di Carlo Anibaldi
Salvo coloro che hanno fatto dei Social il loro business e quindi emotivamente impermeabili ad ogni altra questione che non riguardi la propria visibilità, per tutti gli altri l’iper-stimolazione dovuta a miriadi di notizie vere o false rimbalzate sulla nostra home, opinioni rispettabili e infami, persone degne e psicopatologie a briglia sciolta, il tutto mescolato senza filtri possibili, come siamo abituati nel mondo fenomenico (nei social è in ogni momento possibile che un idiota in mutande, dalla sua cameretta irrompa sulla tua bacheca a richiedere attenzione e tempo), ebbene tutto questo rischia di essere superiore alla nostra possibilità di fronteggiare contenuti che superino il contenitore. Viene spontaneo di pensare che chi non ce la fa può tornare alle 4 telefonate pomeridiane agli amici, ma una exit strategy così semplice non esiste. Non può esistere poichè la comunicazione digitale ha abituato il nostro cervello a ritmi e quantità di sollecitazioni tali che venti anni fa avremmo giudicato da manicomio, per poi diventare la norma. Un po’ come pensare con aria di nulla di tornare a godersi una commedia di Pirandello dopo anni di action movie americani.
In pratica siamo intrappolati dentro le scopo dei Social, che non è quello di una sana socializzazione ma di inebetirci al punto di divenire buoni clienti divoratori di pubblicità e messaggi subliminali. Quello descritto non è un vero problema per i ventenni, poichè loro credono che i ritmi siano questi e si adattano, il problema è per coloro che hanno conosciuto altri ritmi e difficilmente si adattano, più facile che si alienino.
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