma con la frequentazione. Nella vita di ogni giorno queste cose ci appaiono solo in maniera sfumata e frequentando certi ambienti, generalmente luoghi di lavoro in grandi città. Ma è arrivato Facebook e allora c’è abbondanza di materiale di studio anche alla scrivania. Arrivano in posta all’improvviso…ti chiedono l’età e che lavoro fai…se sei sposato e senza nessuna vergogna spariscono se non soddisfacente a un clichè preconfezionato…ti sparano 40 ‘mi piace’ a settimana e fanno miriadi di commenti inutili solo per farsi notare…le più ardite si lanciano in serie interminabili di cuoricini e punti esclamativi, per poi svanire nel nulla se comprendono che col cazzo sei disposto a divorziare per via di 4 cuoricini su una bacheca. Rivestono il mito di Diana Cacciatrice senza averlo compreso…vanno semplicemente a caccia. Vedono maschi alfa dappertutto, basta che sono solo meno goffi della media e gli ‘donano’ 5000 contatti in pochi mesi. A me è bastato mettere alcune foto giovanili al fianco di quelle attuali e scrivere cosette che non siano del tutto idiote ma solo ‘normali’ che ho dovuto aprire un terzo account che gli altri sono pieni. Che significa tutto questo? A mio avviso significa che siamo dentro un mondo di plastica dove ci fanno girare in tondo come burattini smidollati e prima ce ne rendiamo conto e meglio è poichè Internet e i Social Network sono mezzi potentissimi e se ne stanno appropriando i Maestri del Marketing (li hanno anzi creati) per i loro fini commerciali a medio e lungo termine, svilendoli nelle funzioni sociali aggreganti e di controinformazione che li fa davvero grandi mezzi.

[Carlo Anibaldi – 2012]

LA SECONDA LETTURA


Siamo abituati a pensare la vecchiaia come l’anticamera della morte, poichè finisce sempre con essa e per questo ci spaventa. Proviamo a riconsiderare la cosa, visto che di là dovremo passare, in quanto non s’è mai vista una anticamera lunga vent’anni e più. Ci deve allora essere una buona ragione se pure oramai imbruttiti, mezzi sordi e mezzi ciechi e con un filo di fiato e di forza continuiamo a girare a lungo intorno al gorgo che ci inghiottirà. La vecchiaia degli umani è fra le più lunghe in natura, poichè la vita continua molti anni dopo che la facoltà di procreare si è spenta, dopo che le capacità creative in generale sono esaurite. Ci sarà pure un perchè a questo, soprattutto se consideriamo che in natura ben poco o nulla è affidato al caso. Proviamo allora a considerare che siamo corpo e Anima, noi siamo così, e allora il percorso dell’uno non termina se non è compiuto il percorso dell’altra. Il corpo smette di essere funzionale e indipendente ma non se ne va, poichè aspetta l’Anima, che generalmente ha tempi parecchio più lunghi per svolgere il lavoro, che alla fine possiamo sintetizzare in una parola: capire, capire la natura e la propria vita stessa. L’anima ritorna a casa con noi ogni sera e non di rado ci tiene svegli la notte. Il nostro temperamento dunque, quello che per tanti anni ha determinato scelte, amicizie, amori, abitudini, errori.  E allora forse il significato di una lunga vecchiaia è quello di capire il nostro destino, riconnettersi ad esso, per riconoscere quella figura che porta il nostro nome e una storia disegnata nella nostra faccia. La vecchiaia ci consente una seconda lettura delle vicende della nostra vita, le sue contingenze e i tanti momenti sprecati. Non è dunque una età triste, se la consideriamo una occasione irripetibile e imperdibile di vedere la nostra vita come una metafora e finalmente comprendere il senso di un lungo cammino.

La divisione netta fra anima e corpo è del tutto artificiosa e addirittura, nelle religioni monoteiste, questa spaccatura è il centro di ogni cosa che dia un senso al ‘credere’. Le cose non stanno così e meno male….le trasformazioni del corpo e quelle dell’Anima sono infatti indissolubili…salvo interrompere il processo con una cannonata o una coltellata…o una grave malattia…che comunque non è quasi mai solo del corpo e fa perciò parte del destino che ci scegliamo o ci costringono a scegliere per fame, miseria e umiliazioni infinite, del corpo e della mente.

[Carlo Anibaldi – gennaio 2012]

LA GIORNATA DELLA MEMORIA CORTA [ovvero PECUNIA NON OLET ]


“Gli amici di Adolf Hitler hanno una cattiva memoria, ma l’avventura nazista non sarebbe stata possibile senza l’aiuto che ricevette da loro. Come i suoi colleghi Mussolini e Franco, Hitler potè contare sul beneplacito della Chiesa Cattolica. Hugo Boss vestì il suo esercito. Bertelsmann pubblicò le opere che istruirono gli ufficiali. I suoi aerei volavano grazie al combustibile della Standard Oil e i suoi soldati viaggiavano in camion e jeep marca Ford. Henry Ford, autore di quei veicoli e del libro “L’ebreo internazionale”, fu la sua musa ispiratrice. Hitler gliene rese grazie conferendogli onorificenze.

Conferì onorificenze anche al presidente dell’ IBM, l’impresa che rese possibile l’identificazione degli ebrei. La Rockfeller Foundation finanziò ricerche razziali e razziste della medicina nazista. Joe Kennedy, padre del presidente, era ambasciatore degli Stati Uniti a Londra,ma sembrava di più ambasciatore della Germania. E Prescott Bush, padre e nonno di presidenti, fu collaboratore di Fritz Thyssen, che mise la sua fortuna al servizio di Hitler. La Deutsche Bank finanziò la costruzione del campo di concentramento di Auschwitz. Il consorzio IGFarben, il gigante dell’industria chimica tedesca che in seguito passò a chiamarsi Bayer, Basf o Hoechst, usava come porcellini d’india i prigionieri dei campi, e inoltre li usava come manodopera.

Questi operai schiavi producevano di tutto, compreso il gas che li avrebbe uccisi. I prigionieri lavoravano anche per altre imprese, come Krupp, Thyssen, Siemens, Varta, Bosch, Daimler Benz, Wolkswagen e BMW, che erano la base economica dei deliri nazisti. Le banche svizzere guadagnarono fortune comprando da Hitler l’oro delle sue vittime, i loro gioielli e i loro denti. L’oro entrava in Svizzera con incredibile facilità, mentre la frontiera era chiusa ermeticamente per i fuggiaschi in carne e ossa. La Coca Cola inventò la Fanta per il mercato tedesco nel bel mezzo della guerra. In quel periodo, anche Unilever, Westinghouse e General Electric moltiplicarono là i loro investimenti e i loro guadagni. Quando la guerra finì, l’impresa ITT ricevette un indennità milionaria perchè i bombardamenti alleati avevano danneggiato le sue fabbriche in Germania.”

(Eduardo Galeano)

Vediamo bene che la guerra se la fanno, da sempre, i poveri cristi, e che ad altri livelli non hanno mai smesso di essere culo e camicia…allora come ora. Ai capitalisti e alla globalizzazione non fa schifo nulla. Affidarsi ad un ‘governo’ è la grande ingenuità che sembra non stancare mai. Quando un tempo c’erano Re e Imperatori sanguinari, le cose almeno erano chiare a tutti. Oggi fiumi di retorica sulla ‘democrazia’ e il sangue versato per essa…e le elezioni ‘sacrosante’ dei rappresentanti del popolo e il Parlamento e la chiesa che affratella le genti…sono solo fumo negli occhi per coloro che, nonostante tutto e in barba alla loro stessa intelligenza, ancora hanno necessità di credere all’archetipo del ‘buon padre di famiglia’ che governa per il bene comune.

[Carlo Anibaldi – 27 Gennaio 2012]