ESSERE ANARCHICO OGGI


Anarchismo non è sinonimo di ‘famo come ce pare’, questo è lo stravolgimento di un’idea, oltre che di un termine. Il pensiero anarchico è sintetizzabile nella bella idea che vuole che ognuno sia così partecipe del bene comune da potersi governare da solo senza pregiudicare l’altro. Nulla a che vedere con il comunismo o la democrazia rappresentativa, cui è sottesa l’idea che le masse siano incapaci di evolvere e dunque bisognose di essere ‘governate’, per lo più da persone bramose di potere e ricchezza personale.Il terzo millennio è iniziato con una crisi profonda dei modelli e quasi sempre ciò è avvenuto perchè le idee, alla fine, camminano sulle gambe dei peggiori. Lo diceva già Lenin un secolo fà. Dunque non le idee mancano, ma uomini giusti che vogliano occuparsi di politica, intesa come cura della cosa pubblica. E’ un ossimoro, mi rendo conto, del genere ‘mi sento vivo da morire’. Infatti gli uomini ‘giusti’ generalmente stanno alla larga dalla politica, che è l’arte del compromesso e talvolta della sopraffazione. Gli ideali anarchici sono utopici, ne convengo, ma non più di quelli della democrazia e del comunismo o del capitalismo. Alla base di tutto questo discorso c’è l’uomo e le sue possibilità evolutive. Dunque dobbiamo dare per scontato che le possibilità ci sono, perchè ci sono sempre state e ci hanno condotto fuori dalla barbarie e dalla legge della jungla. Sappiamo anche che la barbarie arde sotto la cenere ed è pronta a riprendere vigore ogni volta che gli uomini ‘giusti’ mollano.Dunque non si tratta di ripulire il mondo dai furbi, dagli ignoranti, dagli egoisti e dai sopraffattori (questa è davvero utopia, poichè i percorsi di crescita sono individuali, c’è chi evolve in un anno e chi non gli basta una vita intera), ma di far sentire queste persone come si sente un fumatore in un parco di Santa Monica: un didadattato, una persona fuori dal tempo, antica. In questa società occidentale i ‘disadattati’ sono invece al potere e radicano nelle menti deboli questi ideali da par loro e gli uomini ‘giusti’ si nascondono nel privato, poichè le minoranze sono perseguitate fino a che il mondo sta in mano ai cosiddetti ‘governanti’. Ecco, spostare questi equilibri, capovolgere il sentire comune è il mestiere dell’Utopia.Dal mio punto di vista è sbagliato perfino il concetto di ‘maggioranza’, alla base della democrazia. Un esempio paradossale per spiegarmi meglio. Secondo il principio di maggioranza gli handicappati dovrebbero strisciare su e giù per le scale e invece ha vinto il principio di minoranza, non puoi più costruire case e uffici con barriere architettoniche perchè non è vero che la maggioranza rappresenta sempre il meglio per tutti.I movimenti anarchici hanno frange che usano violenza, ritenuta commisurata alla violenza subita, perlopiù diretta alle cose e non alle persone, allo scopo di richiamare l’attenzione dei media. Su questo punto si può discutere all’infinito, ma alla fine non ne risulta sminuito il principio base: chi intende ‘governarci’, inevitabilmente ci pensa e ci tratta come bestiame, altrimenti non avrebbe scelto di guadagnarsi da vivere ‘governando’ i propri simili. Questo è uno dei principi da abbattere, filosoficamente parlando, come fu abbattuto quello della schiavitù, della segregazione razziale e del lavoro minorile per dar posto al diritto all’istruzione, al lavoro e al suffragio universale. Tutto ciò è costato lacrime e sangue lungo centinaia di anni, in quanto non accade mai che si salga da qualche parte prendendo strade in discesa. Ditelo forte ai milioni di cattocomunisti che asfissiano e incatenano, da destra e da sinistra, se così si può dire, questo Paese. La ‘globalizzazione’ non è, come i media tentano di farci credere, un fenomeno ineluttabile, ma il tentativo di riunire il potere in pochissime mani. Questa oligarchia, economica, finanziaria e politica, si propone di governare il mondo più di quanto stia già facendo. Tutti i movimenti e i partiti, ad esclusione di quello anarchico, portano acqua a quel mulino. Il futuro penso che sia nel pensiero anarchico, poichè sempre più persone non intendono vivere la propria vita all’interno di un gioco di ruolo, dove tutto è previsto, indirizzato, manipolato, finto. Cito il pensiero anarchico poiché è una delle poche forme mentis che ci slegano dal forte bisogno di essere servi o padroni o entrambi e dunque non liberi di considerare la nostra unicità e, alla fine, solitudine nell’universo.

Anarchia è sinonimo di Utopia esattamente come lo era la Democrazia al tempo di Cesare. Dunque nessuna utopia, ma un’alternativa, una possibilità. Il fatto che tale alternativa necessiti di una rivoluzione sociale è vero, ma non più di quanto furono necessari altri stravolgimenti sociali per l’affermarsi del capitalismo, del fascismo e del nazionalsocialismo. L’idea che gli anarchici siano dei comunisti rivoluzionari non è esatta, ma si è radicata per via del fatto che ovunque ci sia stato da menar le mani per abbattere il potere costituito, gli anarchici c’erano e sempre in prima fila. A cominciare dalla Rivoluzione russa, ma anche prima. In verità, gli anarchici semplicemente sanno che senza rivoluzione sociale qualunque cosa si faccia è un piacere allo statu quo, e allora si sono trovati spesso al fianco di movimenti rivoluzionari comunisti. Gli anarchici non fanno una questione di potere buono e potere cattivo, dunque non possono essere comunisti e statalisti. L’anarchia è anche altro… un modo di essere, una mentalità, un modo di vivere, un concetto e una visione differente della vita. E’ autonomia, rispetto, solidarietà, universalità, tolleranza, insomma… se la conosci t’innammori e dopo non potrai essere altro.

In vista e nella speranza di un sovvertimento sociale, gli anarchici sanno che opposte fazioni si contenderanno il potere. Per questa ragione la loro azione ‘prerivoluzionaria’ è rivolta a promuovere il rifiuto di ogni forma di potere dell’uomo sull’uomo, a convincere insomma le masse che non esiste la necessità di essere servi o padroni, poichè questo assunto è solo un’invenzione di menti astute e antiche come il mondo, non una legge di natura.

[Carlo Anibaldi alias Carlos]

IL MARE NEL BICCHIERE


Sono pochi quelli che pensano di infilare il mare nel bicchiere, eppure sono tantissimi che tracannano miriadi di informazioni ogni giorno. Le reazioni a questa indigestione di immagini e parole sono individuali…poichè ogni immagine ed ogni parola sollecita la nostra psiche fino alle emozioni…e ciascuno è sollecitato in maniera un po’ diversa. La TV ci bombarda con immagini che se son ‘normali’ manco le mandano in onda e tutti cercano di spaccare il video e le prime pagine dei giornali con parole “ad effetto”. Il risultato di questo diverso ritmo di sollecitazioni (solo 20 anni fa i ritmi erano assai diversi…anche per chi viveva in grandi città) va dall’alienazione all’inflazione psichica…passando per stadi che definiamo ‘normalità’. L’alienazione è madre dell’indifferenza e del cinismo e l’inflazione psichica è quando i contenuti strabordano il contenitore e praticamente si inizia a dare i numeri. Dunque la massa di informazioni può essere una minaccia agli equilibri di base e come tale si alzano delle difese di cui nemmeno ci rendiamo ben conto. Tutto sto cappello introduttivo per dire di certi commenti su FB e nei blog e forum che invitano a prendere tutto con maggiore ‘leggerezza’…altri che gridano al pessimismo imperante…altri che consigliano di ‘scopare di più e pensare di meno’…un classico…Infine coloro che tentano di ‘smontare’ ogni approfondimento con la tesi del ‘complottismo’. Ecco…io li capisco tutti questi amici spaventati da contenuti che superano il contenitore…neanche la marijuana è per tutti…e faccio il tifo per la conservazione dei loro equilibri, ma per favore…non passiamo alle offese…parliamone!

[Carlo Anibaldi – Maggio 2012]

 

Non vestivamo alla marinara (di Carlo Anibaldi)


I miei ricordi marchigiani sono pallidi e assai confusi, direi inesistenti e allora posso dire che sono nato all’età di circa tre anni, a Bologna, ma con origini decisamente marchigiane.

Nei primi anni cinquanta Bologna era una città fiera, orgogliosa del suo recente passato, per non essersi mai piegata fino in fondo allo strapotere del nazifascismo e per l’alto tributo alle lotte per la Liberazione. Da quegli anni e per il trentennio a seguire, fu il ‘laboratorio’ del Comunismo al governo in Italia; un Comunismo dalla faccia ‘buona’, nient’affatto stalinista come oltre ‘cortina’, con risorse e progresso sociale per ogni classe di cittadini, siano essi contadini, operai, commercianti, impiegati, artigiani, professionisti o imprenditori. Studenti e casalinghe, ognuno aveva un posto di rispetto in questa città efficiente, ordinata, allegra ed accogliente. Mi considero fortunato per esser vissuto a Bologna in quel periodo, fino alla fine degli anni sessanta, un posto unico, un’isola nella Penisola.

Abitavamo subito fuori Porta Galliera, alla Bolognina, davanti alla grande chiesa del Sacro Cuore, con annessi complessi scolastici e Salesiani.  Io e mio fratello maggiore fummo subito iscritti al Gruppo scoutistico davanti casa, il glorioso Bologna VII°, dove per una decina di anni abbiamo compiuto la carriera che si addice agli assidui e agli entusiasti. L’A.S.C.I. (oggi A.G.E.S.C.I.) era un’associazione cattolica, come anche oggi, ma la nostra ‘indipendenza’ all’interno delle attività parrocchiali era davvero notevole, direi autogestita, come si addice ad una congrega di giovani ‘esploratori’. Le esplorazioni che imparavamo a fare non erano solo quelle del territorio (topografia, astronomia, sopravvivenza e campeggio), ma, direi soprattutto, erano curate in modo particolare le esplorazioni dell’animo umano, e dunque imparavamo di amicizia, solidarietà, lealtà, tolleranza e convivenza. A soli sette anni avevo già imparato, ad esempio, che l’uso della forza coi deboli e della condiscendenza con i forti era cosa abominevole, molto più riprovevole che infilarsi le dita nel naso. E molte altre cose che spesso i genitori non hanno tempo e cultura per insegnare ai figli.

A quel tempo avere uno o più figli in collegi cattolici era un simbolo di status sociale e mio padre, che è sempre stato un po’ affetto da deliri di grandezza, ci iscrisse al più blasonato dei collegi di Bologna in quel tempo e forse anche di oggi, il San Luigi, in Via D’Azeglio, gestito da secoli dai Padri Barnabiti. Fino quasi al nostro trasferimento a Roma, alla fine degli anni sessanta, frequentammo questo istituto, molto serio, dove gli insegnamenti barnabitici e scolastici erano indissolubilmente legati e scanditi da attività quotidiane da vero Seminario; dove l’ora di religione era la più temuta e dove l’insegnante di Matematica era un anziano  barnabita dalla faccia di pietra.  I miei ricordi degli anni del San Luigi non sono sereni, anzi, le foto di rito degli anni scolastici stanno lì a raccontare il contrario, ma a posteriori devo dire che forse devo qualcosa di importante ai Preti Barnabiti, una specie di imprinting di non facile definizione….e non facile nemmeno a scrollarsi di dosso quando, più avanti, si comprende che solo i valori laici consentono di vivere in maniera cosciente.

In definitiva ed a posteriori, posso dire che per me e mio fratello, gli anni bolognesi della formazione, insieme all’associazione scoutistica e al San Luigi, sono alla base della nostra impossibilità ad essere dei veri bastardi, ‘qualità’ che sarebbe invece stata indispensabile per farsi largo in un posto come l’Italia.  Siamo infatti solo onesti e ingenuamente convinti che solo il lavoro ben fatto possa darci tutto quanto ci serva nella vita, compresa la dignità.

Quegli anni del boom italiano videro la mia famiglia impegnata in nuovi progetti: mia sorella sposò il suo principale e mio padre allargò le sue ambizioni imprenditoriali di commerciante di carni da macello. Negli anni a venire fu chiaro che entrambi i progetti erano destinati a fallire. Negli anni a venire fu soprattutto chiaro che il boom di quegli anni fu per pochi, ma allora il presente era ‘promettente’ e se è sensato dire che ogni famiglia ha il suo momento magico, quello con le luci accese, ebbene per la mia famiglia d’origine questo è collocato fra il ’55 e il ’65.  Visto attraverso gli occhi di un bambino piuttosto introverso intorno ai dieci anni, il mondo appariva un buon posto dove stare; la fantasia assai fervida mi spingeva ad immaginare mondi lontani e situazioni avventurose. Io correvo sempre, con la mente e con il corpo, tanto da distruggere quantità industriali di scarpe, magliette e pantaloncini, ma intorno a me il mondo girava piano, rassicurante, indolente. Non succedeva mai che costruissero un supermercato nel campetto da pallone o che a qualcuno fosse usata violenza. I pomeriggi erano lunghi e le estati non finivano mai. Nonna mi preparava le merende e mamma mi ricuciva i pantaloncini. Nei rari momenti di quiete motoria leggevo Zanna Bianca, I Ragazzi della Via Pal o Il Visconte di Bragelonne. C’era musica alla radio e per tutta una sera la musica fu assai seria perché era morto il “Papa buono”. Fu forse la prima volta che vidi mia madre con una lacrima sul viso, ma ne seguirono altre.

Mum & Dad

In quegli anni ero certo che la morte fosse una cosa triste e inevitabile che riguardasse i parenti vecchi. A 10 anni i parenti sono sempre un po’ vecchi. Fra i compagni di giochi, i fratelli e il resto del mondo non c’erano così tante sfumature: noi e i vecchi. La morte di mio nonno materno mi impressionò molto perché mi costrinse a soffermarmi sul significato di alcune parole che la domenica in Chiesa ripetevo distrattamente a memoria da sempre: eternità, vita, morte, peccato, pentimento, colpa, resurrezione della carne (e qui ci coglievo dei nessi col commercio di mio padre), paradiso, inferno, purgatorio, preghiera. Ora vedevo mamma buttata sul lettone a piangere e il prete che la consolava e rassicurava facendo grande uso di quelle parole. Le mie deduzioni in quella triste circostanza portarono altre certezze: i preti in chiesa sono i padroni della morte e della vita, del paradiso e dell’inferno, del riso e del pianto di mamma. Sono dunque persone importanti con cui non bisogna scherzare troppo e men che meno contraddire.  Mio padre era nato nel bel mezzo della prima guerra mondiale e dunque la sua formazione e le sue idee, fortemente risentivano della formazione e delle idee di genitori e nonni che erano cresciuti nella seconda metà dell’ottocento. Devo dunque perdonargli idee bizzarre come l’aver riservato ai figli maschi il ciclo completo di studi e parecchie altre che solo il tempo ha lavato dal rancore connesso alla incomprensione. Mia madre era una donna cui la guerra ha strappato i sogni di gioventù. E dunque questa Rossella O’Hara con le maniche rimboccate era la donna che distrattamente si occupava della crescita dei suoi figli. La sua rabbia e delusione era cosa così evidente agli occhi di un figlio attento, che mi fu per lungo tempo impossibile scrollarmi di dosso il mantello del Cavaliere Salvatore di donne inermi insultate dalla vita. Condizione questa che certamente influenzò le mie prime scelte amorose. Ha fatto tutto quanto la sua indole le ha consentito di fare e allora non ho nulla da rimproverarle.

Gli anni cinquanta volgevano al termine e allora basta col ghiaccio da portare in casa per conservare i cibi, basta con la televisione al bar il sabato sera, basta biciclette e lambrette. Basta latte sfuso e spaghetti a etti. Avevamo come oramai tantissimi italiani un frigorifero, un apparecchio televisivo tutto per noi e l’automobilina Fiat per le gite fuori porta, e non dovevamo più invidiare un po’ lo zio che veniva di tanto in tanto con la sua Balilla dalle Marche a trovarci. Una delle prime sere che avevamo l’apparecchio telefonico in casa, mio padre lo usò in ora tarda per chiedere alle signorine dei telefoni chi aveva vinto il Festival di San Remo: Tony Dallara e Renato Rascel con Romantica, era il 1960.

Alla fine degli anni cinquanta l’affitto di casa incideva per 1/6 dello stipendio e potevi acquistare uno scooter con meno della metà della paga di un operaio e allora furono in molti a pensare che risparmiando sulle spese voluttuarie, che del resto erano ancora assai lontane dalla mentalità comune, si potevano accantonare abbastanza soldi per acquistare un appartamento. E così fu per milioni di italiani che guardavano fiduciosi al futuro.

In quegli anni, sui muri dei magazzini di periferia dove andavamo a giocare, c’erano grandi scritte nere su fondo bianco che non capivamo, in particolare una che ammoniva: “La stasi debilita, l’azione rinfranca”, figuriamoci, non stavamo mai fermi un momento! E quell’altra: “Vincere e Vinceremo”, tutte sempre firmate con una M corsivo maiuscolo. Eravamo figli di ferrovieri, piccoli commercianti, impiegati e operai, tanti operai e decisamente non vestivamo alla marinara. Molti di noi avevano indosso pantaloncini e magliette dei fratelli maggiori e poi ogni venerdì veniva il mercato americano e la mamma ci comperava strane camicie con i bottoncini sul colletto, sempre troppo grandi, buone anche per gli anni a venire. Il Caffè sotto casa aveva una saletta al piano superiore con un grande televisore e ogni sabato sera eravamo tutti lì a vedere il Musichiere, ma avremmo visto qualsiasi cosa, purché fosse venuta da quella scatola magica. La domenica mattina era sempre un po’ speciale: c’erano le attività parrocchiali, che per noi bambini avevano il significato di rendere ufficiale la nostra attitudine a giocare, sudare e sporcarci. E poi il passaggio con papà alla pasticceria per i bignè, talvolta rovinato da una precedente fermata dal barbiere, che ci faceva sfumature incredibilmente alte, così duravano di più.

Gli anni della scuola non erano facili per noi: grembiulini neri, inverni lunghi, macchie d’inchiostro sulle dita, tanti compiti a casa e tante lacrime. Per i nostri genitori la scuola era la sola possibilità di offrirci un futuro migliore del loro presente, e allora niente sconti, serietà e senso del dovere erano le parole d’ordine, insomma una specie di “missione di famiglia” e allora per essere asini ci voleva davvero un fegato grosso così. Infatti a quel tempo gli asinelli si potevano contare sulla punta delle dita di una mano.

Forse non eravamo proprio felici, ma nessuno ci aveva mai detto che la felicità fosse cosa di questo mondo, del nostro mondo e dunque come si fa ad essere davvero infelici se non la conosci, la felicità?

Carlo Anibaldi

1° Maggio – La nostra Festa Cafona


« In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe di Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito. » (da “Fontamara”Ignazio Silone)

La situazione è questa tutt’oggi, ma per il 1° Maggio a Roma si fa il gran Concertone‎…qua la buttiamo in musica…c’è un’infinità di persone che contano su questo nostro farci una cantata in coro e ogni volta non manchiamo di deluderli, sarà meglio di San Remo e costerà pochi soldi. Forse interviene anche il Sindaco, che ovviamente è stato invitato in questo culo e camicia generale….ma è sempre sperabile un uragano di vento e pioggia torrenziale su questa cosa inutile e soporifera per festeggiare il lavoro che non c’è più e buttare in retorica festaiola la carne viva che va in malora.

A PROPOSITO DI “LIBERAZIONE”


 Ci lamentiamo ogni giorno sui giornali e sui blog che in Italia una vera opposizione ai governi che via via si sono succeduti non esiste e che questa sarebbe una delle cause delle ‘anomalie’ italiane che ci fanno ‘diversi’. Eppure ci sono risposte ovvie a questa ‘anomalia’, ma sembra che politici e giornalisti le ignorino…Un po’ come se si andasse per strada senza pantaloni e ci si meravigliasse dei sogghigni dei passanti. In questo Paese si finge a tutti i livelli una ‘normalità’ che non c’è mai stata eppure si vorrebbe rispetto, dentro e fuori dai confini nostri. Sarebbe dunque da tempo il momento buono per tracciare una linea netta e decidere se stare di qua o di là. Tra coloro, cioè, a cui, per un motivo o per un altro, sta bene la suddetta situazione, e quegli Italiani, invece, che tendono fermamente a rifiutarla, e vorrebbero, in qualche modo, rimetterla in discussione.  Mi riferisco alla circostanza di non essere mai stati uno stato sovrano e vittime di sudditanza senza fine e confine nei confronti dei ‘liberatori’. Eravamo fascisti alleati dei nazisti, insieme abbiamo causato la morte di milioni di persone e distruzioni immani, dunque la ‘Liberazione’ non ci è giunta gratuitamente, ma sulla base di trattati zeppi di clausole ‘segrete’ che ci hanno tolto la sovranità per oltre un sessantennio. De Gasperi la sapeva molto lunga su questo punto e fra cento anni forse leggeremo qualcosa negli archivi di stato sul perchè i vertici dei Servizi di Mussolini erano ad organizzare i Servizi della neonata Repubblica. Su questo punto dovremmo chiarirci le idee e prendere posizione, possibilmente non ipocrita.

“Prendiamo la libertà di opposizione politica. Se ci fosse stata questa libertà ci sarebbe stato qualche partito di opposizione in Italia dopo il 1945, almeno uno, non è vero ? Invece un partito del genere in Italia, dopo il 1945 non c’è mai stato. Ci fosse stato avremmo sentito in Parlamento certe recriminazioni, certe richieste, certe verità del tipo : Siamo una colonia degli USA ! Vogliamo vedere tutte le clausole segrete del trattato di resa del 1943 e dei successivi ! Il governo ammetta che l’Italia è costretta a pagare per il mantenimento delle basi USA nel Paese ! Il governo ammetta che in Italia i militari e anche i turisti statunitensi hanno l’immunità giudiziaria ! Invece di fingere di preoccuparsi per la disoccupazione, il governo ammetta che l’Italia è stata costretta a chiudere tutte le sue industrie strategiche, militari e civili, con perdite di milioni di posti di lavoro ! Il governo ammetta che i dati dell’interscambio Italia-USA sono truccati per far risultare un attivo che non c’è mai stato ! Invece di fingere di essere inefficiente e mentecatto, il governo ammetta di dover trascurare la ricerca scientifica su ordine degli USA, che vogliono indurre i nostri scienziati giovani e promettenti ad emigrare e fare là le loro scoperte e brevetti ! Il governo ammetta che la Mafia è una questione politica e trattarla altrimenti è una ipocrisia che costa magistrati e poliziotti morti ! Avremmo sentito queste e molte altre cose e invece come ognuno può constatare, niente. Perché appunto partiti di opposizione qua non ci sono, non ci sono mai stati. Lo Stato italiano post 1945 è tutta una finzione, un edificio grottesco basato su amnesie e falsità, e fare opposizione politica di necessità (non di sufficienza, certo) significa opporsi a tutto ciò, ma appunto nessuno lo ha mai fatto. Non lo ha certo fatto il PCI, i cui militanti durante la guerra hanno combattuto agli ordini degli Alleati e nel dopoguerra hanno eseguito per loro ordine lo sterminio dei quadri portanti del PNF, 30.000 e più persone: come avrebbe mai potuto il PCI opporsi agli USA, se la sua stessa incolumità dipendeva da loro? Lo diceva, certo, ma non lo faceva. Idem per il PRC di adesso, non parliamo del PSI di una volta, per carità del PSDI e neanche del “puro“ PSIUP. E non lo ha fatto neanche il MSI, a cominciare dall’inizio e in tutte le varie denominazioni: un partito che ha fatto la “svolta atlantica“ non era certo l’erede del PNF, non era certo quello che diceva di essere.   Come è stata possibile una tale divaricazione fra i fatti concreti e le parole, le declamazioni e i programmi scritti dei partiti, specie dei più caratterizzati ideologicamente come appunto il PCI e il MSI? Essenzialmente, tramite gli infiltrati, che nel caso sono politici in genere giovani e promettenti – e molto, molto ambiziosi – scelti nelle organizzazioni politiche (partiti, sindacati, quotidiani eccetera) in cui militano, pagati nascostamente e potentemente aiutati a “fare carriera“, anche sino al vertice. Gli indipendenti invece sono ostacolati, boicottati, fatti passare per scemi o – anche – per spie, e nel caso diventino un problema sono anche fatti fuori (uno per tutti: Moro). Il motore dietro il tutto sono gli USA, che dirigono le strutture statali italiane sul campo, i Servizi, il ministero degli Interni eccetera, e l’obiettivo è di mantenere tutte le organizzazioni politiche esistenti nell’ambito della dinamica concettuale scelta come accettabile, politically correct, cioè per l’Italia all’interno del castello di menzogne ufficiali accennato sopra. O si credeva che gli USA prima conquistano l’Italia con una guerra e poi se la lasciano portare via di sotto il naso da quattro indigeni mezzo studiati che mettono in piedi un partito di opposizione? L’obiettivo è sempre stato raggiunto, gli infiltrati in Italia dominano il campo, anche oggigiorno. Anzi, soprattutto oggigiorno : come potrebbero spiegarsi infatti gli incredibili “ribaltoni“ di alcuni partiti, che hanno esattamente invertito tutta la loro linea politica, compresa la loro posizione su certi argomenti chiave (si pensi a topiche come le origini culturali dell’Europa, gli immigrati, Israele, anche il mandato di cattura europeo stesso…), se non con l’attività di infiltrati di primo piano? Questa sarebbe “libertà di opposizione?” [ J. Kleeves]

Bibliografia

– Documenti di resa Italiana durante la Seconda Guerra Mondiale. [http://pdsm.altervista.org/resa_italiana.html#str3]

– “Vecchi trucchi” di J. Kleeves

LA POLVERE DELLA STORIA


di Carlo Anibaldi

Ai nostri contemporanei dobbiamo tutto, il resto è solo la polvere della Storia che, pur inconsistente, tutto ricopre. Ci sono valori e circostanze che riteniamo centrali nella nostra storia personale; generalmente sono gli incontri, l’Amore, la Libertà, la Fortuna, gli affetti e poco altro. Con ciò tutto sembra detto. Per altri versi, anche a volerli mettere in fila, in ordine di importanza personale o anche in ordine alfabetico, par sempre che manchi qualcosa.

Dico questo perché il nostro sentire più intenso è nell’unicità, eppure ci muoviamo all’interno di valori, sentimenti, azioni ed emozioni che sono universali e universalmente vissuti, senza distinzioni di luogo e di tempo. Ma allora, cos’è che ci fa sentire così unici fra i nostri simili? Ogni nostra esperienza, con ogni probabilità, è già stata sperimentata o lo sarà in futuro. Queste stesse mie parole non è impossibile che già siano state pronunciate. Io credo allora che il sentimento che ci è più caro, quello che avvertiamo come unicità nel Creato, sia un dono dei nostri contemporanei.

I nostri contemporanei sono quattro o cinque generazioni di individui al massimo. Non sarà necessario stringere la mano a tutti per convincerci che stiamo compiendo insieme questa traversata. Dovremmo infatti, al pari dei passeggeri di una nave da crociera, essere tutti pervasi da un sentimento di magica empatia verso i nostri compagni di viaggio con cui stiamo condividendo esperienze. Per molti è proprio così, e quelli sono i migliori, perchè al di là di queste parole c’è davvero la possibilità di stringerci in un abbraccio con i contemporanei, a patto di considerarli compagni di viaggio quali sono.

In queste considerazioni sull’unicità che ci viene dalla contemporaneità, non posso fare a meno di soffermarmi sulla qualità dei nostri compagni di viaggio, che è la stessa cosa che considerare la qualità della nostra vita. Intendo dire che, ad esempio, essere ebrei ed aver avuto Hitler come compagno di viaggio è stato determinante per milioni di persone che aspiravano legittimamente ad una vita degna. Alla stessa maniera, per tanti uomini di colore fu determinante per le loro vite aver avuto Abramo Lincoln come Presidente, un contemporaneo di alta qualità.

Nel privato le cose non vanno molto diversamente. Il meglio e il peggio della nostra esistenza sta più nelle mani degli altri che nelle nostre. A dispetto di pur affermate teorie psicologiche, io penso che nella formazione della qualità della nostra vita, il ruolo centrale è affidato ai nostri contemporanei. Non mi riferisco in modo esclusivo ai contemporanei prossimi, che pur hanno un ruolo importante, ma in definitiva un marito manesco lo si può abbandonare. Diverso è prendere le distanze da un’autorità disonesta o dai mandarini di un regime, ma questo è un’altro discorso.

 Non fosse per i nostri contemporanei, saremmo, come del resto alla fine saremo, un puntino indistinto in una moltitudine di lapidi di sconosciuti, come negli antichi cimiteri di campagna che ci è capitato di visitare. Nel bene e nel male sono loro a conferirci unicità e irripetibilità, i contemporanei. Per convincercene in maniera definitiva dovremmo sfogliare quei vecchi album di foto al mercato delle pulci: quelle persone di cent’anni fa sono morte due volte, anche nella loro unicità che hanno perduto con la perdita di tutti i compagni di viaggio e dunque con l’oblio sentimentale. Perfino gli artisti e i grandi personaggi, quelli che sembravano i padroni degli eventi e delle genti, non hanno un destino diverso, infatti ciò che sopravvive è solo la polvere della Storia, quella sottile patina che contiene i rumors, le tracce, nei Movimenti e nelle opere, ma l’unicità dovuta allo scambio di sensazioni e sentimenti con i contemporanei è finita col finire dell’esistenza in vita dell’ultimo compagno di viaggio. Fintanto che erano in vita i superstiti del Titanic, ebbene quella era una forte esperienza che emozionò i contemporanei per decenni, poi è divenuta Storia, polvere impalpabile, irraggiungibile come sa esserlo un racconto d’altri tempi.

24 Marzo 1976 – DESAPARECIDOS, CAPITOLO ATROCE DELLA STORIA


di Gianni Martinelli

Nelson Martín Cabello Pérez, Gustavo Alejandro Cabezas, Ary Cabrera Prates, Jorge Eliseo Cáceres, Edgar Claudio Cadima Torrez, Eduardo Alberto Cagnola, Ricardo Luis Cagnoni, Italo Américo Cali, Simón Campano, Horacio Raúl Campione, María Silvia Campos, Luis Canfaila, José Antonio Cano, Alberto Canovas Estape, Carlos Hugo Capitman, Julio Cesar Carboni, Alvaro Cardenas, Daniel Hugo Carignano, Laura Estela Carlotto….

I pochi nomi sopra citati dovrebbero al contrario essere circa 30.000 perché questo è il costo in vite umane dell’immane tragedia dei desaparecidos in Argentina. Ma alla Casa Rosada, il palazzo  del potere argentino, alla sparizione di 30.000 persone si devono aggiungere altre cifre agghiaccianti come l’appropriazione di più di 500 figli di scomparsi, la detenzione di migliaia di attivisti politici e l’esilio di oltre 2 milioni di persone. Nomi e cifre identificano l’orrore del genocidio subito da un’intera generazione di civili argentini negli anni tra il 1976 e il 1983. Ricordiamo questo orrore perchè compito dello storico è quello di contrastare le attualissime spinte al revisionismo che cercano di nascondere e a volte addirittura di negare quello che in realtà è avvenuto. La portata di questa immane tragedia deve invece emergere in tutta la sua violenza e veridicità per essere anche un monito affinchè simili genocidi non si verifichino mai piu’ in nessun luogo. Come scrive Marco Bechis, regista di “Garage Olimpo” e “Hijos”: “la memoria è la capacità di ricordare il passato e riconoscere nel presente tutte le situazioni che gli assomigliano. Quindi serve ad agire oggi e non deve essere solo qualcosa che funziona con 50 anni di ritardo. La memoria è l’unico strumento che può impedire il ripetersi di errori”. La storia dell’Argentina sarà per sempre macchiata dal sangue dei desaparecidos e “Nunca Mas” (Mai più) è il grido che risuona ed esplode da tutte le associazioni mondiali di tutela dei diritti umani e, più in generale, dagli “ultimi cittadini liberi di questa famosa città civile” (come cantava Fabrizio De Andrè nella sua “Domenica delle salme”).

La Storia. Per comprendere appieno la tragedia dei desaparecidos dobbiamo inserirla nel contesto storico che l’ha generata. La nostra analisi non può che partire dunque dalla data del 1 luglio 1974 giorno della morte di Juan Domingo Peron, leader incontrastato della scena politica argentina fin dagli anni 40. Peron venne eletto presidente per la prima volta nel 1946, ed emblematica è la sua rielezione nel 1973 sull’onda di oceaniche manifestazioni popolari, alla veneranda età di 78 anni. Dopo la sua morte diventa presidente dell’Argentina la sua terza moglie Isabel Perón ma nello sgomento generale e in un clima di smobilitazione prende sempre più piede la figura di López Rega, che crea uno stato di polizia, inaugurando la fase del terrorismo con la formazione dell’Alleanza Anticomunista Argentina (detta Triple A). Nascono bande e organizzazioni paramilitari al servizio del potere politico con il fine di eseguire omicidi e sequestri degli oppositori al regime. In un clima di sempre maggiore incertezza economica e politica i militari decidono di assumere direttamente il potere rovesciando il governo di Isabelita Perón. E’ il 24 marzo del 1976 e ha inizio in Argentina la dittatura militare con il terribile triumvirato Massera (comandante della Marina), Agosti (comandante dell’Aeronautica) e Videla (comandante dell’esercito e presidente di fatto). Con il pretesto di effettuare un processo di riorganizzazione nazionale instaurano il terrorismo di Stato su grande scala. Dichiarano lo stato di assedio abrogando i diritti costituzionali, sospendono le attività politiche e di associazione e chiudono e sequestrano sindacati e giornali. Per ottenere qualsiasi tipo di informazioni su veri o presunti nemici del regime viene istituzionalizzata la pratica della tortura, praticata in centri clandestini di detenzione nei quali vengono incarcerati i detenuti illegali. Il clima di terrore e paura tra la popolazione viene così accentuato dalle prime sparizioni di persone: è l’inizio del dramma dei desaparecidos. I militari rimangono al potere fino al 1983 e il motivo della loro caduta va ricercato principalmente nell’insensata azione di guerra promossa nel 1982 dall’allora presidente Galtieri. Questi facendosi paladino della realizzazione delle tematiche nazionaliste tanto care ai militari decide di occupare le isole “Malvinas” (Falkland), da 150 anni nelle mani degli Inglesi. Il risultato dell’operazione bellica è disastroso; le truppe argentine sono inesperte, mal equipaggiate e mal alimentate, nascoste in trincee sotto il bombardamento delle superiori forze britanniche subiscono numerosissime perdite umane. Ed è proprio sull’onda di questo altissimo prezzo pagato che l’Argentina inizia il processo di transizione alla democrazia con la destituzione di Galtieri e la salita al potere di Bignone. In questa ultima fase la dittatura getta le basi per il suo epilogo: i militari particolarmente preoccupati per le possibili conseguenze dei loro atti eliminano gli archivi della repressione clandestina e decretano un autoindulto che li esonera dalla responsabilità per gli atti compiuti durante la dittatura. Nel 1983 i radicali portano alla presidenza Raúl Alfonsín. Il nuovo governo ristabilisce pienamente le libertà democratiche e le garanzie costituzionali tentando, ma riuscendovi solo in parte, di giudicare e condannare i colpevoli dei massacri e delle torture.

Buenos Aires Horror Tour. Massimo Carlotto nel suo libro “Le irregolari” descrive un viaggio nei luoghi dell’olocausto argentino. Ne emerge una Buenos Aires segnata anche topograficamente dalla tragedia: ogni sua strada, ogni sua piazza, ogni suo angolo porta con sè i segni indelebili dell’orrore. Il lettore entra insieme all’autore nel pullman della memoria guidato da un reduce della tragedia, per ripercorre insieme a loro i luoghi della vergogna da non dimenticare: “Numero 5600 di Avenida Rivadavia… il ventinove giugno del 1978 lì dentro hanno sequestrato Jorge Alejandro Segarra” (…) “Numero 1444 di calle Andonaegui, qui viveva il ventiduenne Eugenio de Cristofaro… lo sequestrarono il 14 settembre de 1976″ Ma la tappa più terribile del Buenos Aires Horror Tour è forse quella dell’ESMA, la terribile Escuela de Mecanica de la Armada. Nei suoi locali la dittatura allestisce uno dei più terribili campi di concentramento nel quale vengono rinchiusi e torturati migliaia di desaparecidos. Si calcola che dentro la scuola morirono circa 5.000 persone. Per due anni, ogni mercoledì, dalla base militare dell’ESMA, aerei carichi di desaparecidos si levano in volo diretti verso l’oceano; migliaia di persone torturate e narcotizzate vengono lanciate in mare ancora vive. La verità sta lentamente emergendo anche grazie alle confessioni di Adolfo Scilingo, ex capitano della marina militare argentina che ha svolto servizio proprio all’ESMA. Ecco le terribili parole che rivela al giornalista Horacio Verbitsky: “Era qualcosa che doveva essere fatto. Non so cosa senta un boia quando deve uccidere… A nessuno piaceva farlo ma era gradevole… Era qualcosa di supremo che si faceva per il paese. Un atto supremo”. Questa breve testimonianza evidenzia il clima di follia e di terrore che regnava in quegli anni in Argentina. Un clima che fa sorgere spontanea una domanda: ma quanto è lungo questo horror tour? La risposta ce la fornisce lo stesso conducente del pullman: “Non ti basterebbero tutte le notti della tua vita. Buenos Aires non finisce mai”. Il 30 aprile 1977 per la prima volta 14 donne “ingenue, vecchie e molto addolorate” scendono nella Plaza de Mayo di Buenos Aires a chiedere ragione della sparizione dei loro figli; la polizia, chiamandole locas (pazze), tenta di sloggiarle intimando loro di “camminare”. Così, camminando attorno alla piazza, inizia la lunga marcia delle Madres dei desaparecidos davanti alla Casa Rosada, sede della presidenza argentina. Una marcia attorno all’obelisco simbolo di Buenos Aires con il capo coperto da un fazzoletto bianco e in mano le foto e le immagini dei cari scomparsi. Una marcia che non si arresta neanche di fronte alla dura repressione militare che uccide Azucena Villaflor, la fondatrice del movimento. Le Madri non si danno per vinte e ogni giovedì scendono sempre in piazza noncuranti delle manganellate e degli arresti della polizia che cerca ogni volta di disperderle invocando le norme sullo stato d’assedio che proibiscono gli assembramenti non autorizzati. A chi chiede di accettare la morte senza spiegazioni, le donne cominciano a chiedere “la ricomparsa in vita”. A chi propone di ricercare le tombe, esse rispondono: “Nessuna tomba può contenere un rivoluzionario”. Leader del movimento diventa Hebe de Bonafini che così commenta: “Non vogliamo la lista dei morti, vogliamo i nomi degli assassini. Non vogliamo l’oblìo, perché vogliamo che ciò che è avvenuto non si ripeta mai più. Non dimenticheremo, non perdoneremo. Un corteo di figli di desaparecidos

A noi non interessa che i desaparecidos siano ricordati e le madri stimate. Vogliamo che i nostri figli siano imitati. ” Ma le madri non sono sole. Il 5 agosto 1978, giorno dedicato all’infanzia, due giornali pubblicano un appello. E’ quello delle Abuelas (Nonne) di Piazza de Mayo, ed è rivolto alle “coscienze e ai cuori delle persone che detengono i nipotini scomparsi, o li hanno adottati, o sanno dove trovarli”. Anche le nonne come le madri urlano con forza che i piccoli scomparsi dopo il golpe devono tornare alle famiglie legittime; è orribile che i bambini vengano cresciuti dalle stesse famiglie che hanno torturato e trucidato i loro genitori legittimi. Ma anche le nonne si scontrano contro il muro di gomma dei tribunali e dei militari che reagiscono ricordando che i loro figli erano degli “assassini” e quindi non hanno il diritto di allevare i propri nipoti perché li trasformerebbero ugualmente in criminali accaniti. Dal 1989 è Estela Carlotto la presidente delle Abuelas de Plaza de Mayo. Sua figlia Laura poco prima di venire uccisa le ha rivelato di avere partorito uno splendido bambino che avrebbe voluto chiamare Guido. Riportiamo di seguito alcuni passi della commovente lettera che Estela Carlotto ha inviato al nipote, mai conosciuto, al momento del suo diciottesimo compleanno: “Caro Guido, oggi che compi diciotto anni, voglio raccontarti cose che non sai ed esprimerti sentimenti che non conosci. I tuoi nonni appartengono a quella generazione che attribuisce a ogni data un valore speciale e particolare. La nascita di un nipote è una di queste date (…). Oggi stai festeggiando i tuoi diciotto anni sotto un altro nome, accanto a un uomo e una donna che non sono tuo padre e tua madre, ma i tuoi ladroni. Loro neppure immaginano che la tua mente custodisce le ninne nanne e le canzoncine che Laura ti sussurrava, sola nella prigione, mentre tu ti muovevi nel suo ventre. Un giorno ti sveglierai, scoprendo quanto tua mamma ti amò e come tutti noi ti vogliamo bene. (…). Ti sveglierai un giorno da questo incubo, nipote mio, e sarai libero. Con tanto amore, nonna Estela”. Ma anche i figli non dimenticano e si è infatti costituito il gruppo “Hijos” che riunisce molti di quei ragazzi che hanno da poco scoperto la loro vera identità. Attraverso esami del DNA e ricerche accurate e approfondite cercano di rintracciare fratelli e sorelle spariti, cercando di smascherare le famiglie di quei militari che hanno dei figli pur essendo le donne geneticamente sterili. Un bell’esempio di queste indagini ce lo fornisce Marco Bechis nel suo film “Hijos” nel quale una ragazza argentina cerca di rintracciare il presunto fratello rubato e affidato a una famiglia di militari.

Cinema e musica. Documenti angosciosi del nostro tempo, molti film e molte canzoni denunciano senza indulgenze le crudeltà della tragedia dei desaparecidos, dando voce e cassa di risonanza ad un grido di dolore che non può essere dimenticato. Nel campo cinematografico ricordiamo il bellissimo e drammatico film di Hector Olivera “La notte delle matite spezzate” (1986) che, ispirandosi a fatti e persone reali, descrive gli arresti, la segregazione e le torture subite da un gruppo di giovani studenti. I fatti si svolgono a La Plata e la notte degli arresti (settembre 1976) verrà appunto ricordata come la notte delle matite spezzate per ironizzare cinicamente sul corso di studi artistici che stavano seguendo questi ragazzi che mai verranno restituiti alle loro famiglie. L’unica loro colpa è stata quella di avere richiesto il tesserino liceale in modo da avere prezzi ragionevoli sul caro libri e sull’uso dei mezzi pubblici, ma per i militari è abbastanza per fare scattare la repressione. Il film descrive l’arresto e le torture subite in particolare da sette studenti; le scene girate in carcere sono crude e realistiche con la macchina da presa rasente a muri scrostati e umidi e carrellate continue lungo le sbarre che simbolicamente sembrano testimoniare come l’intera Argentina sia incarcerata. Continui sono gli zoom sui lucchetti delle celle che immobilizzano una generazione il cui unico movimento è ridotto alle voci sussurrate dei ragazzi che bisbigliano da una cella all’altra cercando di farsi coraggio e di non impazzire. Solo uno di loro, Pablo Diaz, uscirà vivo dall’esperienza, dopo aver scontato 4 anni con l’accusa di essere stato scoperto a distribuire volantini sovversivi, guarda caso proprio nel periodo in cui era già desaparecido… Probabilmente uno degli intenti del film è anche quello di tentare di dare una spiegazione della scelta caduta su Pablo: arrestato fuori dal gruppo e in una situazione successiva, per la logica poliziesca risulta defilato rispetto all’organizzazione e quindi non è pericoloso. “E’ stato deciso che tu viva, ti porteremo fuori di qui: a patto di dimenticare tutto quello che hai visto, tu non sei mai stato qui”: desapariciòn fisica, mentale, psicologica. Nella cinematografia italiana ricordiamo invece gli altrettanto struggenti ed emozionanti film di Marco Bechis “Garage Olimpo” (1999) e “Hijos” (2001).  [Adriana Varela – Con la frente marchita] In”Garage Olimpo” si racconta la storia di una ragazza, Maria, militante in un’organizzazione che si oppone al regime dittatoriale, Laura Carlotto, sparita nelle carceri della polizia politica argentina. Una mattina le milizie la rapiscono sotto gli occhi della madre per portarla in uno dei numerosi luoghi di tortura nascosti a Buenos Aires: il garage Olimpo. Qui subisce interrogatori, torture e violenze di ogni tipo fino al tragico epilogo. Il secondo film “Hijos/Figli” è la continuazione naturale di “Garage Olimpo”. È la storia dei figli dei desaparecidos, nati nei campi di concentramento e adottati illegalmente da famiglie di militari che non ne potevano avere. Quei bambini sono oggi uomini e donne che non sanno di essere figli di desaparecidos, non sanno che le persone con cui sono cresciuti sono state molto spesso le responsabili dirette della morte dei loro veri genitori. Il film racconta la storia di due gemelli Rosa e Javier che vengono separati alla nascita grazie alla levatrice che per salvare almeno la piccola è costretta a fingere di aver fatto nascere il solo maschietto che viene rubato da una coppia di militari in procinto di trasferirsi in Italia. Vent’anni dopo, da Buenos Aires, Rosa inizia a cercare il fratello e riesce tramite internet a contattarlo a Milano dove decide di incontrarlo. I due ragazzi inizieranno ora a scoprirsi tra le paure di una e le diffidenze dell’altro. Oltre al cinema anche la musica si è più volte ispirata al dramma dei desaparecidos e molti cantanti hanno tentato di rappresentare in musica e parole questa immane tragedia. Citiamo ad esempio Manu Chao e Sting tra gli interpreti stranieri con te le canzoni “Desaparecidos” e ” They dance alone” mentre in campo italiano ricordiamo i Nomadi con “Canzone per i desaparecidos” e Paola Turci con “Bambini”.

I mondiali del disonore. Nel 1978 fu disputata in Argentina l’edizione più drammatica e infame dei campionati mondiali di calcio. Nonostante i governi di mezzo mondo e le autorità del calcio fossero al corrente dei crimini tremendi che venivano commessi nell’Argentina sotto la dittatura militare, venne fatta la scelta vile di recarsi ugualmente a disputare quella che doveva essere una grande festa sportiva per il mondo intero. Disputare ugualmente quel torneo fu una grande occasione persa per emarginare un regime criminale e denunciare fatti di infinita gravità e si trasformò al contrario in un autentico regalo alla dittatura (e ai suoi protettori e padrini internazionali) che ebbero dal resto del mondo una sorta di riconoscimento formale del regime. Anche grazie alla vittoria annunciata della squadra argentina strafavorita da arbitraggi e inganni, i campionati del mondo vennero usati da Videla e Massera per distogliere l’attenzione di un popolo terrorizzato dalla tragica realtà e per cercare di dare al mondo intero una immagine di normalità. Ingenti furono i costi della manifestazione, il tutto “perché si diffondesse ai quattro venti il sorriso di un paese felice sotto la tutela dei militari” come riporta Eduardo Galeano. Ma contemporaneamente allo svolgersi del Mondiale continuavano i piani di sterminio delle alte cariche tanto che, proprio nel periodo della manifestazione calcistica, in Argentina la repressione toccò il suo culmine e con essa il numero dei rapimenti e degli assassinii. In pratica i boati del tifo argentino ai goal di Mario Kempes nascondevano il rumore degli aerei della morte che sorvolavano gli stadi trasportando i desaparecidos pronti per essere gettati ancora vivi in mare [Lockheed L-188 Electra e Short SC.7 Skyvan Usati per i Voli della Morte]. Ma le autorità non si curavano di questo e numerose furono le esternazioni di ringraziamento al regime militare. Il presidente della FIFA Havelange parlando davanti alle telecamere delle televisioni osservava: “Finalmente il mondo può vedere l’immagine vera dell’Argentina”. Henry Kissinger, ospite d’onore della manifestazione, dichiarava: “Questo paese ha un grande futuro, a tutti i livelli”. L’unico gesto dignitoso lo compirono i giocatori olandesi sconfitti in finale dai padroni di casa: al momento di ricevere il trofeo si rifiutarono di salutare i capi della dittatura.

Anibaldi Carlo e Simonetta Jaramillo hanno preparato un filmato per ricordare questo capitolo di storia.

ALPHA MALE & ZETA FEMALE ON FACEBOOK


Fra coloro che studiano i comportamenti animali, gli etologi, la definizione di Maschio-Alfa è nota da tempo ed è riferita alle dinamiche di branco, dove la natura vuole che per ragioni di conservazione della specie ci sia un maschio adulto che assume caratteristiche dominanti sugli altri maschi del branco, che assumono una posizione beta e generalmente attendono l’invecchiamento del maschio alfa per accoppiarsi anch’essi con le femmine del branco, cosa altrimenti impossibile. Le caratteristiche alfa comportano quindi onori ed oneri dovuti alla posizione dominante.

 Questa bella storia non poteva sfuggire a coloro che si occupano di venderci di tutto, con l’inganno, la seduzione e ogni mezzo possibile, anche subliminale. Sono gli esperti di marketing, che sono esperti anche di psicologia individuale e collettiva, altrimenti non venderebbero una cippa. Negli USA ci si occupava di questi problemi quando ancora da noi, in Europa, ci si occupava di confini, territori, potenza militare, filologia romanza, romanticismo, Can can, art decò e cappellini della Regina alle corse di Ascot.

Si arriva così ai giorni nostri, dove a fronte del disfacimento di modelli ideali, si va affermando un modello di cartapesta: sono i maschi Alfa, la nuova specie di uomo vincente metropolitano. E’ una vera e propria sindrome di cui sono affetti sembra addirittura il 75% dei manager e su cui si avviano milioni di individui che aspirano a quelle posizioni. Gli esperti hanno perfino definito 4 categorie o varianti di maschio alfa: Commander, Visionary, Strategist e Executor. Ovviamente sono tutte cazzate indotte…in natura infatti non esiste nulla dl genere e siamo nel campo della patologia, per il semplice fatto che le funzioni superiori degli esseri umani, rispetto ai lupi e agli orsi, hanno introdotto elementi tali da sovvertire tutto il discorso che fila solo in etologia. Fra gli umani infatti accade l’imprevisto che un semplice poeta solitario o un timido sognatore assuma caratteristiche cosiddette alfa in tema di dominanza su altri maschi, poichè magari nel tessuto sociale dove sono immersi, i valori e i disvalori sono diversi da quelli del territorio contiguo. Insomma una bufala in piena regola, che serve a vendere prodotti, mode, carriere e in definitiva a fare soldi, potere e, gioco antico come il mondo, sedurre.

Ma come potrebbe esistere una tale favola metropolitana se non fosse supportata da altri maschi che abboccano e schiere di femmine che supportano la leggenda? Non esisterebbe infatti…ma gli esperti d’oltre oceano hanno pensato anche a questo e creato allo scopo un modello di femmina che supporti l’idea. Io la chiamo per brevità Femmina Zeta ed è fondamentale per non far cadere nel ridicolo il concetto di maschio alfa, l’Uomo che non deve chiedere Mai.

La Zeta Female si concede solo a maschi alfa, li riconosce a fiuto e ne assume il carisma con la frequentazione. Nella vita di ogni giorno queste cose ci appaiono solo in maniera sfumata e frequentando certi ambienti, generalmente luoghi di lavoro in grandi città. Ma è arrivato Facebook e allora c’è abbondanza di materiale di studio anche alla scrivania. Arrivano in posta all’improvviso…ti chiedono l’età e che lavoro fai…se sei sposato e senza nessuna vergogna spariscono se non soddisfacente a un clichè preconfezionato…ti sparano 40 ‘mi piace’ a settimana e fanno miriadi di commenti inutili solo per farsi notare…le più ardite si lanciano in serie interminabili di cuoricini e punti esclamativi, per poi svanire nel nulla se comprendono che col cazzo sei disposto a divorziare per via di 4 cuoricini su una bacheca. Rivestono il mito di Diana Cacciatrice senza averlo compreso…vanno semplicemente a caccia. Vedono maschi alfa dappertutto, basta che sono solo meno goffi della media e gli ‘donano’ 5000 contatti in pochi mesi. A me è bastato mettere alcune foto giovanili al fianco di quelle attuali e scrivere cosette che non siano del tutto idiote ma solo ‘normali’ che ho dovuto aprire un terzo account che gli altri sono pieni. Che significa tutto questo? A mio avviso significa che siamo dentro un mondo di plastica dove ci fanno girare in tondo come burattini smidollati e prima ce ne rendiamo conto e meglio è poichè Internet e i Social Network sono mezzi potentissimi e se ne stanno appropriando i Maestri del Marketing (li hanno anzi creati) per i loro fini commerciali a medio e lungo termine, svilendoli nelle funzioni sociali aggreganti e di controinformazione che li fa davvero grandi mezzi.

[Carlo Anibaldi – 2012]

LA SECONDA LETTURA


Siamo abituati a pensare la vecchiaia come l’anticamera della morte, poichè finisce sempre con essa e per questo ci spaventa. Proviamo a riconsiderare la cosa, visto che di là dovremo passare, in quanto non s’è mai vista una anticamera lunga vent’anni e più. Ci deve allora essere una buona ragione se pure oramai imbruttiti, mezzi sordi e mezzi ciechi e con un filo di fiato e di forza continuiamo a girare a lungo intorno al gorgo che ci inghiottirà. La vecchiaia degli umani è fra le più lunghe in natura, poichè la vita continua molti anni dopo che la facoltà di procreare si è spenta, dopo che le capacità creative in generale sono esaurite. Ci sarà pure un perchè a questo, soprattutto se consideriamo che in natura ben poco o nulla è affidato al caso. Proviamo allora a considerare che siamo corpo e Anima, noi siamo così, e allora il percorso dell’uno non termina se non è compiuto il percorso dell’altra. Il corpo smette di essere funzionale e indipendente ma non se ne va, poichè aspetta l’Anima, che generalmente ha tempi parecchio più lunghi per svolgere il lavoro, che alla fine possiamo sintetizzare in una parola: capire, capire la natura e la propria vita stessa. L’anima ritorna a casa con noi ogni sera e non di rado ci tiene svegli la notte. Il nostro temperamento dunque, quello che per tanti anni ha determinato scelte, amicizie, amori, abitudini, errori.  E allora forse il significato di una lunga vecchiaia è quello di capire il nostro destino, riconnettersi ad esso, per riconoscere quella figura che porta il nostro nome e una storia disegnata nella nostra faccia. La vecchiaia ci consente una seconda lettura delle vicende della nostra vita, le sue contingenze e i tanti momenti sprecati. Non è dunque una età triste, se la consideriamo una occasione irripetibile e imperdibile di vedere la nostra vita come una metafora e finalmente comprendere il senso di un lungo cammino.

La divisione netta fra anima e corpo è del tutto artificiosa e addirittura, nelle religioni monoteiste, questa spaccatura è il centro di ogni cosa che dia un senso al ‘credere’. Le cose non stanno così e meno male….le trasformazioni del corpo e quelle dell’Anima sono infatti indissolubili…salvo interrompere il processo con una cannonata o una coltellata…o una grave malattia…che comunque non è quasi mai solo del corpo e fa perciò parte del destino che ci scegliamo o ci costringono a scegliere per fame, miseria e umiliazioni infinite, del corpo e della mente.

[Carlo Anibaldi – gennaio 2012]

LA GIORNATA DELLA MEMORIA CORTA [ovvero PECUNIA NON OLET ]


“Gli amici di Adolf Hitler hanno una cattiva memoria, ma l’avventura nazista non sarebbe stata possibile senza l’aiuto che ricevette da loro. Come i suoi colleghi Mussolini e Franco, Hitler potè contare sul beneplacito della Chiesa Cattolica. Hugo Boss vestì il suo esercito. Bertelsmann pubblicò le opere che istruirono gli ufficiali. I suoi aerei volavano grazie al combustibile della Standard Oil e i suoi soldati viaggiavano in camion e jeep marca Ford. Henry Ford, autore di quei veicoli e del libro “L’ebreo internazionale”, fu la sua musa ispiratrice. Hitler gliene rese grazie conferendogli onorificenze.

Conferì onorificenze anche al presidente dell’ IBM, l’impresa che rese possibile l’identificazione degli ebrei. La Rockfeller Foundation finanziò ricerche razziali e razziste della medicina nazista. Joe Kennedy, padre del presidente, era ambasciatore degli Stati Uniti a Londra,ma sembrava di più ambasciatore della Germania. E Prescott Bush, padre e nonno di presidenti, fu collaboratore di Fritz Thyssen, che mise la sua fortuna al servizio di Hitler. La Deutsche Bank finanziò la costruzione del campo di concentramento di Auschwitz. Il consorzio IGFarben, il gigante dell’industria chimica tedesca che in seguito passò a chiamarsi Bayer, Basf o Hoechst, usava come porcellini d’india i prigionieri dei campi, e inoltre li usava come manodopera.

Questi operai schiavi producevano di tutto, compreso il gas che li avrebbe uccisi. I prigionieri lavoravano anche per altre imprese, come Krupp, Thyssen, Siemens, Varta, Bosch, Daimler Benz, Wolkswagen e BMW, che erano la base economica dei deliri nazisti. Le banche svizzere guadagnarono fortune comprando da Hitler l’oro delle sue vittime, i loro gioielli e i loro denti. L’oro entrava in Svizzera con incredibile facilità, mentre la frontiera era chiusa ermeticamente per i fuggiaschi in carne e ossa. La Coca Cola inventò la Fanta per il mercato tedesco nel bel mezzo della guerra. In quel periodo, anche Unilever, Westinghouse e General Electric moltiplicarono là i loro investimenti e i loro guadagni. Quando la guerra finì, l’impresa ITT ricevette un indennità milionaria perchè i bombardamenti alleati avevano danneggiato le sue fabbriche in Germania.”

(Eduardo Galeano)

Vediamo bene che la guerra se la fanno, da sempre, i poveri cristi, e che ad altri livelli non hanno mai smesso di essere culo e camicia…allora come ora. Ai capitalisti e alla globalizzazione non fa schifo nulla. Affidarsi ad un ‘governo’ è la grande ingenuità che sembra non stancare mai. Quando un tempo c’erano Re e Imperatori sanguinari, le cose almeno erano chiare a tutti. Oggi fiumi di retorica sulla ‘democrazia’ e il sangue versato per essa…e le elezioni ‘sacrosante’ dei rappresentanti del popolo e il Parlamento e la chiesa che affratella le genti…sono solo fumo negli occhi per coloro che, nonostante tutto e in barba alla loro stessa intelligenza, ancora hanno necessità di credere all’archetipo del ‘buon padre di famiglia’ che governa per il bene comune.

[Carlo Anibaldi – 27 Gennaio 2012]

27 GENNAIO – GIORNATA DELLA MEMORIA


Le ragioni che mi hanno impegnato in questo lavoro di ricerca sono, almeno in parte, più personali. Il mio viaggio-pellegrinaggio ad Oswiecim (Auschwitz – Birkenau), Polonia, insieme a mia figlia allora tredicenne, ha lasciato un segno indelebile nella mia memoria e nel modo di sentire; il sangue ti ribolle pure se non sei di cultura ebraica, vivaddio! Inoltre sono convinto che la storia tende a ripetersi solo se la dimentichiamo, nel senso di pensarla come cosa che riguardi gli storici, gli studenti ed i professori. Ciò che conta infatti sembra essere il presente, possibilmente il presente molto prossimo a noi e alla nostra quotidianità. Ma questo modo di vedere, che certo è anche il mio per gran parte delle mie giornate, porta con sé una minaccia, intendo dire che potrebbero poi essere altri a prendere per noi decisioni in grado di sconvolgere le nostre vite. Cosa del resto accaduta assai spesso in passato….. a volerlo ricordare, appunto.

Pensiamo per un momento ai milioni di uomini e donne che negli anni trenta erano affaccendati nella loro quotidianità, in ogni angolo d’Europa e oltreoceano: chi mai avrebbe potuto dire che c’era nell’aria qualcosa che li avrebbe presto convinti, loro malgrado, che la preparazione del matrimonio di una figlia, il nuovo lavoro da incominciare, la tesi di laurea da preparare, il raccolto buono di quest’anno, il nuovo parroco che arriva, il compleanno da festeggiare, la gita fuori porta, che tutto questo insomma sarebbe stato travolto dagli eventi e cancellato, perché le loro stesse vite e quelle dei loro cari sarebbero state in pericolo. E poi la miseria e la fame per molti dei sopravvissuti. Chi poteva immaginare tutto questo in un caldo pomeriggio di fine estate dell’ultimo degli anni trenta?

Tutto questo invece è accaduto, molto vicino a noi, una o due generazioni al massimo. Molti di noi sono cresciuti tra i racconti di tante vicende vissute. Storie troppo spesso strazianti, misere e luttuose. Eppure le nuove generazioni, i nostri figli, per intenderci, non sembrano mostrare particolare interesse per tutto ciò, non più di quanto in genere ne nutrano per le campagne di Napoleone……… storie d’altri tempi.

Io sono certo che anche negli anni trenta non ci si occupasse troppo delle storie d’altri tempi e che la quotidianità fosse, per la maggioranza della gente, tutto quanto di cui fosse sensato occuparsi, proprio come accade oggi.

Tutto ciò a volte mi fa sentire, e mi fa immaginare molti dei nostri giovani, come quei buoi che vengono portati bendati al macello, in modo che non si mettano in ansia e non diano fastidio con escandescenze circa improbabili opzioni sul loro destino.

Ovviamente, come vedremo in questo stesso sito, il contesto socio-politico, economico e culturale degli anni venti e trenta ha poco in comune con l’aria che respiriamo oggi, ma il solo cambiamento che ci potrebbe davvero mettere al sicuro dalla barbarie, purtroppo, non è ancora avvenuto, e attiene a qualche angolo della natura stessa dell’uomo, indipendentemente dal vestito che indossa e se comunica col telefono cellulare o col vecchio telegrafo. E’ in quell’angolo che si annida la barbarie, intesa come intolleranza, disprezzo per il bene supremo della vita, razzismo, egoismo, cinismo e sopraffazione.

Per conforto all’affermazione di cui sopra, proviamo ora a fare una specie di gioco: immaginiamo, fra le persone che, direttamente o indirettamente, conosciamo (e magari diamo un’occhiata anche dentro noi stessi!) alcune da poter calare per un momento in una realtà assai diversa da quella che ora sembra circondarci, in una realtà priva di garanzie, di diritti assoluti, di protezione, in una realtà dove i valori sono sovvertiti, dove Cristo è morto in croce per garantire i privilegi dei potenti della terra, ebbene in questa realtà avreste parecchie sorprese: schiere di mediocri, violenti, frustrati, ignoranti, sarebbero i nuovi mandarini di questa società dove da un giorno all’altro sui muri si potrebbe leggere, in manifesti autoritari, che i calabresi e i marchigiani sono gente ignobile e per questo saranno privati dei loro diritti, poi della loro libertà personale ed infine deportati. In questa nuova società trovereste senza meno il vostro attuale capoufficio, sì, quello arrogante, raccomandato e inetto, con una divisa fiammante da farlo sembrare un dio, con funzioni superiori di coordinamento della deportazione dei calabresi…….. e dei marchigiani. Se vi sembra che sto esagerando con l’immaginazione, guardate poco o tanto indietro nella storia e vedrete che è già successo, troppe volte.

Il sito The Great Crusade è dunque uno STRUMENTO DELLA MEMORIA E DELLA COSCIENZA, uno dei tanti, le cui pagine sono trovate dai motori di ricerca del web e visitate circa 10.000 volte ogni mese, a disposizione di coloro che vogliano per qualche momento togliersi quella benda citata più sopra dagli occhi e ricordare la Grande Crociata che fu combattuta, e che oggi ci permette di vivere serenamente della nostra quotidianità.

Non un sito sulla persecuzione degli ebrei dunque, ma un sito di testimonianza della barbarie nazifascista, che certo non è la sola barbarie della Storia, ma qui di quella si vuole ora parlare, nel senso che il noto teorema “tutti barbari, dunque nessun barbaro” è qui giudicato infantilismo storico e/o qualunquismo. In altre sezioni in preparazione saranno trattate le barbarie staliniane, cambogiane, statunitensi, bosniache, ecc …………., ma è da questa che ha segnato le vite dei nostri padri e madri che voglio cominciare, perchè il concetto cui bisogna avvicinare i giovani è troppo importante per rischiare di diluirlo con le “lontane” vicende di Pol Pot.

Infine, ma non ultimo, altro buon motivo per diffondere questi strumenti della memoria storica è l’arrogante affacciarsi di uno strisciante revisionismo che vorrebbe riscrivere la Storia di quel periodo e ripresentarla come si fa coi panni sporchi: puliti e profumati dopo il bucato. All’origine di questa operazione c’è fondamentalmente l’antisemitismo di sempre, con la “novità” che le infamie del nazismo hanno temporaneamente indebolito le argomentazioni degli antisemiti di mestiere e di quelli viscerali. Come potrebbe oggi un antisemita, dopo quanto è accaduto negli anni ’40 di questo secolo, presentarsi alla Storia con qualche argomento? Soprattutto se nemmeno è palestinese di nascita? E allora ecco che si devono sentire acrobatiche storie come, ad esempio, quella che vorrebbe che nei campi furono fatte delle porcherie, è vero, ma il gas no, quello fu pura invenzione dei bolscevichi.

Altri gentiluomini con belle cravatte e belle parole argomentano puntigliosamente nelle TV circa qualche milione di ebrei in più o in meno nei forni ………

“Che si abbia il massimo della documentazione possibile – che siano registrazioni filmate, fotografie, testimonianze – perché sicuramente arriverà un giorno in cui qualche idiota si alzerà e con la massima semplicità possibile dirà che tutto questo non è mai successo.” Dwight Eisenhower

27 GENNAIO – GIORNATA DELLA MEMORIA

CULTURA E INFORMAZIONE AL TEMPO DI INTERNET


 Tornando indietro anche solo fino agli anni ’50 vediamo alti tassi di analfabetismo e scolarizzazione mediamente bassa. Economia prevalentemente agricola. La diffusione capillare di televisione, telefono ed automobile erano ancora di là da venire. In una società così configurata (e più ancora nei decenni precedenti) il bene impagabile, il riferimento per chiunque, in Italia e altrove, era la Cultura. Gli ambienti privilegiati e le persone di grande riferimento all’interno della società avevano solide basi culturali. Dunque, non il primato del danaro o del potere politico o del lavoro, ma il primato della Cultura. Il ricorrente tentativo dei poteri forti di amalgama con questo elemento ed il fenomeno del mecenatismo stanno qui a sottolineare questo concetto. Qualsiasi macellaio arricchito cerca di mettersi in casa opere d’arte che non comprende, allo scopo di ‘allargare’ la sua mediocre personalità con la Cultura. Tutto ciò è stato vero per centinaia di anni, con diversi accenti, sfumature e tentate rivoluzioni.

Quello che voglio evidenziare è il lento, ma costante declino di questo primato, da qualche decennio a questa parte. Che cosa ha potuto scardinare una base societaria tanto solida? La risposta, oramai evidente, è nella novità di un’enorme massa di informazioni oggi a disposizione e la capillarità della loro penetrazione, fenomeno inimmaginabile fino all’avvento delle tecnologie e dei metodi informatici.

I tradizionali santuari della Cultura hanno visto i loro tesori trasformarsi in dati asciutti, sintetici, circostanziati, verificabili in tempo reale e soprattutto largamente disponibili. Presto ci si è dovuti render conto che l’informazione puntuale costituisce potere, in ogni campo, in un mondo dinamico, profondamente cambiato, come quello di oggi. Per dirla in altro modo: è la larga disponibilità dei dati, più che la loro quantità, che ha determinato la perdita di potere della cultura tradizionale che, per definizione, è elitaria. Tanto è vero che la politica, il potere e l’economia da sempre lusingano e “arruolano” esponenti del mondo culturale ed accademico.

In ogni campo i professionisti di oggi, qualche volta loro malgrado, devono quotidianamente confrontarsi con questa nuova realtà che vede il primato della Cultura cedere sotto il peso di un invadente ma salutare primato dell’Informazione. Quale Direttore di Scuola caldeggerebbe oggi metodiche che si discostino dai dati delle evidenze internazionali? Quale Casa Farmaceutica o Industria Alimentare proporrebbe prodotti e procedure non ampiamente validate a livello internazionale? Ogni consumatore oggi può avere in pochi minuti sul proprio computer il meglio delle evidenze mondiali su ogni anfratto del conoscibile.

E che dire dell’informazione erogata dai Media nazionali e locali? Gli interessi di Partito, di cordata, economici e di Fede, continuano a cercare di “Fare Opinione”, lo hanno sempre fatto perchè è la strada maestra per esercitare e amministrare il Potere, ma oggi è più difficile “Fare Opinione” perchèla Grande Rete Internet è costituzionalmente restia a farsi imbrigliare su “polpette” preconfezionate nelle sedi di Partito o nelle Curie. La sua capillarità non lo consente: nemmeno ai più astuti e ricchi Opinion Maker.

E’ una rivoluzione che coinvolge tutti. Ultimo, ma non ultimo, il Terzo Mondo. Hanno potuto di più i semplici SMS da cellulare che decenni di politiche di aiuti umanitari. Con un solo SMS è possibile informare della disponibilità di pesce pescato il mercato con maggiore domanda e vendere la partita in tempo utile. Con un solo SMS si informa di tonnellate di mais disponibili a trovare un compratore fuori dal proprio comprensorio.

Il vero aiuto al Terzo Mondo è l’abbattimento del Digital Divide. Non a caso, le maggiori organizzazioni mondiali (OMS, ONU, FAO, UNESCO, ecc…) si stanno muovendo in questo senso. Contro questo dato di fatto si infrangono pregiudizi, opinioni e poteri consolidati. I primati crollano e se ne ergono di nuovi. Inutile opporsi. Inutile resistere a quanto attiene a quel tipo di cambiamenti non contrastabili, ma solo assecondabili. Allo “zoccolo duro” dei tradizionalisti, idiosincratici verso le tecnologie avanzate, potremmo sottoporre, per trasposizione, questa riflessione: cosa costituì vero progresso nei trasporti? Continuare ad aggiungere cavalli al tiro della carrozza oppure l’invenzione della macchina a vapore?

Carlo Anibaldi

LA LOBBY DEL DISSENSO [di Carlo Anibaldi]


Per quanto ‘impopolare’ questo argomento va guardato per quello che è oltre l’apparenza. Del resto l’impopolarità non è forse un traguardo cui ambire, in questi tempi che fanno ‘santi’ anche i gaglioffi?
In questi ultimi mesi qualcosa si sta sgretolando nei piani alti dell’industria del dissenso, ma questo lo vedremo poi, intanto consideriamo che per anni ci sono stati personaggi pubblici che sono arrivati al grande pubblico attraverso reti televisive nazionali, le ammiraglie dell’informazione e della formazione del consenso al ‘sistema’. All’interno del sistema radiotelevisivo, ma non solo, anche in quello giornalistico e parlamentare, si sono distinte persone che non nomino per timore di tralasciarne qualcuna che poi si offende, e che tutti invariabilmente hanno attaccato, con arguzia, comicità spassosa, satira, analitica perseveranza, genio artistico o giornalistico e tenacia, il “sistema”. Quello che tutti insieme hanno determinato è il formarsi di una pubblica opinione, una massa dunque, che si riconosce nella critica al sistema. Facendo parte di quella massa, si sentono dalla parte ‘giusta’ e dunque sono compresi nel ruolo di oppositori al ‘sistema’. Questa massa di ammiratori dei paladini del dissenso si sentono ‘opposizione’ anche solo a guardare trasmissioni, leggere giornali, ridere nei teatri tenda e nei cabaret che in una parola possiamo definire l’intellighentia degli opponenti versus i cialtroni che di volta in volta ci governano. Qua, a mio avviso e, grazie al cielo, non solo a mio avviso, sta il trucco. Mi riferisco al fatto enorme, cionostante invisibile ai più, secondo cui questa grande macchina del dissenso delegittima ogni ‘altro’ dissenso e legittima per questo l’establishment, che come è noto, in ‘democrazia’ è costituito da una maggioranza e da una opposizione, insieme e con ruoli interscambiabili nel breve periodo e dunque attenti a non sgretolare il sistema che li contiene. In altre parole, allorchè il dissenso nuota nelle acque sicure della legittimazione del sistema, non è dissenso ma consenso al sistema. La prova di questo che vado dicendo qua sta nel fatto che nelle trasmissioni ‘contro’ e sui giornali ‘contro’ e nella satira ‘contro’ e nei dibattiti ‘contro’, vengono messi in ‘piazza’ esclusivamente fatti che sono già ampiamente noti ai carabinieri, alla polizia, ai magistrati, alla finanza e le querele che ricevono questi Robespierre sono per gli eventuali danni che hanno subito da questa iniziativa (cause quasi mai vinte, appunto, poichè s’è parlato di questioni note e spesso perfino provate) imprenditori o privati cittadini e non per falsa notizia. Dunque questi agenti ‘contro’, questi tupamaros del dissenso all’establishement che ci sta portando alla rovina, non toccano mai i veri santuari. Chiamereste rivoluzionari quei preti che negli anni ’70 portarono le chitarre elettriche in chiesa? Ecco, portare gli operai a confrontarsi in trasmissioni coi pescecani in poltrona è come portare le chitarre in chiesa, cioè niente, in termini di dissenso e nemmeno in termini di informazione. Coloro infatti che hanno tentato qualcosa di veramente contro il sistema, o sono morti ammazzati o sono stati completamente emarginati. Persone coraggiose, che non seguono ma precedono la magistratura, che hanno compiuto inchieste giornalistiche vere, sono emarginate dal sistema in modo bipartisan ed è tanto che ancora riescano a scrivere sui blog e produrre trasmissioni filmate per YouTube. In queste trasmissioni dei colossi dell’informazione, in questa satira, in questi monologhi d’artista, si parla di alti costi di tenuta del conto bancario, costi più alti d’Europa i nostri, ma non si dice nulla di cosa sono le banche, che mestiere fanno, non si parla di signoraggio, non si parla dello IOR se non seguendo tracce giudiziarie note. In queste trasmissioni ed articoli si parla di alto costo dei farmaci e delle lungaggini del sistema sanitario nel fornire prestazioni sanitarie tempestive, si parla e si scrive di scandalose liste di attesa, ma non si fa una parola nè una riga sul fatto che i medici, in tutto il mondo, sono formati in scuole di medicina che dalla fine dell’800 sono infiltrate finanziariamente dalle 5 o 6 grandi aziende farmaceutiche mondiali, quelle stesse che producono i vaccini per vaccinazioni inutili e spesso dannose, che creano ‘malattie’ come l’ipertensione, i cui valori ‘normali’ scendono di congresso medico in congresso medico, per vendere miliardi di pillole…sempre a più cittadini sani. Oppure di quelle sostanze attive, ma non brevettabili perchè naturali e non sintetiche, e mai legittimate dalla lobby medica poichè di nessun guadagno per le ditte farmaceutiche multinazionali.
Recentemente alcune ‘prime donne’ di questa cosiddetta controinformazione sono usciti dalla televisione pubblica e dai giornali sovvenzionati dal sistema stesso….staremo a vedere se si tratta di rivoluzionari che denunciano il sistema affamante o se solo sono riformisti. I riformisti sono ad esempio quei preti che contestavano la chiesa di Roma per farne un’altra altrove. Ora consideriamo se noi vogliamo davvero un’altra chiesa, un altro stato, un altro ministro, un’altra banca. Nel momento che applaudiamo e ci sganasciamo dalle risate a sentire questi signori della lobby del dissenso, siano essi comici, artisti o giornalisti, in realtà stiamo legittimando questo sistema e il massimo che stiamo chiedendo è che sia oliato in modo più efficiente. La vera controinformazione la troviamo altrove, in posti lontani dalle luci della ribalta e dal successo di massa, che quella, la massa, se l’è presa il sistema, grazie ad una contestazione controllata, che dunque va in piazza, ma scortata dalla polizia, per evitare “infiltrazioni”…..anche in strada, come altrove, TV o giornali che siano, non sono tollerati gli “infiltrati”.
[Carlo Anibaldi 2011]

ODIO FACEBOOK…UN PO’


 Stavolta ne parlo un po’ male và, altrimenti scambio la dipendenza per affetto e invece tocca stare all’erta. Un posto dove tutti i gatti sono bigi, dove i normali sembrano idioti e gli idioti normali. Il peso di una osservazione costante da parte di sconosciuti mi agita, nonostante alla fine è proprio l’attenzione che andiamo cercando….e pure le dinamiche di gruppo…o se volete del branco. Non ho mai tollerato il controllo, nè ho mai gradito che estranei si facessero gli affari miei, proponessero chat o confidenze tanto improvvise quanto incongruenti e fastidiose. Qualche giorno fa un signore mi ha chiesto amicizia e dopo un quarto d’ora mi è arrivata la richiesta della mail privata, dove mi è giunto un .pdf di 200 pagine con tutta la sua vita con foto a corredo. Parecchi non conoscono il limite delle cose, nè capiscono i termini esatti della  loro invasione pseudoaffettiva. Nè hanno riflettuto sul fatto che dietro lo schermo ci siano persone e sensibilità. Ho detto basta a tutto ciò a più riprese…senza successo. Basta ai rapporti di plastica. Basta agli attentati alla mia privacy, alle vendette e alle ritorsioni infantili di certuni. Ho imparato a mie spese che i socialnet non farebbero per me, ma tant’è…si diventa un po’ dipendenti. Amo le persone che sanno costruire un rapporto interpersonale senza enfasi, senza promesse non sollecitate….semplicemente vivendolo giorno per giorno. Ma il tempo di coltivare rapporti in questa società schizzata e in queste città trappola, non c’è più…e fioriscono allora questi surrogati della vita stessa. Se il computer desse anche da mangiare per alcuni sarebbe la mamma, sorella, amante e moglie.

Amo chi si mette in contatto con delicatezza, senza entrare a gamba tesa raccontandomi la sua vita dopo cinque minuti o ore o giorni di ‘amicizia’….che mica sono il prete o lo psicocoso tascabile. Amo chi mi chiede: ”cosa intendevi dire quando hai scritto..?”…  e non passa direttamente agli insulti.

Amo chi non mi chiede di diventare suo fratello sul profilo fb e poi se ne sbatte quando sto muto venti giorni….che in quel tempo potrei essere già stato cremato e disperso. Amo chi non ”tradisce” un’amicizia nè in tempo di pace nè in tempo di guerra. Amo chi sa mantenere la parola data o un segreto…anche se i segreti si sa, funzionano solo in amore, talvolta e per un po’, quasi mai in amicizia. Amo chi non giudica e piuttosto si domanda ”…e se fosse successo a me?”

Odio chi si comporta come un gatto pur non essendolo…in quanto si sa che solo ai gatti è concesso di sentirsi al sicuro se solo si tolgono il nemico da davanti agli occhi…trascurando che gli si vede tutta la coda…..

Amo chi sa ascoltare. Amo chi non usa mai toni autoritari. Amo chi non ha ideologie. Amo chi sa pensare a un mondo diverso senza aggrapparsi alla speranza.

Amo chi odia la speranza e là non si ferma a guardare il proprio ombelico. Amo chi protegge e aiuta gli indifesi. Amo chi sa parlare con lo spazzino a tu per tu….perchè quello sei tu con un po’ meno di fortuna.

Amo chi ama i libri e comprende la loro importanza. Amo chi sa costruire gli aquiloni o sogna di librarsi in volo buttandosi da un parapendio. Amo il mare e la sua profondita’…il suo mistero. Amo la vita nonostante non riesca quasi mai a viverla come vorrei.

Odio chi afferma che un tempo non c’erano le lampadine e si viveva lostesso…si rideva e si piangeva, si amava e si odiava…sottintendendo che sia cosa da nulla tornare ai lumi ad olio. In realtà la sola libertà che ci possiamo concedere è quella di spegnere la luce di tanto in tanto.

[Carlo Anibaldi – gennaio 2012]

IL PRINCIPIO DI PETER (ovvero: il tempo dei somari)


Il principio di Peter in estrema sintesi curata da Carlo Anibaldi –

Nel nord Europa, negli Stati Uniti e, recentemente, anche in Italia sono molti gli studiosi che si sono occupati di questioni connesse alla qualità dei Servizi e delle problematiche connesse all’ “out-come” aziendale, pubblico e privato. Molte delle dinamiche che spesso riteniamo scontate in quanto “insite nell’ordine delle cose di questo mondo”, in realtà sono spesso frutto di pregiudizi sull’immodificabilità dei comportamenti e causa del basso profilo che troppo spesso incontriamo nell’offerta di servizi, pur ad alto costo per la collettività.

Fra i molti postulati utili a definire questo concetto, ho scelto “Il Principio di Peter” (dello psicologo canadese Laurence J. Peter che, assieme a Raymond Hull, formulava in chiave satirica il meccanismo della carriera aziendale), perché ben si presta alla semplificazione di studi complessi.

Un individuo inserito in una scala gerarchica inizia l’attività con un ruolo preciso, svolgendo compiti precisi.

Se svolge bene i suoi compiti viene “promosso”, passando a compiti diversi. Dopo un certo tempo, se anche questi nuovi compiti vengono svolti bene, scatta una nuova promozione. Tali promozioni portano a posizioni dette apicali che, per definizione, devono essere occupate da persone con una spiccata attitudine a risolvere problemi.

Il gioco delle promozioni continuerà così fino al momento in cui l’individuo non sarà più in grado di svolgere i compiti assegnatigli. Da quel punto in avanti non avrà più promozioni. Ha raggiunto il massimo della sua carriera. Per cui ecco il principio: In ogni gerarchia, un dipendente tende a salire fino al proprio livello di incompetenza. Da questo principio discende che ogni posto chiave tende potenzialmente ad essere occupato da un incompetente, un soggetto cioè in grado di creare più problemi di quanti possa risolverne.  Il che spiega molte cose sul funzionamento di parecchie istituzioni….e del fallimento dei cosiddetti governi tecnici. Questi professori che diventano ministri ad honorem, diventano degli asini storditi dai suoni in quell’ambiente nuovo che chiede loro miracoli sulla base di esperienze maturate altrove.

Le società anglosassoni, che pur hanno studiato questi fenomeni assai prima di noi, sembrano impigliate in questo meccanismo in misura meno drammatica, probabilmente a causa della maggior diffusione del pragmatismo della dottrina protestante che, come sappiamo, è libera da sentimentalismi ed assai più rigida nelle questioni di principio. Molto difficile che il Direttore delle Acque del Tamigi, che ha la responsabilità della navigabilità del Tamigi, sia un manager di provenienza politica piuttosto che tecnica, oppure addirittura un manager privato assunto a suon di milioni di euro dallo Stato per amministrare, senza rischi, i soldi dello Stato stesso, o, peggio ancora, un capitalista senza capitali che privatizzi gli utili e pubblicizzi le perdite. Il messaggio sotteso al principio in oggetto, anche in Italia, cominciava finalmente ad essere recepito e nell’affidamento di incarichi apicali emergeva la tendenza di confidare non tanto sulle persone-brave e/o brave-persone, quanto su persone qualificate nello specifico compito di risolvere problemi e conseguire obiettivi. Purtroppo è nostra abitudine importare dai Paesi avanzati gli scatoloni (legge sulla privacy, management aziendale, controlli istituzionali, ecc…) per poi riempirli dei soliti contenuti di cui siamo Maestri nel mondo. Siamo infatti tornati senza vergogna all’affidamento ai famigli e ai ‘fidi’ degli incarichi apicali, in quanto l’obbiettivo è quello di fare o restituire favori, cioè stipendi da nababbi a spese del contribuente o persone debitrici al posto giusto, non certo far funzionare l’azienda pubblica affidata. Si riaffaccia insomma il concetto borbonico di res publica a valore zero spaccato e della sfera familiare e di clan a valore assoluto.

Ovviamente nella categoria delle persone-brave e/o brave-persone possiamo includere anche le persone brave nel farsi raccomandare. Questa pratica non è certo solo italiana, quello che però ci distingue è la curiosa attitudine a vantarcene piuttosto che a vergognarcene; in genere siamo infatti disponibili a concedere ammirazione ad un individuo solo per le sue reali o supposte conoscenze importanti. Tale ammirazione trascende le reali competenze del soggetto e le sue effettive capacità nel dare soluzioni ai problemi.

In definitiva, se da una parte è indubbiamente premiante promuovere Capostazione un bravo Macchinista, oppure Direttore Sanitario un bravo Primario, o Ministro della Repubblica una bella ballerina, dall’altra, come ha cercato di spiegarci Peter, non è sempre detto che questo consolidato modo di operare faccia gli effettivi interessi delle rispettive aziende e degli utenti che vi afferiscono.

La novità di questi ultimi tempi consiste nella trovata antica dei ‘tecnici’ nelle stanze dei bottoni. Talmente antica questa trovata che nei secoli s’è visto che nelle stanze dei bottoni i ‘tecnici’ non ci potevano proprio stare, stante che l’efficenza ed efficacia è solo una delle qualità della politica e non può raccoglierle tutte, altrimenti basterebbe un Duce a far camminare una Nazione come un treno, in velocità ed efficienza, ma la Storia mostra da millenni che un Duce presto o tardi fa carneficina del suo stesso popolo. In definitiva il Principio di Peter mostrerà come questi efficienti ‘tecnici’ chiamati a governare, con questa ‘promozione’ sono arrivati al loro livello di incompetenza e a meno di un miracolo creeranno alla gente più problemi di quanti siano in grado di risolverne.

Credo che molti interpretano male l’assunto secondo cui nella vita bisognerebbe privilegiare il senso piuttosto che il ruolo, per renderla degna. Il senso della propria vita non andrebbe insomma cercato in un ruolo sbagliato.

 

[Carlo Anibaldi – rev. 2013]

GAITE’ PARISIENNE


belleepoque

La BELLE EPOQUE è una breve stagione di nemmeno 40 anni che dalla fine dell’800 termina negli orrori degli anni della Prima Guerra Mondiale. Questa Epoca Bella deve l’universalità della denominazione in lingua francese al fatto indiscusso che Parigi ne fu la capitale e fucina incessante di tendenze che contagiarono, dove più, dove meno, l’intera Europa. L’Inghilterra vittoriana e francofoba subì meno di altre Nazioni la ventata euforizzante d’oltre Manica. Questa visione del mondo e della vita sopra le righe nasce dal sentire diffuso che si stava finalmente cavalcando la tigre delle profonde trasformazioni che segnarono tutto l’800, prima fra tutte la Rivoluzione Industriale, beneficiando ampiamente dei suoi frutti in molti ambiti vitali, quali il commercio, i trasporti, le comunicazioni, l’edilizia. Dunque la maggior circolazione di danaro e l’ottimismo sono gli ingredienti base della Belle Epoque.

Del resto la vita appariva in quel tempo davvero più facile e sorridente come mai prima di allora: i padri e i nonni di questa generazione di fine secolo si spostavano in carrozza o a cavallo su strade polverose e insicure, comunicavano con lettere che impiegavano settimane a giungere a destinazione, le merci arrivavano in porto dopo mesi di navigazione attraverso gli oceani e venivano poi caricate su mezzi trainati da cavalli, muli, vacche, il lavoro nelle manifatture era spesso disumano perchè si giovava quasi esclusivamente della forza delle braccia. Nell’arco di pochi decenni tutto questo diventò antico, grazie alla diffusione di efficienti macchine a vapore per treni e navi, all’elettrificazione di molte linee ferroviarie, alla comunicazione in tempo reale attraverso onde radio e poi telefoniche, all’invenzione del motore a scoppio che soppianta dopo millenni il traino animale , alla straordinaria invenzione dei fratelli Lumière e agli albori dell’aereonautica. Possiamo immaginare l’emozione nel vedere le città illuminarsi ogni sera di mille e mille lampadine dopo secoli di buio rischiarato da torce e pochi lumi a gas. Ce n’è davvero abbastanza per ubriacare un’intera generazione. La centralità di Parigi negli anni della Belle Epoque è in buona parte dovuta alle grandiose “vetrine” delle Esposizioni Universali che vi si tennero nel 1889 per celebrare il centenario della Rivoluzione (in quell’occasione fu inaugurata la Tour Eiffel) e nel 1900. La vivacità parigina di questo periodo diede vita a fenomeni artistici assolutamente innovativi quali l’Impressionismo, il Futurismo (il manifesto dell’italiano Marinetti fu pubblicato sul Figaro nel 1909), il Cubismo e altri.

In Italia, questi anni a cavallo di due secoli sono quelli che vedono anche lo scoppio delle contraddizioni della giovane Nazione: la povertà dilagante, soprattutto nel meridione, spinge almeno 500 mila emigranti ogni anno verso le americhe; il lungo periodo di pace e stabilità politica (Età Giolittiana) non ha rafforzato gli ideali democratici, al contrario si moltiplicano i movimenti antidemocratici, la corruzione e la noia, tanto che qualcuno ebbe a dire che “la pace corrompe lo spirito”. La cultura europea del primo Novecento è impregnata di catastrofismo e senso della morte come sacrificio estremo, come riscatto. Tanta parte dell’arte e della letteratura europea di questo periodo porta i segni di una catastrofe in divenire. Non è un caso che proprio in questo periodo nasce il Movimento Futurista di Tommaso Marinetti, esploso nel 1909 con il Manifesto pubblicato su Le Figaro. Il Futurismo è una sorta di ribellione permanente contro la tradizione e i valori del passato; il movimento esalta la guerra come unico mezzo di “igiene” del mondo. E’ anticlericale, antipacifista, contro la democrazia parlamentare, per l’abolizione delle scuole e il libero amore, ma soprattutto opera una profonda trasformazione del concetto di Libertà, che vuole sottomesso a quello di “Italia”, bene supremo da “liberare” dal parlamentarismo e dalla “degenerazione giolittiana” che volle estendere il suffragio a tutto il sesso maschile, indipendentemente dalla classe sociale. L’idea di Giolitti era infatti quella di non escludere dai processi decisionali la maggioranza della Nazione, costituita da operai e contadini. Bisogna dire che non fu solo lungimiranza politica, ma un mezzo tout court per vincere le elezioni politiche del 1900.

Carlo Anibaldi [dal Sito IL NOVECENTO di Carlo Anibaldi – www.carloanibaldi.com/novecento/ ]

BUON ANNO UN CAZZO!


BUON ANNO….ma facciamo i fatti, mille piccole cose mica la rivoluzione francese…sennò sò chiacchiere da salotto st’indignamenti e l’anno nuovo finiranno il lavoro…. e non serve dire che per male che ci va saremo l’oltreoceano dell’america latina, dove la classe media non c’è mai stata…avete mai visto peruviani, colombiani, brasiliani, argentini, guatemaltechi, fare turismo di massa o la fila ai megastore a comperare l’ultimo modello di iPhone? Bè pazienza, faremo così pure noi….. riso e ceci da Palermo ad Amburgo….NO, qua ogni 100 chilometri parliamo lingue differenti e abbiamo diverse culture dal condominio in su…Non sarà dunque mai l’america latina…altro che Europa unita…qua senza soldi sarà un bagno di sangue.

‎”…Más de 20 millones de personas viven en la pobreza en Colombia y más de 8 en la indigencia, lo que significa que cerca de 30 millones de personas no tienen los recursos suficientes para disfrutar de una viva digna en el país sudamericano”.

Se in Europa un Paese arriva a questo genere di situazione, comincia a bombardarne un’altro…la Storia non lascia molto spazio alla fantasia creativa degli scenari.

SOCIAL NETWORK


Proviamo a catapultarci indietro di una decina di anni e guardiamoci intanto che facciamo in una giornata 25 telefonate, spediamo una decina di lettere, copiamo su CD una decina di canzoni e video e li spediamo ad amici nel mondo…poi litighiamo con 4 persone e quando si fa sera ci  mettiamo in conversazione simultanea con 4 amici. Ecco, dieci anni fa ci avrebbero accompagnati da un buon dottore….invece oggi tutto ciò è la norma per milioni di persone. Lo straordinario successo di FB, coi suoi numeri pazzeschi, è stato studiato tanto e è difficile aggiungere cose nuove, salvo che, al pari del cellulare, vivevamo anche senza, certo, ma ora levarselo è quasi  impossibile. Comunque sia, partendo da riflessioni personali, provo a dire anche la mia e la metto in condivisione, anche se forse è dell’uovo di Colombo che stiamo parlando. Ognuno di noi 500 milioni di iscritti ha avuto la sua motivazione per essere qua…chi per stare in contatto con parenti lontani, chi per fare nuove amicizie, chi per ritrovare compagni di scuola, chi per accedere rapidamente alle informazioni, chi per condividere una passione politica o artistica e culturale in generale, chi per contrastare il senso di solitudine che la troppo veloce vita di oggi porta con se, chi per ‘gonfiare’ la propria personalità miserella in maniera più economica che con auto costose ed escort al seguito. Ci sono poi gli handicappati motori, che nelle nostre città neanche possono uscire da casa poichè le barriere architettoniche glielo impediscono. Queste e molte altre le motivazioni di iscrizione di tutti noi, ma poi abbiamo messo centinaia di foto, scritto infiniti post, note, poesie, filmati e quant’altro in quantità industriale… Ricordate l’aforisma: mi si nota di più se vengo o se non vengo? Dunque anche le posizioni defilate non sempre e non necessariamente, sono immuni dal discorso che stiamo cercando di fare per capire il fenomeno in profondità. Il metodo scientifico poi, impone di scartare gli elementi che si discostano troppo dalla media e allora, per capirci qualcosa, non consideriamo coloro che sono su FB con nome falso e foto di paperino e non postano nulla o quasi. E poi c’è l’infernale meccanismo dei “mi piace”, che a molti di noi solletica a un tempo sia la vanagloria che l’affettività, oltre le spesso necessarie conferme alla speranza che non ce la stiamo cantando in solitudine cosmica e ci invoglia quindi ad esprimerci ancora e ancora  in pubblico. Mi sono allora detto che se milioni di persone, a centinaia addirittura, dopo essersi iscritti rimangono e anzi ingigantiscono il profilo, lo arricchiscono, più di luci che di ombre ovviamente, fino a crearsi assai sovente personalità parallele al vero…non finte, ma parallele, di affianco a una realtà che schiaccia nel ruolo più che privilegiare il senso del nostro stare al mondo, ci deve essere una o più motivazioni profonde, comuni a tutti per questo permanere a dispetto dei disagi e delle arrabbiature e incomprensioni ….. e che prescindono dalle ragioni iniziali di iscrizione. Questo mi sono detto.   Un minimo comune multiplo insomma, in cui la stragrande maggioranza di noi può riconoscersi per motivazione profonda. Infatti, a mio avviso, certamente opinabile, se un fenomeno coinvolge milioni e milioni di esseri umani, siamo nel campo del collettivo condiviso e le motivazioni iniziali di ciascuno sarebbero allora solo la via per incontrarsi laggiù, nel substrato comune, che va a costituire l’esperienza di specie, qualcosa come il volare degli uccelli, che non è certo esperienza dei singoli, ma di specie. Sono allora andato a cercare in questo substrato comune e fra altre cose ci ho trovato il bisogno di attenzione, una cosa antichissima che nei primi mesi di vita addirittura è sovrapponibile all’istinto di conservazione e poi lungo la vita assume svariate forme ma, a mio avviso, rimane il centro di tutto, almeno per quella parte di umanità che ancora non è riuscito a trovare il centro in se stessi e lo cercano fuori da sè. Siamo davvero in tanti credo in questa condizione di cercare conferme fuori, dagli altri, ritenendoci, certamente a torto, non forniti di tutto quel che serve. Ritengo che l’attenzione sia all’origine di tutto…amicizia, amore, stima e rispetto. Anche il dissenso espresso è un segno di attenzione e spesso il più utile. Solo l’indifferenza fa male davvero, salvo, ripeto, essere bastanti a se stessi. Senza l’attenzione si è soli al mondo, almeno fino al giorno che non si è tanto avanti sulla strada della crescita individuale e della consapevolezza, da aver posto il Centro  dentro e non più fuori da sè stessi. Grazie per l’attenzione, appunto!

Carlo Anibaldi,  2011

WOMEN – Real & Fantastic


Un breve viaggio fra realtà e fantasia nell’altra faccia della luna: LILITH, un archetipo che ci prende tutti, uomini e donne, perchè tutto contiene, le gioie immense e il dolore lancinante, insomma la vita, tra l’Alfa e l’Omega.
Complete Collection at www.jaramillo-photos.com

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IL DIRITTO AL DELIRIO di Eduardo Galeano


Ormai sta nascendo il nuovo millennio. La faccenda non e’ da prendere troppo sul serio: in fin dei conti, l’anno 2001 dei cristiani e’ l’anno 1379 dei musulmani, il 5114 dei Maya e il 5762 degli ebrei. Il nuovo millennio nasce un primo dell’anno per opera e grazia di un capriccio dei senatori dell’impero romano, i quali, un bel giorno, decisero di rompere la tradizione che imponeva di celebrare l’anno nuovo all’inizio della primavera. Il conteggio degli anni dell’era cristiana proviene invece da un altro capriccio: un bel giorno, il papa di Roma risolse di porre una data alla nascita di Gesu’, benche’ nessuno abbia mai saputo quando davvero nacque. Il tempo si burla dei confini che noi inventiamo per credere che lui ci obbedisca: tuttavia, il mondo intero celebra e teme questa frontiera .Un invito al volo – Millennio che va ,Millennio che viene – l’occasione e’ propizia agli oratori dalla retorica infiammata che disquisiscono sul destino dell’umanita’ e a quei messaggeri dell’ira di Dio che annunciano la fine del mondo e lo sfascio generale; intanto, il tempo continua, silenzioso, il suo cammino lungo le vie dell’eternita’ e del mistero. In verita’, non c’e’ nessuno che sappia resistere: in una data simile, per arbitraria che sia, chiunque sente la tentazione di domandarsi come sara’ il tempo che sara’. Abbiamo una sola certezza: nel ventunesimo secolo, se ancora saremo qui, tutti noi saremo gente del passato millennio. E benche’ non possiamo indovinare il tempo che sara’, possiamo avere almeno il diritto di immaginare come desideriamo che sia. Nel 1948 e nel 1976, le Nazioni Unite proclamarono le grandi liste dei diritti umani: tuttavia la stragrande maggioranza dell’umanita’ non ha altro che il diritto di vedere, udire e tacere. Che direste se cominciassimo a praticare il mai proclamato diritto di sognare? Che direste se delirassimo per un istante? Puntiamo lo sguardo oltre l’infamia, per indovinare un altro mondo possibile: l’aria sara’ pulita da tutto il veleno che non venga dalla paure umane e dalle umane passioni; nelle strade, le automobili saranno schiacciate dai cani; la gente non sara’ guidata dalla automobile, non sara’ programmata dai calcolatori, ne’ sara’ comprata dal supermercato, ne’ osservata dalla televisione; la televisione cessera’ d’essere il membro piu’ importante della famiglia e sara’ trattato come una lavatrice o un ferro da stiro; la gente lavorera’ per vivere, invece di vivere per lavorare; ai codici penali si aggiungera’ il delitto di stupidita’ che commettono coloro che vivono per avere e guadagnare, invece di vivere unicamente per vivere, come il passero che canta senza saper di cantare e come il bimbo che gioca senza saper di giocare; in nessun paese verranno arrestati i ragazzi che rifiutano di compiere il servizio militare; gli economisti non paragoneranno il livello di vita a quello di consumo, ne’ paragoneranno la qualita’ della vita alla quantita’ delle cose; i cuochi non crederanno che alle aragoste piaccia essere cucinate vive; gli storici non crederanno che ai paesi piaccia essere invasi; i politici non crederanno che ai poveri piaccia mangiare promesse; la solennita’ non sara’ piu’ una virtu’, e nessuno prendera’ sul serio chiunque non sia capace di prendersi in giro; la morte e il denaro perderanno i loro magici poteri, e ne’ per fortuna ne’ per sfortuna, la canaglia si trasformera’ in virtuoso cavaliere; nessuno sara’ considerato eroe o tonto perche’ fa quel che crede giusto invece di fare cio’ che piu’ gli conviene; il mondo non sara’ piu’ in guerra contro i poveri, ma contro la poverta’, e l’industria militare sara’ costretta a dichiararsi in fallimento; il cibo non sara’ una mercanzia, ne’ sara’ la comunicazione un’affare, perche’ cibo e comunicazione sono diritti umani; nessuno morira’ di fame, perche’ nessuno morira’ d’indigestione; i bambini di strada non saranno trattati come spazzatura, perche’ non ci saranno bambini di strada; i bambini ricchi non saranno trattati come fossero denaro, perche’ non ci saranno bambini ricchi; l’educazione non sara’ il privilegio di chi puo’ pagarla; la polizia non sara’ la maledizione di chi non puo’ comprarla; la giustizia e la liberta’, gemelli siamesi condannati alla separazione, torneranno a congiungersi, ben aderenti, schiena contro schiena; una donna nera, sara’ presidente del Brasile e un’altra donna nera, sara’ presidente degli Stati Uniti d’America; una donna india governera’ il Guatemala e un’altra il Peru’; in Argentina, le pazze di Plaza de Mayo saranno un esempio di salute mentale, poiche’ rifiutarono di dimenticare nei tempi dell’amnesia obbligatoria; la Santa Chiesa correggera’ gli errori delle tavole di Mose’, e il sesto comandamento ordinera’ di festeggiare il corpo; la Chiesa stessa dettera’ un altro comandamento dimenticato da Dio: “Amerai la natura in ogni sua forma”; saranno riforestati i deserti del mondo e i deserti dell’anima; i disperati diverranno speranzosi e i perduti saranno incontrati, poiche’ costoro sono quelli che si disperarono per il tanto sperare e si persero per il tanto cercare; saremo compatrioti e contemporanei di tutti coloro che possiedono desiderio di giustizia e desiderio di bellezza, non importa dove siano nati o quando abbiano vissuto, giacche’ le frontiere del mondo e del tempo non conteranno piu’ nulla; la perfezione continuera’ ad essere il noioso privilegio degli dei; pero’, in questo mondo semplice e fottuto ogni notte sara’ vissuta come se fosse l’ultima e ogni giorno come se fosse il primo.


“Born in to This” di Charles Henry Bukowsky


“Nati così in mezzo a tutto questo tra facce di gesso che ghignano e la signora morte che se la ride mentre gli ascensori si rompono mentre gli orizzonti politici si dissolvono mentre il ragazzo della spesa del supermercato ha una laurea mentre i pesci sporchi di petrolio sputano la loro preda oleosa e il sole è mascherato siamo nati così in mezzo a tutto questo tra queste guerre attentamente matte tra la vista di finestre di fabbrica rotte di vuoto in mezzo a bar dove le persone non non si parlano più nelle risse che finiscono tra sparatorie e coltellate siamo nati così in mezzo a tutto questo tra ospedali così costosi che conviene lasciarsi morire tra avvocati talmente esosi che è meglio dichiararsi colpevoli in un Paese dove le galere sono piene e i manicomi chiusi in un posto dove le masse trasformano i cretini in eroi di successo nati in mezzo a tutto questo ci muoviamo e viviamo in tutto ciò a causa di tutto questo moriamo castrati corrotti diseredati per tutto questo ingannati da questo usati da questo pisciati addosso da questo resi pazzi e malati da questo resi violenti resi inumani da questo il cuore è annerito le dita cercano la gola la pistola il coltello la bomba le dita vanno in cerca di un dio insensibile le dita cercano la bottiglia le pillole qualcosa da sniffare

Siamo nati in questo essere letale triste siamo nati in un governo in debito di 60 anni che presto non potrà nemmeno pagare gli interessi su quel debito e le banche bruceranno il denaro sarà inutile ammazzarsi per strada in pieno giorno non sarà più un crimine resteranno solo pistole e folle di sbandati la terra sarà inutile il cibo diventerà un rendimento decrescente l’energia nucleare finirà in mano alle masse il pianeta sarà scosso da un’esplosione dopo l’altra uomini robot radioatitvi si inseguiranno l’un l’altro il ricco e lo scelto staranno a guardare da piattaforme spaziali l’inferno di Dante sarà fatto per somigliare a un parco giochi per bambini il sole sarà invisibile e sarà la notte eterna gli alberi moriranno e tutta la vegetazione morirà uomini radioattivi si nutriranno della carne di uomini radioattivi il mare sarà avvelenato laghi e fiumi spariranno la pioggia sarà il nuovo oro la puzza delle carcasse di uomini e animali si propagherà nel vento oscuro gli ultimi pochi superstiti saranno oppressi da malattie nuove ed orrende e le piattaforme spaziali saranno distrutte dalla collisione il progressivo esaurimento di provviste l’effetto naturale della decadenza generale e il più bel silenzio mai ascoltato nascerà da tutto questo il sole nascosto attenderà il capitolo successivo

Henry Charles Bukowski Jr

BUON NATALE UN CAZZO!


HELLO LONDON !


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GAS PEOPLE – Jaramillo-Anibaldi Collection


THE ETERNAL [VIDEO]


Gli istinti, le emozioni, i ricordi e le riflessioni muoiono insieme a noi. Sono le immagini che popolano la mente che determinano la direzione della vita di ciascuno. A tali immagini e’ annessa una enorme energia, la chiamiamo anima. Essa non ci appartiene, ci sopravvive nell’immaginario e ci da’ finalmente l’immortalita’. In questa frase c’è una sintesi estrema del concetto di Inconscio Collettivo che Jung affiancò all’inconscio personale di Fred. Le esperienze fondamentali dell’umanità che sono espresse nei miti, nelle leggende e nelle religioni e in tutta la simbologia connessa, non è roba inventata da qualcuno, ma substrato comune alla specie. Dunque nei sogni, spesso, e nelle esperienze di ‘picco’ come momenti meditativi, mistici e negli innamoramenti, viviamo un qualcosa che non è nostro personale ma comune alla specie…da sempre. Ci sono conferme scientifiche a questa cosa. Invece gli istinti e le emozioni ce li che hanno anche gli animali. La mente funziona per immagini, mentre i concetti e i pensieri vengo alla corteccia DOPO le immagini..che esse solo sono il nutrimento e la possibilità espressiva. Anche la mente degli animali funziona per immagini, mica pensano la pappa…piuttosto ‘vedono’ la pappa. Immortale perchè queste immagini sono le stesse per tutti da sempre. Ci attingiamo e le ‘restituiamo’….Pensiamo ai miti …Persefone….Elettra…Edipo….è il funzionamento della mente umana come specie che rappresentano. Nella Cina del mille avanti cristo si raccontavano le stesse leggende, ma con nomi diversi. Anche nella Lapponia e nella Foresta Nera…le leggende e i miti sono gli stessi, cambiano solo i nomi dei protagonisti. Dunque è la mente umana che “funziona” così. Questa la grande scoperta di Jung. E per di più s’è anche visto…nello studio dei sogni e dei comportamenti…che ciascuno ‘segue’ e persegue un mito e l’archetipo connesso affondato nell’inconscio, e allora ecco che vediamo intorno tante Grandi Madri, tanti Puer Aeterni, tanti Guerrieri. tanti Vecchi Saggi e tanti Narciso. Il lavoro di una vita dovrebbe essere quello di scoprire il nostro mito guida….e allora capiamo ‘tutto’. In definitiva noi siamo immortali attraverso loro…i miti…che sono immagini condivise, di cui non siamo “proprietari”, ma inconsci interpreti. Comprendere il nostro mito ci dirà la Via…senza perdere tempo ed energie dietro a falsi miti. Finchè non lo abbiamo ‘scoperto’ siamo condannati a correre dietro ai miti di altri, sprecando energie. Se comprendiamo ‘dove’ siamo dentro, ne possiamo uscire e al limite ‘cambiare’ mito, se il crescere della consapevolezza ce lo rende ‘stretto’. Non è questione di arti figurative…che invece accade che in altre espressioni dell’ingegno non siamo ‘immortali’. Tutto nasce da immagini nella mente…anche una cattedrale…nasce da una immagine forte… poi tradotta in mattoni. Un poema, un romanzo, una statua…tutto nasce da immagini più o meno oniriche e intuitive…e comunque che ci superano per grandezza poichè attingono ad un collettivo, inconscio, dove è depositata tutta l’esperienza dell’umanità. Vi sarà capitato mille volte di fare un sogno che vi sembrava non appartenervi e anzi ‘superarvi’ per grandezza ed esperienza…..e non solo nei sogni, via regia verso l’inconscio, ma in ogni stato ‘crepuscolare’, dunque gli stati di trance, gli allucinogeni, gli innamoramenti ‘forti’ e travolgenti. Ci sono giovanotti che non hanno fatto più ritorno da esperienze di cosiddetta ‘inflazione psichica’….e sono partiti per Paesi lontani…come se le immagini della mente, lo ‘stato’ stesso della mente e dunque la ‘felicità’ avesse un luogo piuttosto che un’altro nel mondo.  L’inconscio è talmente più grande di noi…come il mare nel bicchiere…e molti sono sbroccati senza ritorno per il non essere ancora e forse mai pronti a questo viaggio ai confini dell’Io.

Carlo Anibaldi – 2011

VEDI ARTICOLO CORRELATO AL VIDEO [http://wp.me/p1RsNe-49]

Lettera a Mr. Mortimer H. & Sons Ltd – Whitechapel, London E2 [di Carlo Anibaldi]


Nel ringraziarla per la sua lettera, mi urge chiarire quanto segue. Pur convinto che il suo mestiere sia un’arte, ho colto nelle sue parole di cordoglio per la perdita della madre mia, un eccesso colposo di ipocrisia che va al di là del suo ufficio o arte funeraria che dir si voglia della sua opera. Lei sa bene quanto me di quale donna stiamo parlando, che della Vittoria aveva solo il nome, ma insensibile, beffarda e spendacciona e di come la sua dipartita mi lasci oppresso più dalla di lei situazione debitoria che per altro insignificante sentimento luttuoso, che lei sa quanto sia lontano dal mio sentire di questi giorni. Dunque fra sepoltura e cremazione scelga senza esitare la via meno onerosa. Lo stesso valga per gli altri orpelli ed arredi funebri e dunque non mi importuni oltre con inesistenti opzioni in proposito.  Mi è giunta voce che ieri mia sorella Alice è stata da lei convocata nel suo ufficio di Withechapel, dunque sono costretto a parlarle in modo franco ed inequivocabile: si adoperi e faccia buon uso della sua arte allo scopo di far scomparire il cadavere con le sole 100 sterline che accludo a questa mia. Potrà tenere per se gli oggetti personali di cui non chiedo restituzione, salvo i gioielli, che avrà cura di mettere al più presto a mia disposizione.

Con la speranza di non dover tornare sull’argomento, distinti saluti, Prince Edward

Lettera a Mathilda [March, 22] di Carlo Anibaldi


Gentile Mathilda, ora finalmente, dopo due settimane che non viene al mio studio, ho certezza che si è offesa per l’accaduto. Purtroppo ho anche certezza di non essere creduto se le dico in tutta sincerità che non mi sono preso licenze di sorta, ma che quando le ho gridato “Avanti” ero talmente assorto nei miei pensieri da non rendermi conto che ero completamente nudo sul divanetto dello studio, come mio costume nelle giornate calde. Mi rendo conto che il suo mondo non concepisce un bottone slacciato nemmeno sul lungolago qui di fronte, ma la prego di considerare gli infiniti mondi, fra cui il mio, che non sopporta stoffe impregnate di sudore, considerandole, queste sì, al di là della decenza. Comunque sia ero sovrappensiero e mi dolgo infinitamente dell’accaduto. Spero decida di tornare presto al mio studio e ai nostri appuntamenti…che il lavoro intrapreso sulle rimozioni infantili era davvero a buon punto e non sia mai dovessimo interromperlo per questo insignificante incidente.

Suo devotissimo Sigmund

THE ETERNAL di Carlo Anibaldi


Thaj Mahal – Il Tempio dell’Amore Eterno

Ne abbiamo fatto un filmato sul fluire senza tempo dei contenuti dell’Anima. Le immagini infatti, meglio di queste poche parole di introduzione al filmato, richiamano altre immagini, che a torto pensavamo originali o addirittura personali. L’Anima entra in scena ogni volta che siamo sospinti da un sentimento e a malapena vediamo il percorso e mai la meta. Il contrario esatto del pensiero volitivo, dove è sempre chiara la meta e poco ci importa del percorso. I moti dell’anima, le cosiddette ‘animosità’, hanno diversi volti e qualità spesso opposte; determinano scelte a nostra insaputa e quasi mai in linea con la logica della mente, prendono la mano e determinano la scena. Tutti abbiamo sentito storie di vecchi professori che abbandonano tutto e tutti per ‘scappare’ con la ballerina dai capelli rossi, o storie di gelosie che definiamo ‘paranoiche’ pur sapendo che la gelosia patologica colpisce una vita intera e non pochi giorni o mesi ed esclusivamente legate ad una fase del rapporto amoroso. E poi gli innamoramenti, cui sono annesse quantità di energia enormi e comportamenti e perfino metabolismo, inusuali. Quante volte abbiamo visto uomini adulti trasfigurati in donnette dalla voce stridula quando sono in preda ad un’ira incontrollata e donne che, in situazioni di insopportabile frustrazione, divengono, anche fisicamente talvolta, le megere dei libri di fiabe. E che dire di quel sentirsi ‘divini’, ad un passo dal cielo, anzi nel cielo, nelle trasfigurazioni mistiche e in quelle amorose, che ci fanno sentire in comunione assoluta con gli altri o con un’altro in particolare? E di quei momenti di intimità assoluta con l’altro da sè… che il fare l’amore diviene una cosa più del cielo che della terra? Tutte queste situazioni e molte altre, sono il territorio dell’Anima. Queste esperienze ci trascendono, non ne abbiamo la completa disponibilità poiché non sono ‘nostre’, ma appartengono al collettivo condiviso e dunque quando abbiamo detto ad una persona ‘ti amerò per sempre’, non abbiamo detto una scemenza da innamorati, ma una bella verità, poichè l’amore ha un contenuto energetico connesso alle espressioni dell’Anima che travalica i destini delle storie personali.e vanno a costituire le esperienze fondamentali dell’Umanità…che conosciamo anche senza averle ancora mai vissute….come gli uccelli sanno come volare senza  averlo imparato. Siamo nella condizione di soggiacere alla potenza dell’Anima in toto, in parte o per nulla nella misura che ne abbiamo coscienza. L’incoscienza può essere distruttiva…pensiamo a quel vecchio professore fuggito con la ballerina…. e dunque avere coscienza dei moti dell’Anima può essere allora il percorso e il senso di una vita intera. Per molti è così, in verità più nella cultura orientale che in quella occidentale, meno avvezza ad ascoltare le voci di ‘dentro’ e più incline a farci film, canzoni e letteratura, che suscitino emozioni forti per via ‘indiretta’, lasciando l’Anima a far da padrona incontrastata in momenti particolari e spesso cruciali della vita, con conseguenze distruttive e scarse possibilità di appello. La conoscenza dell’Anima passa per i rapporti in cui essa è coinvolta ed è questa la ragione per cui i secondi matrimoni ‘funzionano’ generalmente meglio dei primi, più che per le supposte ‘incompatibilità’ lamentate. Più in generale e quindi in ogni tipo di rapporto, vale dunque la regola ‘più conosco gli altri e più conosco me stesso’…generalmente usata invertita, ma è letteratura, poichè è in verità assai più facile arrivare a se stessi attraverso gli altri….ma è lavoro da Maestri, poichè generalmente siamo confusi dagli altri.

[Carlo Anibaldi]

Survival Manual at the Pigs Time on Power – Jaramillo-Anibaldi Collection


IMPIETRIMENTO


“Che cos’è che ha trasformato i proletari e i sottoproletari italiani, sostanzialmente, in piccolo borghesi, divorati, per di più, dall’ansia economica di esserlo? Che cos’è che ha trasformato le masse dei giovani in masse di criminaloidi? L’ho detto e ripetuto ormai decine di volte: una seconda rivoluzione industriale che in realtà in Italia è la prima; il consumismo che ha distrutto cinicamente un mondo reale, trasformandolo in una totale irrealtà, dove non c’è più scelta possibile tra male e bene. Donde l’ambiguità che caratterizza i criminali e la loro ferocia, prodotta dall’assoluta mancanza di ogni tradizionale conflitto interiore. Non c’è stata in loro scelta tra male e bene, ma una scelta tuttavia c’è stata; la scelta dell’impietrimento, della mancanza di ogni pietà”.

BOBBY SANDS TRIBUTE


BOBBY SANDS TRIBUTE.

Questo è il potere – Paolo Barnard (Gruppo Bilderberg,Commissione Trilaterale, Lobby) – YouTube


1/5 Questo è il potere – Paolo Barnard (Gruppo Bilderberg,Commissione Trilaterale, Lobby) – YouTube.

ENTUSIASTI DI CHE?


  Premesso che i significati annessi alle parole ‘governo’ ‘stato’ ‘nazione’ ‘patria’ ‘chiesa’ ‘politica’ ‘crescita’’democrazia’ fanno a pugni con altri significati, annessi alle parole ‘solidarismo’ ‘giustizia sociale’ ‘libertà’ ‘laicità’ ‘organizzazione’ ‘decrescita’, sfido a dimostrare che le prime abbiano portato più felicità delle seconde. Premessa questo, dicevo, tocca considerare cosa è un ‘governo tecnico’, che in queste ore entusiasma moltitudini che hanno una mente aderente a quella di Casini pur senza averne le opportunità e mai le avranno nel corso della loro vita, per lo più. Quello che entusiasma è la piazza pulita che s’è fatta di una classe dirigente cialtrona, e poi c’è l’idea di ‘efficentismo’ che inebria menti forse poco abituate a riflettere. Due cose dovrebbero venire spontanee, per cominciare. La classe dirigente cialtrona era la fotografia ed espressione della maggioranza del Paese che va a votare e, dunque, non s’è fatta piazza pulita di nulla, solo una pausa per consentire ad altri di tirar fuori le castagne dal fuoco. Inoltre, l’idea di ‘efficentismo’ è tanto cara agli italiani per il semplice motivo che è cosa lontana dai sommi poeti, fantastici inventori ed intrepidi navigatori quali siamo e dunque sempreverde come aspirazione, una specie di ‘psicoesterofilia’, un ‘fuori di sè’ innato. Ho sentito con le mie orecchie persone neanche idiote tout court che si ponevano la questione di dare a Monti poteri sovrani, oltre il Parlamento, in modo che potesse lavorare con maggior ‘efficienza’. I governi tecnici sono a mio avviso la peggiore espressione del già incredibile concetto di ‘governo’. Confondiamo infatti i cattivi ‘governanti’, quelli cui siamo avvezzi, con mire personali e narcisistiche, con coloro che, pur all’interno di un millenario e dunque obsoleto concetto di Istituzione e Stato, interpretano la politica come servizio, magari con idee contrapposte alle nostre, ma onesti intellettualmente; per quanto cosa rara, è possibile. Accade invece che il tecnico di settore che sia ministro di quel settore ritenga il suo settore più importante degli altri, coerentemente con le scelte di vita, oltre al fatto che il tecnico, che persegue per definizione l’efficienza, prescinde dall’interesse dei singoli, che sono letteralmente nulla in paragone al progetto. Questi sono i tecnici, primi della classe costi quel che costi. Ed è questa la ragione per la quale nessun ordinamento mondiale prevede che siano le competenze tecniche quelle che diano esclusivo diritto a candidarsi a queste cariche pubbliche. Un militare in carriera come ministro della difesa, un medico come ministro della sanità, un banchiere all’economia, un avvocato alla giustizia e così via…e la gente? Io, voi e quei poveracci la fuori? Siamo certi che l’efficienza sia il solo criterio che possa farci ‘felici’? Molto spesso la libertà è, ad esempio, un concetto che fa a pugni con l’efficienza, la solidarietà pure, la pace pure, l’uguaglianza pure. Se lo sono domandato questo i milioni di entusiasti dei tecnici finalmente al potere? Certo che ci tireranno fuori dalla crisi…lo faranno a modo loro e non ci piacerà, non fosse altro che per il fatto che la crisi è di sistema e il sistema non cambia, si assesta su posizioni più ‘sicure’. Con la minaccia del default del ‘loro’ sistema taglieranno cento auto blu contro 1000 operai, vale a dire, taglieranno qualche privilegio odioso per poterci sfilare anche gli spiccioli dai pantaloni. Siamo funzionali al sistema quanto le scimmie al circo. Lo sappiano gli entusiasti bipartisan dell’ultim’ora.

[Carlo Anibaldi – Novembre 2011]

ANARCHISMO OGGI – Jaramillo – Anibaldi Collection – YouTube


Anarchismo non è sinonimo di ‘famo come ce pare’, questo è lo stravolgimento di un’idea, oltre che di un termine. Il pensiero anarchico è sintetizzabile nella bella idea che vuole che ognuno sia così partecipe del bene comune da potersi governare da solo senza pregiudicare l’altro. Nulla a che vedere con il comunismo o la democrazia rappresentativa, cui è sottesa l’idea che le masse siano incapaci di evolvere e dunque bisognose di essere ‘governate’, per lo più da persone bramose di potere e ricchezza personale.Il terzo millennio è iniziato con una crisi profonda dei modelli e quasi sempre ciò è avvenuto perchè le idee, alla fine, camminano sulle gambe dei peggiori. Lo diceva già Lenin un secolo fà. Dunque non le idee mancano, ma uomini giusti che vogliano occuparsi di politica, intesa come cura della cosa pubblica. E’ un ossimoro, mi rendo conto, del genere ‘mi sento vivo da morire’. Infatti gli uomini ‘giusti’ generalmente stanno alla larga dalla politica, che è l’arte del compromesso e talvolta della sopraffazione. Gli ideali anarchici sono utopici, ne convengo, ma non più di quelli della democrazia e del comunismo o del capitalismo. Alla base di tutto questo discorso c’è l’uomo e le sue possibilità evolutive. Dunque dobbiamo dare per scontato che le possibilità ci sono, perchè ci sono sempre state e ci hanno condotto fuori dalla barbarie e dalla legge della jungla. Sappiamo anche che la barbarie arde sotto la cenere ed è pronta a riprendere vigore ogni volta che gli uomini ‘giusti’ mollano.Dunque non si tratta di ripulire il mondo dai furbi, dagli ignoranti, dagli egoisti e dai sopraffattori (questa è davvero utopia, poichè i percorsi di crescita sono individuali, c’è chi evolve in un anno e chi non gli basta una vita intera), ma di far sentire queste persone come si sente un fumatore in un parco di Santa Monica: un didadattato, una persona fuori dal tempo, antica. In questa società occidentale i ‘disadattati’ sono invece al potere e radicano nelle menti deboli questi ideali da par loro e gli uomini ‘giusti’ si nascondono nel privato, poichè le minoranze sono perseguitate fino a che il mondo sta in mano ai cosiddetti ‘governanti’. Ecco, spostare questi equilibri, capovolgere il sentire comune è il mestiere dell’Utopia.Dal mio punto di vista è sbagliato perfino il concetto di ‘maggioranza’, alla base della democrazia. Un esempio paradossale per spiegarmi meglio. Secondo il principio di maggioranza gli handicappati dovrebbero strisciare su e giù per le scale e invece ha vinto il principio di minoranza, non puoi più costruire case e uffici con barriere architettoniche perchè non è vero che la maggioranza rappresenta sempre il meglio per tutti.I movimenti anarchici hanno frange che usano violenza, ritenuta commisurata alla violenza subita, perlopiù diretta alle cose e non alle persone, allo scopo di richiamare l’attenzione dei media. Su questo punto si può discutere all’infinito, ma alla fine non ne risulta sminuito il principio base: chi intende ‘governarci’, inevitabilmente ci pensa e ci tratta come bestiame, altrimenti non avrebbe scelto di guadagnarsi da vivere ‘governando’ i propri simili. Questo è uno dei principi da abbattere, filosoficamente parlando, come fu abbattuto quello della schiavitù, della segregazione razziale e del lavoro minorile per dar posto al diritto all’istruzione, al lavoro e al suffragio universale. Tutto ciò è costato lacrime e sangue lungo centinaia di anni, in quanto non accade mai che si salga da qualche parte prendendo strade in discesa. Ditelo forte ai milioni di cattocomunisti che asfissiano e incatenano, da destra e da sinistra, se così si può dire, questo Paese. La ‘globalizzazione’ non è, come i media tentano di farci credere, un fenomeno ineluttabile, ma il tentativo di riunire il potere in pochissime mani. Questa oligarchia, economica, finanziaria e politica, si propone di governare il mondo più di quanto stia già facendo. Tutti i movimenti e i partiti, ad esclusione di quello anarchico, portano acqua a quel mulino. Il futuro penso che sia nel pensiero anarchico, poichè sempre più persone non intendono vivere la propria vita all’interno di un gioco di ruolo, dove tutto è previsto, indirizzato, manipolato, finto. Cito il pensiero anarchico poiché è una delle poche forme mentis che ci slegano dal forte bisogno di essere servi o padroni o entrambi e dunque non liberi di considerare la nostra unicità e, alla fine, solitudine nell’universo.

Anarchia è sinonimo di Utopia esattamente come lo era la Democrazia al tempo di Cesare. Dunque nessuna utopia, ma un’alternativa, una possibilità. Il fatto che tale alternativa necessiti di una rivoluzione sociale è vero, ma non più di quanto furono necessari altri stravolgimenti sociali per l’affermarsi del capitalismo, del fascismo e del nazionalsocialismo. L’idea che gli anarchici siano dei comunisti rivoluzionari non è esatta, ma si è radicata per via del fatto che ovunque ci sia stato da menar le mani per abbattere il potere costituito, gli anarchici c’erano e sempre in prima fila. A cominciare dalla Rivoluzione russa, ma anche prima. In verità, gli anarchici semplicemente sanno che senza rivoluzione sociale qualunque cosa si faccia è un piacere allo statu quo, e allora si sono trovati spesso al fianco di movimenti rivoluzionari comunisti. Gli anarchici non fanno una questione di potere buono e potere cattivo, dunque non possono essere comunisti e statalisti. L’anarchia è anche altro… un modo di essere, una mentalità, un modo di vivere, un concetto e una visione differente della vita. E’ autonomia, rispetto, solidarietà, universalità, tolleranza, insomma… se la conosci t’innammori e dopo non potrai essere altro.

In vista e nella speranza di un sovvertimento sociale, gli anarchici sanno che opposte fazioni si contenderanno il potere. Per questa ragione la loro azione ‘prerivoluzionaria’ è rivolta a promuovere il rifiuto di ogni forma di potere dell’uomo sull’uomo, a convincere insomma le masse che non esiste la necessità di essere servi o padroni, poichè questo assunto è solo un’invenzione di menti astute e antiche come il mondo, non una legge di natura.

[Carlo Anibaldi alias Carlos – Maggio 2011]

Bologna – Unicredit murata, #rimontiamo con le lotte! | Italy IMC – Independent media center


Bologna – Unicredit murata, #rimontiamo con le lotte! | Italy IMC – Independent media center.

LA MEDICINA DEL “NO”


Dedico questo articolo alle migliaia di medici e chirurghi che in Italia si occupano quotidianamente della Medicina del NO. Si tratta di Medici del NO* che, nel Servizio Sanitario trattano i Pazienti del NO. Lo scrivente è un medico del NO, nemmeno fra i più meritevoli di attenzione, ma certamente osservatore attento della realtà.
Come è noto, l’intero impianto della sanità pubblica fonda sulla antica suddivisione in branche di diretta derivazione dai trattati dei padri della medicina. Da un po’ di anni, con percentuali variabili di insuccessi e libere interpretazioni, s’è introdotto il concetto di Dipartimento, con l’intento di ridurre la parcellizzazione, virtuale ma di fatto sostanziale, dei portatori di patologie che afferiscono ai servizi di diagnosi e cura e dei finanziamenti ad essi affluenti. Intento lodevole che si è scontrato, e per lo più infranto, con una cultura di settore particolarmente radicata in Italia.  Infatti, la politica dichiarata del paziente/utente al centro del Servizio Sanitario è sostanzialmente tradita dal fatto che al centro si trova semmai la sua patologia, poiché è intorno a quella e non intorno all’utente, che è stato creato un centro di potere. In sanità pubblica centro di potere significa luogo ben definito dove afferiscono finanziamenti e tutto quanto consegue in termini di efficienza, eccellenza, carriere.

A farla breve, di fatto abbiamo divisioni ermetiche di urologia dove medici urologi gestiscono i pazienti urologici; divisioni di ematologia dove medici ematologi gestiscono pazienti ematologici; divisioni di nefrologia dove medici nefrologi gestiscono pazienti nefrologici e così continuando per tutto il trattato di Patologia Speciale Medica e Chirurgica. Tutti perseguono l’eccellenza nella loro branca di attività perché è giusto così, perché questo chiedono le istituzioni preposte all’accreditamento, perché solo gli accreditati otterranno i soldi per crescere, per pubblicare, per, in una parola, avere credito. Il credito ottenuto nel servizio pubblico con danaro pubblico, consente a molti professionisti di pretendere e ottenere parcelle californiane nell’attività rivolta al numeroso pubblico che può permettersi di pagarle. Fin qui tutto bene, non ho pregiudiziali verso l’economia di mercato. Il problema si va però a costituire indipendentemente dall’orientamento socio-politico dell’osservatore, semplicemente per il fatto che per tenere con pervicacia in piedi questi centri di potere, vanno puntualmente alle ortiche tutti i progetti per rimettere al centro del SSN il paziente piuttosto che il suo medico, il suo Ospedale, il politico di riferimento. Perché, si sa, il paziente è indisciplinato, non ci sta a farsi etichettare come un capitolo di trattazione trascritto sull’arco di una porta. Come al solito in Italia abbiamo importato buone scatole (i dipartimenti, nel nostro caso, ma gli esempi calzanti sono una moltitudine) da sistemi anglosassoni avanzati, ma le abbiamo riempite dei soliti contenuti clientelari, sudditali, autoreferenziali, come solo noi sappiamo fare, con l’aria cioè di far ben bene, con tanto di taglio del nastro e le TV, cose altrove impresentabili. Siamo riusciti a stravolgere la lettera e lo spirito di tutte le buone leggi che pur sono state talvolta fatte. Salvo lodevoli eccezioni, anche in Sanità, come in altri ambiti, ogni nuovo amministratore che arriva alla sua nuova scrivania finisce per favorire gli amici e gli amici degli amici che lo hanno aiutato nella sua piccola impresa di scalatore e allora ecco che una struttura sanitaria può diventare un’offesa all’intelligenza, una specie di mostro con le gambe corte e le braccia lunghe, ma in definitiva non serve che corra…….

Dopo questa premessa che traccia le linee attraverso cui si è andata nel tempo a creare la Medicina del NO, i Medici del NO e, cosa più penosa, i Pazienti del NO, andiamo ora a guardare da vicino questa madre snaturata, la politica del NO.

Il processo aziendale di produzione di salute, come viene illustrato dagli algoritmi di importazione anglosassone, appare efficiente, economico ed efficace. L’ outcome dell’azienda vede il paziente/utente risanato esprimere alti livelli di soddisfazione e la spesa diminuire grazie al taglio delle inefficienze e la correzione virtuosa degli errori che emergono dalle analisi del processo.

Ho cercato di approfondire la questione poiché non mi tornano i conti, né in termini di soddisfazione percepita, né in termini di razionalizzazione della spesa. Presto mi sono reso conto che nello sviluppo di questi processi di ammodernamento e nell’operatività degli stessi, quasi non si faceva cenno, in letteratura e nella prassi, a quella che è la parte insopprimibile di ogni processo: la produzione di scorie.

Permettetemi a questo punto una divagazione un po’ forte. Mi serve per argomentare in maniera chiara il concetto di scorie del processo allorché questo abbia un outcome non propriamente materiale come una lavatrice o tubi di ghisa. Come spesso accade, la chiarezza è maggiore se nella dialettica si fa uso dei contrari. Il contrario esatto di produzione di salute è la produzione di morte. Disgraziatamente la Storia ci mette a disposizione una formidabile azienda di produzione della morte: l’Olocausto perpetrato nei campi di sterminio nazisti. Il disegno politico venne messo a punto nella Conferenza di Wannsee, l’operatività affidata ai campi della morte, Auschwitz il più efficiente ed efficace tra questi. In questa sede non consideriamo gli aspetti orribili e disumani di questo progetto, ma freddamente, se possibile, l’ outcome del processo. Ancora due anni di guerra e l’obbiettivo criminale di far sparire dall’Europa gli ebrei, gli zingari, ecc… sarebbe stato centrato, dunque un processo efficace in termini di pulizia etnica, dove l’ outcome sarebbe stato un’Europa ariana. Ma i nazisti si trovarono di fronte il problema dell’enorme produzione di cadaveri e dello smaltimento di queste scorie del processo produttivo di pulizia etnica . Allo scopo di non infiacchire psicologicamente il soldato tedesco, che anzi doveva ritenersi impegnato in un “alto” compito di preservazione della razza, questo sporco lavoro di smaltimento (spoliazione dei cadaveri, trasporto nei forni e dispersione delle ceneri) venne affidato ad un corpo creato ad hoc: il Sonderkommand, costituito da internati.

Nel progetto efficientistico di produzione di salute, concepito in maniera di fatto settoriale per le ragioni che abbiamo visto, non si è tenuto in sufficiente conto, in termini anche solo numerici, dei pazienti polipatologia, quelli la cui diagnosi la scrivi in non meno di tre righe dattiloscritte, di quelli ultraottantenni che non guariscono e non muoiono, anch’essi in crescita e di quelli che, pur avendo avuto accesso a moderne terapie, hanno sì conservato la vita ma non riacquisito la salute. Nel processo di produzione della salute, che vede al centro le eccellenze parrocchiali invece dei pazienti, tutti questi soggetti vanno a costituire le ingombranti scorie del processo stesso. La gestione delle “scorie” non è affidata agli Eccellenti, che così perderebbero la qualifica, ma ai soggetti della Medicina del NO: no rispetto, no soldi, no speranza, no salute, no carriera.

Conosco personalmente parecchi Medici con la M maiuscola cui la politica e, a scendere, l’azienda che ne è emanazione, non ha affidato altro incarico che quello di spalare la cenere in silenzio, fino alla pensione. Professionisti esperti e menti brillanti che abili mani rubate alla terra hanno avuto il potere di relegare a Sonderkommando di questa patacca che sono la maggioranza delle nostre attuali Aziende sanitarie.

E che dire dei Pazienti del NO, cui spettano finanziamenti minimi, medici profondamente offesi, infermieri in cronico burn-out e locali fatiscenti? Ho visto con i miei occhi Reparti di Medicina per acuti senza ossimetro e senza defibrillatore, senza condizionamento nelle estati torride e senza pannoloni, senza infermieri sufficienti e senza medici sufficienti, senza vera informatizzazione, senza vere motivazioni a migliorare una qualità percepita di napoleonica memoria.

Dopo questa diagnosi impietosa viene da sé che la soluzione passa per una visione olistica del paziente e dunque la creazione di veri Dipartimenti, dove la gestione non viene fatta per patologia prevalente, ma relativamente al paziente nella sua globalità. Questo fortunato paziente sarebbe ricoverato nel Dipartimento e seguito nel suo iter diagnostico-terapeutico da un pool interdisciplinare di medici che, in virtù delle loro peculiari specificità, possono affrontare ogni tipo di situazione. Questa soluzione, ampiamente praticata in Europa, qui da noi somiglia ad una bestemmia in chiesa e come tale osteggiata. La ragione è semplice quanto misera: il vero Dipartimento cui mi riferisco non avrebbe 13 primari, ma uno, il capo-dipartimento. I finanziamenti andrebbero al Dipartimento e non ai 13 caporali in cerca di visibilità.

Queste semplici osservazioni sono ovviamente da anni sulle scrivanie dei caposezione di vari ministeri, perché sono le scatole importate da Paesi avanzati e non è stato possibile ignorarle. Ma i soliti furbi sono al lavoro e stanno trovando la via di fuga dal progresso delle idee. Progetti che non trovano dunque vera attuazione per ragioni “politiche”. Al contrario, vengono tutt’oggi spesi milioni di euro per costruire parrocchiette all’ombra di S. Pietro. Dato però che i milioni di euro vanno razionalizzati perché non ce n’è un’infinità, vengono lentamente chiusi i rubinetti su alcune realtà ospedaliere, che pur avrebbero avuto un futuro, per farle morire, ma lentamente, altrimenti il cittadino-utente-votante se ne accorge che gli hanno scippato l’ospedale, invece di renderlo efficiente.

Talvolta sono ottimista e penso che questa situazione di ritardo culturale somiglia un po’ a quella che doveva apparire ai tempi della cosiddetta Belle Epoque: intanto che alcuni continuavano ad aggiungere cavalli al tiro della carrozza, altri avevano compreso che il progresso vero era stato l’invenzione della macchina a vapore. Un momento di transizione dunque. Più spesso sono pessimista e vedo che nelle altre democrazie avanzate il futuro è oggi, ma non bisogna smettere di sperare, perché la Storia insegna che in ogni processo evolutivo non c’è modo di stare fermi, o si va avanti o si rimane travolti. Che fine hanno fatto quelli che ancora agli inizi del ‘900 sostenevano che il lavoro minorile nelle miniere era un caposaldo insostituibile dell’economia? E quelli che sostenevano che dare uno stipendio ai neri avrebbe provocato il caos? O, più semplicemente, quelli che “il bucato a mano è meglio, la lavatrice è un bluff” ?

Carlo Anibaldi (Medico Internista Ospedaliero)

*Nota a margine. I medici del Sì sono invece i reumatologi, dentisti, ginecologi, dietologi, croceristi e compagnia bella, vale a dire tutti coloro che ‘curano’ persone che fondamentalmente stanno bene o migliorano con 4 farmaci ben collaudati. Questi fortunati o furbi professionisti hanno abbracciato la Medicina del SI’, sì ai soldi, sì al successo, sì alla carriera, sì alla gratitudine dei pazienti, che quasi mai muoiono e quasi sempre migliorano, generalmente con 4 chiacchiere, un po’ di cortisone o un anti nausea e quasi sempre un ansiolitico che lo leghi per sempre al suo dottore. Se rinasco farò il medico in forza alla Costa Crociere, ovvio.

Pubblicazione web Visite: 16629  al 16 novembre 2011 : http://www.bispensiero.it/index.php?option=com_content&task=view&id=653&Itemid=579

La Lezione di Marat


(Questo è un discorso fatto da Marat nel 1793 innanzi ai giudici del tribunale rivoluzionario in difesa di un uomo che aveva rubato per fame. I giudici assolsero l’accusato)

«Cittadini – Se la società reclama il diritto di condannare in uomo, essa è allora tenuta ad offrirgli, a garantirgli, un’esistenza da uomo. Se …essa non fa che opporgli degli ostacoli e l’obbliga a soffrire una miseria crudele, fino a che egli strappa violentemente il vincolo sociale, allora quell’uomo non fa che riprendere i diritti che la società ingiustamente gli toglie». «Cittadino Marat» interruppe il presidente severamente «voi state tentando di giustificare il furto e i crimini!». «Io non giustifico nulla. Ma affermo che nella vostra società ingiusta voi mancate di ogni ragione che possa autorizzarvi a condannare il crimine. Poiché la società, nell’interesse stesso della sua esistenza, per poter pretendere il rispetto dell’ordine pubblico da ogni suo singolo membro dovrebbe innanzitutto soddisfare ai bisogni di tutti. Ma qual è stata finora la sorte dei poveri? Essi veggono nello Stato una classe di gente, che menan vita comoda e gaia, mentre essi stentano e soffrono. Gli uni gavazzano nell’abbondanza, gli altri mancano del necessario. Fatica, pericoli, fame, disprezzo ed insulti – questa è la condizione dei poveri. Sì: io lo grido in faccia a voi. È stata sempre la classe dominante che ha spinto il popolo alla disperazione sottraendogli i mezzi di vita. Il lavoratore non è nemmeno sicuro di trovare qualcosa da fare. Se non può pagare i balzelli, gli tolgono perfino la paglia su cui giace. Egli è ridotto all’elemosina. Irritato dalla durezza di cuore dei ricchi, non trovando aiuto in nessuna parte, egli farebbe qualunque cosa quando ode i suoi bambini piangere per fame. Permettetemi di mettermi al posto del mio cliente e parlarvi come se io fossi lui: Sono io colpevole? Non lo so. Ma io so che feci quello che dovevo fare. L’istinto di conservazione è il primo sentimento dell’uomo. Voi stessi non conoscete un dovere maggiore. Chiunque ruba per vivere, quando non ha altro mezzo di vita, non fa che esercitare i suoi diritti naturali. Voi mi accusate di aver violato l’ordine e le leggi. Che importano a me quest’ordine e queste leggi? A me, a cui esse non hanno fatto che del male? Voi che per mezzo delle leggi condannate sempre tanti sventurati, voi potete ben predicare la sottomissione alle leggi. Voi rispettate le leggi perché esse vi assicurano una comoda esistenza. Ma posso riconoscere le vostre leggi io, che sono stato da esse schiacciato? Non mi dite che tutti i membri della società ricevono beneficio dalle leggi, quando è evidente il contrario. Paragonate la sorte vostra alla mia. Mentre voi vivete in pace, in mezzo al lusso ed all’abbondanza, noi siamo esposti alle intemperie, alla schiavitù, alla fame. Per soddisfare la vostra sete di godimenti non basta che noi lavoriamo il suolo col sudore delle nostre fronti; noi dobbiamo innaffiarlo anche con le nostre lacrime. Che cosa avete voi fatto per vivere nel lusso a spalle nostre? Ma vi fosse almeno un termine alle nostre sofferenze. Non ve n’è alcuno. Il fato del povero è irrevocabile. La miseria è il destino eterno della nostra classe. Chi ignora i vantaggi che la ricchezza dà a chi possiede? Non occorrono talenti, meriti, virtù: basta il capriccio. Ai ricchi appartengono tutti i privilegi. In loro difesa, sono costrutte le flotte. Il comando dell’esercito, l’amministrazione del pubblico denaro, il diritto di saccheggiare lo Stato: – essi hanno tutti i privilegi. Bisogna aver denaro per accumular denaro. Altrimenti non vi è possibilità di uscire dalla miseria. E il genere di impiego mostra la differenza delle classi. Le occupazioni migliori, come le belle arti, ecc., sono riservate ai ricchi. Per noi, sono lasciati i lavori pericolosi ed insalubri. Dappertutto noi siamo negletti e respinti, mentre sono aiutati quelli che non ne hanno bisogno. Voi mi direte: lavorate. È facile il dirlo. Ebbi io la possibilità di trovar lavoro? Caduto in povertà per la concorrenza di un ricco rivale, ho lottato invano per conservare un tetto sotto cui ricoverarmi. Disfatto dalla malattia, non mi restava altro per vivere che andar mendicando un pane. Ed anche questo mi era a volte negato. Dormii ogni notte sulla paglia, avvolto tra gli stracci, ed esibii il triste spettacolo della mia miseria. Non un’anima ebbe pietà di me. Spinto alla disperazione dall’abbandono, privo di tutto, tormentato dalla fame, profittai della notte per levare, per forza, ad un passante una piccolezza ch’egli mi avrebbe altrimenti negata. Perché io feci uso del mio diritto naturale, voi mi mandereste in prigione. Condannatemi, se lo credete necessario alla sicurezza dei vostri privilegi. In mezzo agl’inenarrabili patimenti a cui sono stato soggetto, la mia sola consolazione fu di maledire il cielo per avermi fatto nascere in mezzo a voi».

Scarpette rosse e riccioli biondi


C’è un paio di
scarpette rosse

numero
ventiquattro

quasi nuove:

sulla suola interna

 si vede ancora la marca di fabbrica

“Schulze Monaco”;

c’è un paio di
scarpette rosse

in cima a un
mucchio di scarpette infantili

a Buchenwald;

più in là c’è un
mucchio di riccioli biondi

di ciocche nere
e castane

a Buchewald;

servivano a far
coperte per i soldati;

non si sprecava nulla,

e i bimbi li spogliavano e li radevano

prima di spingerli nella camere a gas;

c’è un paio di
scarpette rosse

di scarpette
rosse per la domenica

a Buchenwald;

erano di un bambino di tre anni

forse di tre anni e mezzo;

chi sa di che
colore erano gli occhi

bruciati nei forni,

ma il suo pianto
lo possiamo immaginare:

si sa come piangono i bambini;

anche i suoi piedini
li possiamo immaginare:

scarpa numero ventiquattro

per l’eternità,

perché i piedini
dei bambini morti non crescono;

c’è un paio di
scarpette rosse

a Buchenwald

quasi nuove,

perché i piedini
dei bambini morti

non consumano le suole.

Jojce Lussu

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IL PENSIERO ANARCHICO IN VENTI RIGHE


Il pensiero anarchico è sintetizzabile nella bella idea che vuole che ognuno sia così partecipe del bene comune da potersi governare da solo senza pregiudicare l’altro. Nulla a che vedere con il comunismo o la democrazia rappresentativa, cui è sottesa l’idea che le masse siano incapaci di evolvere e dunque bisognose di essere ‘governate’, per lo più da persone bramose di potere e ricchezza personale. L’anarchismo è una filosofia politica e sociale che chiede l’abolizione dello Stato e pratica un’opposizione al governo, e per estensione, a tutte le autorità di controllo, gerarchiche e sociali imposte al singolo. Da destra e da sinistra siamo considerati come indesiderati, inutili e dannosi, perseguitati e fucilati da fascisti e comunisti, tutti coloro cioè che hanno lo Stato e la sua autorità come motore di ogni cosa. Sébastien Faure, filosofo anarchico francese, ha dichiarato: “Chiunque neghi l’autorità e lotta contro di essa è un anarchico.” In una formulazione semplice, poche dottrine o movimenti hanno manifestato, come quello anarchico, una grande varietà di approcci e azioni che non erano sempre ben compresa dal pubblico.

Storicamente parlando, l’anarchismo si concentra generalmente sull’individuo e la critica del suo rapporto con la società; l’ obiettivo è il cambiamento sociale verso una società futura, senza servi nè padroni…una società avanzata dunque, basata sulla buona organizzazione senza attaccamenti, che molti chiamano Utopia per il non considerare che il mondo si è evoluto dalla preistoria ad oggi grazie solo all’Utopia…che sennò stavamo ancora ad accendere il fuoco sfregando le pietre.

A seconda del temperamento e molto altro, le adesioni sono verso filosofie individualiste, insurrezionaliste, anarco-comuniste e altro ancora, ma addio ‘venti righe’ se ci addentriamo in questo.

[Carlo Anibaldi – gennaio 2012]

L’OTTICA JUNGHIANA SUL DISAGIO GIOVANILE


di Carlo Anibaldi

testo dell’intervento all’Università Valdese di Roma

INCONTRO SU “DISAGIO E RESPONSABILITA’

Alcuni attribuiscono le problematiche profonde della gioventù  di questi anni ad una sorta di Pensiero Debole, privo cioè di forti richiami  ideali ed etici, che si è sviluppato in epoca postmoderna, nella seconda metà  del secolo appena finito. Con questa breve relazione cercherò di dimostrare che  i nostri ragazzi sono tutt’altro che figli di un Dio minore, ma autentica aria  del Terzo Millennio.

Ho scelto un titolo che contiene un’apparente  contraddizione: l’ottica junghiana sul disagio giovanile. Molti infatti  affermano che l’Opera di Jung è principalmente rivolta alla comprensione e al  sollievo dei disagi della seconda parte della vita.

Va infatti per la maggiore che il lavoro di Jung sarebbe un  esplorare il mondo che si apre agli individui quando gli affanni giovanili sono  sopiti, quando le questioni affettive trovano quiete, quando le lotte per  l’affermazione dell’Io e la conquista di una posizione sociale lasciano il campo  a migliori capacità introspettive.

In questo scenario, che caratterizza l’aprirsi della  seconda parte della vita, comparirebbero pulsioni nuove, diverse, che in una  parola potremmo definire genericamente “spirituali”, se con questo termine  possiamo significare il complesso delle esperienze profonde, e che sono  rappresentate dall’aspirazione alla ricomposizione dei conflitti, alla  ricongiunzione degli opposti, all’individuazione dei simboli e dei miti che sono  stati l’inconsapevole motore della nostra vita, quel “tendere a …” che ci  ha sospinto e ci sospinge fino a poter dire a noi stessi che la nostra vita è  stata ben spesa e dunque “compiuta”.

Questo processo, quando si compie, è lungo una vita intera, ed  in verità nessuno ha mai specificato quando debba iniziare. La suddivisione dei  campi di ricerca in periodi della vita, è infatti un mero espediente didattico,  non fosse altro che per il fatto che la personalità non è un blocco compatto, ma  alcune parti crescono in fretta, altre lentamente e altre spesso non vedono mai  la maturità.

– CENNI SINTETICI SUL VALORE UNIVERSALE DELL’OPERA DI CARL  GUSTAV JUNG

Prima di arrivare al nocciolo di questo intervento, e cioè in  che modo l’insegnamento di Jung può alleviare il disagio dei nostri giovani,  consentitemi di aprire una breve parentesi sul valore universale dell’opera di  Jung.

Il lavoro scientifico di Jung inizia all’alba del ventesimo  secolo nell’ospedale psichiatrico di Zurigo, con studi assai originali su  pazienti schizofrenici. Fu il più brillante allievo di Freud fino al 1913,  quando sorsero insanabili divergenze scientifiche.

Si deve a Freud la fondamentale intuizione dell’esistenza di  una zona del nostro immaginario che non è sottoposta alle regole della coscienza  e che quindi sfugge alle categorie tipiche della mente cosciente quali il bene e  il male e la definizione di un prima e un dopo; definì Inconscio questa zona  colma delle rimozioni infantili, per lo più dolorose e che causarono sentimenti  di vergogna e di indegnità. In questo ambito, tipico del mondo dei Sogni, degli  Istinti e delle Emozioni, non abbiamo un diretto controllo da parte della parte  “alta” della psiche, la Coscienza, ci troviamo piuttosto nella condizione di  subirne gli influssi, talvolta in maniera problematica con lo sviluppo di  nevrosi..

Jung allargò questo concetto, definendo un ambito  che si aggiunge all’Inconscio freudiano e va oltre, trascendendo l’esperienza  personale; chiamò questa zona inesplorata Inconscio Collettivo. In questa  zona del nostro complesso mondo psichico sono “scritte” le esperienze che  l’essere umano, inteso come specie, ha compiuto fin dalla notte dei tempi. Tali  Esperienze Fondamentali dell’Umanità sono, in questa concezione junghiana,  strutturate nella psiche per diritto di specie, vale a dire che sono tipiche  dell’essere umano e di nessun altro nel creato. Al pari dei processi  filogenetici che hanno determinato l’evolversi della specie umana fino a  giungere all’ Homo Sapiens, nell’Inconscio Collettivo sarebbero  rappresentate le tappe del progresso psichico fino all’odierna complessità.

Sappiamo dallo studio dei sogni e dall’analisi  degli stati di trance che la mente umana “funziona” per immagini e  simboli, i “ragionamenti” vengono dopo, nel cervello evoluto, la corteccia,  dunque per Jung lo studio della psicologia del profondo doveva prendere le mosse  dall’osservazione dei simboli e delle immagini che l’essere umano ha creato  lungo la sua storia. Per questa ragione, lungo tutta la sua vita, Jung studiò  antichi trattati alchemici, la Mitologia classica e la storia delle Religioni,  viaggiò nei Continenti, sempre alla ricerca dei simboli di antichissime civiltà.

Ad esempio, alcune migliaia di anni or sono, ai quattro angoli  del mondo, popolazioni lontanissime e certo non in contatto fra loro,  tracciavano sulle rocce, sui monumenti funerari e sacri, sugli utensili, disegni  di forma quadrata e/o circolare (Mandala) di aspetto e contenuto  straordinariamente simile tra loro.

Il Simbolo della Croce è parecchio antecedente all’era  cristiana, e lo ritroviamo nella simbologia sacra di civiltà lontanissime tra  loro, che nulla potevano avere in comune, se non qualche elemento psichico  inconscio, appunto.

E che dire delle figure mitiche come l’Eroe, il Guerriero, la  Grande Madre, il Vecchio Saggio, il Fanciullo, il Demone, la Fata, che  ritroviamo nelle culture delle più antiche e disparate civiltà del Pianeta.  Questi miti sono patrimonio dell’Umanità, dei veri contenitori delle esperienze  profonde dell’essere Umano inteso come specie e dunque dalla sua comparsa su  questo mondo. La Mitologia Classica racconta infatti storie che ci sono  “familiari”, come la leggenda di Edipo, quella di Demetra, di Venere o di Enea,  che ritroviamo, pur con nomi e contesti diversi, nelle vicende tramandate di  antiche civiltà pellerossa, centroeuropee o asiatiche.

Straordinari sono gli studi di Jung sugli eventi sincronici  (premonizioni, veggenze e in generale tutti i fenomeni paranormali), che egli  considera un’altra dimostrazione dell’esistenza dell’Inconscio Collettivo. Le  categorie spazio-tempo sono artifici della mente, la Fisica delle nano  particelle ha infatti dimostrato che il prima e il dopo non sono valori  assoluti, ma relativi all’osservatore che, a sua volta, è soggetto a più  variabili. Senza meno l’Inconscio è slegato da queste categorie “mentali” e  allora accade che in particolari stati di abolizione della Coscienza (sogni,  stati crepuscolari, trance, ecc…) ci si possa trovare in un “qui ed ora” che non  ha inizio e fine, prima e dopo, al pari di un’immagine in un quadro e allora ci  si può parare davanti quello che chiamiamo “futuro”, ma che invero appartiene  alla dimensione senza spazio e senza tempo che tutto comprende e che rappresenta  l’Esperienza dell’Umanità, percepibile dall’Inconscio.

La conclusione cui giunge Jung è dunque che la psiche ha  compiuto un lungo percorso evolutivo comune a tutta la specie umana, al pari del  progresso della Specie dimostrato dalle scoperte evoluzionistiche di Darwin.  Jung avrebbe allora scoperto l’esistenza di una “filogenesi psichica”, comune a  tutti gli esseri umani. Esattamente come avviene per il corpo, anche la psiche  tiene traccia del percorso compiuto e Jung chiamò questa “traccia” Inconscio  Collettivo.

– IL CAMBIO DELLA WELTANSCHAUUNG COME  SOLUZIONE AL DISAGIO GIOVANILE

Il termine tedesco Weltanschauung, del quale di qui in avanti  dobbiamo fare uso per le ragioni che vedremo appresso, non è letteralmente  traducibile in lingua italiana poiché non esiste nel nostro vocabolario una  parola che le corrisponda appieno. Essa esprime un concetto di pura astrazione  che può essere restrittivamente tradotto con “visione del mondo” e può essere  riferito ad una persona, ad una famiglia, un gruppo o ad un popolo.

La “Weltanschauung” tende a trovare una collocazione in un  ordine generale dell’Universo comprensivo di elementi di specie, geografici,  linguistici e razziali; si tratta dunque di un concetto che trascende il singolo  e attinge al collettivo condiviso, e l’uso di questo termine nel linguaggio  italiano al posto di “visione del mondo” ha il significato di estendere il  concetto ad una dimensione sovra personale di un determinato punto di vista.

Nei suoi numerosi scritti, Jung ha fatto molto uso di questo  termine per descrivere la profonda trasformazione della Società e dei singoli  individui allorché cambia la Weltanschauung e come, al contrario, senza un  cambiamento della Weltanschauung diventi spesso impossibile ottenere una reale  soluzione alla personale sofferenza psicologica o al disagio di un popolo, con  ciò significando che spesso è salvifico riunirsi a quella parte che ha radici  collettive di appartenenza, di specie, di razza, geografiche e di religione ed  al contempo prendere le distanze dall’ego ristretto di un individuo (o dagli  stereotipi di una Società).

I giovani di questa nostra epoca hanno visto sgretolarsi, dopo  i fascismi ed i comunismi, anche i capitalismi, i partiti politici portatori di  ideali, la famiglia come nucleo solido e protettivo, il lavoro come artefice di  benessere e dispensatore di dignità e motivazioni.

Rendiamoci conto che i giovani si ritrovano fra le  mani null’altro che i cocci del nostro piccolo mondo antico. E cosa  dovrebbero allora fare i giovani? Costruire un progetto con quei cocci che a  malapena sostengono noi? Certamente no. Loro stanno infatti cambiando la  Weltanschauung, sono costretti a questo da un ineluttabile destino di crescita  che appartiene alla Specie e che certo non può arrestarsi per crisi contingenti.  E’ già accaduto nel primo e nel secondo dopoguerra e prima ancora al tempo della  Rivoluzione Industriale.

Jung ci ha insegnato che la Weltanschauung, indipendentemente  dall’accezione qualitativa, è il motore del benessere psicologico e che in  condizioni di sofferenza la Weltanschauung deve giocoforza cambiare, non si può  insomma impunemente stare in una condizione di “assenza di progetto” o di  progetto raccogliticcio, poiché, in termini psicologici profondi, questa  condizione porta spesso alla sofferenza individuale e sempre alla fragilità, al  plagio e apre la strada alle malìe dei falsi profeti e dei ciarlatani.

Per certi versi e per le ragioni fin qui esposte, la condizione  dei giovani della nostra epoca appare assolutamente non invidiabile, ma ci sono  aspetti che, come vedremo più avanti e in conclusione, possono ribaltare la  scena.

– CONCLUSIONI

In che modo l’insegnamento del grande psicologo svizzero può  aiutarci ad aiutare i giovani?

Tra di noi ci sono Insegnanti, intellettuali e  Professionisti d’Aiuto, religiosi e laici, inutile dire che tutti siamo chiamati  ad impedire che interessi di parte cavalchino il disagio giovanile. E forse  questo è tutto quanto sia possibile fare. Intendo dire che secondo il punto di  vista espresso qui oggi, il progetto evolutivo delle coscienze ‘cammina’ da  solo. Gli educatori laici accompagneranno i giovani nei territori del sovra  personale, poiché, per dirla con Jung, è là che incontriamo il Sé, vale a  dire la regione più grande ed inespressa di noi. Il sovra personale è cosa ben  diversa dal soprannaturale, che lasceremo ai  confessionalisti.

Dal punto di vista della Conoscenza appare più  opportuno ritenere che non ci possa essere nulla di realmente piccolo che ci  riguardi, tenteremo infatti di far comprendere ai giovani che siamo parte di un  grande progetto di Specie, quella Umana, che è portatore di quel destino  ineluttabile di crescita cui abbiamo accennato poco fa.

Le esperienze fondamentali dell’Umanità sono tutte dentro di  noi e con esse anche le soluzioni ai problemi. A questo proposito giova  ricordare a noi stessi ed ai giovani che ci sono problemi che per loro natura  non possono essere risolti, ma solamente superati, grazie a passi evolutivi  della Coscienza, fino al passetto fondamentale che consente la visione di un  orizzonte più ampio, oltre il muro.

L’ Inconscio Collettivo ha contenuti di infinita  saggezza perchè sono il ‘distillato’ delle esperienze fondamentali dell’umanità.  Ci sono scienziati che hanno dimostrato che ognuno di noi è portatore di una  summa filogenetica, un lungo cammino fatto, e dunque nessuno è tanto  piccolo da ‘meritare’ l’incoscienza, di rimanere cioè tagliato fuori dal  progetto.

La mia opinione è che la  Weltanschauung* che davvero  farà fare un passo in avanti alle nuove generazioni e all’Umanità in generale,  passa per l’abbraccio fra l’infinitamente intimo e l’infinitamente condiviso,  fra gli opposti che tutto comprendono e che sono già un intero nella nostra  natura. Se i giovani faranno un passo verso questa ‘visione del mondo’, e  sono certo che lo stanno facendo,  spingeranno il piccolo mondo antico della nostra generazione fino al Medio Evo e sarà davvero l’inizio del Terzo  Millennio.

Se ascoltiamo attentamente come ci raccontano il  mondo i più avanzati fra i giovani di oggi, c’è da stupirsi. Solo pochi secoli  fa certe intuizioni erano appannaggio esclusivo di Santi e Profeti. Oggi se ne  parla all’uscita di un cinema o davanti ad un boccale di birra. E’ la nuova  Weltanschauung che si affaccia. Il cammino filogenetico dell’essere umano non  riguarda solo l’aver assunto la stazione eretta ed essere divenuto Homo  Sapiens, ma l’aver continuamente cambiato la  Weltanschauung.

Da questo punto di vista si intravede un altro modo di aiutare  i nostri giovani: riconoscendo loro questo ruolo fondamentale e lasciando loro  la scelta di cosa “mettere in valigia” dei nostri cocci e soprattutto smettendo  di giudicare con metri di misura che sono oramai inservibili in quanto spesso  addirittura incomprensibili. Grazie per l’attenzione.

Bibliografia: Carl Gustav Jung –  Opere (Boringheri 1983 vol. 1 – 19)

Carl Gustav Jung – Ricordi, Sogni,  Riflessioni  (BUR 1981)

Massa Acritica


Il concetto di ‘massa critica’ è stato funzionale a politiche di ogni colore. La conquista del consenso di una massa rende dunque una idea qualsiasi una grande idea. Un cervello, anche becero, quando abbia carisma e affabulazione e momento storico favorevole, può partorire qualunque porcheria con speranza di successo. E qua entra in gioco quell’altro fattore, il tanto detto e scritto ‘popolino bue’, vale a dire quell’azzeramento dell’intelligenza che ha luogo quando il singolo si riconosce in una massa, diversamente ritenendo di essere uno zero spaccato. Massa Acritica dunque. Questo non è l’Elogio dell’Individualismo, ma l’Elogio della Coscienza, che non è mai un fatto colletivo, per definizione, persino quando si vagheggia di ‘coscienza di un popolo’, cosa che non esiste in natura. Nessun leader, per quanto raffinato, ci dirà mai le cose come stanno, poichè la sua stessa posizione di leader è figlia di una non casuale operazione di ‘selezione’ fra le cose. Diventiamo allora ‘popolino bue’ nel momento stesso che riconosciamo autorità di leader a qualcuno, eleggendo la sua coscienza a rappresentare la nostra. L’ipnosi consiste nel pensarci in uno stato di coscienza avanzata poichè ci riconosciamo in un leader, ma è il momento esatto in cui la coscienza individuale si è fermata per abbracciare la ‘comoda’ via già spianata. Un ‘riconoscerci’ fallace. Questo vale a mio avviso per parole, idee e azioni. Le scorciatoie di massa sugli stadi evolutivi della coscienza dei singoli non esistono. La prova provata ce l’abbiamo sotto agli occhi in ogni momento: milioni di persone hanno acclamato beato e santo subito persone che hanno affermato cose raccapriccianti, se solo le avessero sentite dire da un loro collega di ufficio. I leader, tutti, sono pericolosi, sono il sonno della ragione. Prendiamone uno a caso, scaviamo sotto la sua fama, andiamogli di dietro un momento e vedremo chiaro il marcio. Io non sono riuscito a trovare eccezioni…e non perchè cercavo l’Uomo perfetto, ma perchè ho trovato masse idiote, acritiche, che hanno svenduto intelligenza e coscienza per potersi inginocchiare davanti ad un altare qualsiasi. O vogliamo qua ammettere che esistono in natura masse ‘buone’ e masse ‘cattive’? NO, le masse sono sempre le stesse, singoli ‘idiotizzati’, che possono indifferentemente applaudire a Hitler o al Che, o al papa. Talvolta nella Storia abbiamo visto addirittura sovrapposizioni di tempi, senza vergogna…tutti fascisti, e poi tutti comunisti e poi tutti cattolici che manco si preoccupano alla notizia di una partoriente vergine… e poi tutti leghisti, berlusconiani, anarchici, black block….ma quanti sono gli italiani, 300 milioni? NO, sono sempre gli stessi che in due generazioni o tre sono tutto e il contrario di tutto. Dunque non parlatemi di ‘idee’, di ‘leader’, di ‘masse’, di ‘partiti’, di ‘santi’ e di ‘puttane’. Le masse non evolvono…si TRASFORMANO, come gli attori su un palcoscenico, l’Evoluzione attiene ai singoli, solo ai singoli, in battaglie dolorose e spesso solitarie o con pochi ‘affini’, senza leader o dèi o santi, altro che gioiose o incazzate ‘macchine da guerra’…buffonate per coloro che hanno più bisogno di credere che capire.

[Carlo Anibaldi alias Cloro Alclero – 2011]

MARAVILLA!


La Natura non ci tradisce mai e a guardarla senza chiedere ci dà tutto, ogni volta come fosse la prima, ogni volta come fosse l’ultima. Non c’è un prima e un dopo…solo Lei sì dà tutta e tutta insieme, regalando bellezza, potenza, dolcezza ed ebbrezza. Con Lei non sei mai solo, con Lei non sei mai triste, con Lei sola vivi la pienezza del tuo essere e non hai nulla da chiedere poiché sei ‘tutto’ insieme a Lei. Davanti e insieme a Lei comprendi in un attimo che non puoi fiorire per sempre e che dopo aver dato fiori e frutti puoi tornare alla Terra senza piangere, senza dolore, senza rimpianti. Essere parte di Essa è il più gran privilegio che abbiamo e che avremo a considerare e dunque offendere la Natura nei mille modi che sappiamo è la più idiota delle nostre performance in questo breve cammino insieme a Lei, poiché noi ce ne andremo più poveri di quanto siamo arrivati e Lei continuerà a farsi bella e generosa per sempre e per tutti, nonostante l’ insignificante ignoranza di alcuni.   Carlo Anibaldi  [vedi in HD 720p allargando in full screen]

NAKED


MARIJA


Il Principio di Archimede


“Ogni corpo immerso in un fluido riceve una spinta verticale dal basso verso l’alto, uguale per intensità al peso del volume del fluido spostato”. Il mondo fisico, da che abbiamo cominciato a osservarlo, ci dà certezze, leggi, regole, tutte ripetibili e dunque affidabili. Quel corpo immerso nel fluido si comporterà così per l’eternità e allora non c’è nulla di fatale o sorprendente o incomprensibile nei fenomeni che rispondono a quella legge, e, almeno per quel pezzo della nostra osservazione, siamo sereni che tanto abbiamo capito una volta per tutte. Questo all’uomo moderno accade per mille e mille altre osservazioni quotidiane, che non  sorprendono né spaventano più. Si potrebbe perfino dire che tutta la ricerca scientifica è volta a tranquillizzarci sul fatto che nell’intorno è zeppo di regole e dunque siamo al riparo da sorprese e perfino servircene per stare meglio. Non è cosa marginale questa, poichè da un certo punto in poi, nella nostra storia, abbiamo smesso di credere a cose indeterminate e misteriche come il fato, il destino, la buona sorte e mille altri antidoti alle nostre paure profonde, personali e collettive; abbiamo anche smesso di pregare, adorare, idolatrare, mitizzare, simboleggiare.

Nella vita quotidiana di noi ‘avanzati’ tutto questo può tradursi nella ricerca della ‘regola’ in ogni cosa, nell’intorno e nell’interno.  La conseguenza più evidente e vicina a noi è il continuo rifiuto di stati d’animo e modi di essere che non siano fruibili nell’immediato come generatori di benessere e allora anche gli stati dell’animo sono ‘malattie’ da curare con milioni di pillole, compresse, punture e dottori dell’anima. E’ stata ridotta a malattia anche la morte, che era vera almeno quanto l’inizio della vita, ma che porta con sé troppe indeterminatezze sul ‘dopo’, nessuna certezza sul controllo delle conseguenze per chi resta e anzi gli fa porre troppe domande sul senso della vita stessa.

Altra conseguenza di questo ‘illuminismo’ di ritorno è la diffusa necessità di certezze rassicuranti sulle questioni sociali e scelte personali di vita. Sono state create ‘regole di vita’, per lo più attraverso leggi, regolamenti, tradizioni, religioni monoteistiche e convenzioni, tendenti quasi a rispondere a leggi di causa-effetto come accade nella natura dei fenomeni fisici. E siamo allora tutti più sereni, in particolare chi ha interessi in gioco, ma, sorprendentemente, anche chi non ne ha.

E dunque accade che si affermino nel tempo principi bizzarri di deviazione dalle regole  come male assoluto per sé e la società. Questo è bene, quest’altro è male, che se non ti conduce in galera, ti condurrà almeno all’Inferno dell’anima e al disfacimento del corpo.  Se dunque dar fuoco a un bancomat è decisamente male, bizzarramente non lo è affamare intere popolazioni con politiche economiche globalizzanti. Si è arrivati a questo attraverso leggi, regolamenti, prediche, in chiesa e nei telegiornali, tali da definire una specie di ‘comune senso’…… ma in realtà non c’è in natura un fenomeno buono e uno cattivo…quando il fulmine incendia  la foresta è causa-effetto e tutti lo comprendono, se invece picchio un politico corrotto interviene una legge che mi dice che no, non si fa. Dunque un ‘illuminismo di saccoccia’, una cosa cialtrona insomma.

In definitiva una cosa chiara al pari del Principio di Archimede che definisca le nostre scelte per attributi qualitativi o di merito e demerito non esiste nella nostra umana natura, nonostante gli sforzi di quasi tutti per affermarlo e crederci perfino. Il bene e il male sono ‘invenzioni’ teologiche e talvolta riflessioni filosifiche, ma la natura non li riconosce come tali, qualitativamente parlando, riconosce infatti solo le emozioni, che sono soggettive e senza qualità per definizione…c’è infatti chi prova piacere e emozione positiva nel masochismo e chi decisamente no…..tant’è che mai nei sogni, produzione non mediata della mente, appare questa delineazione qualitativa, ma solo nelle interpretazioni degli stessi. La Libertà è prima di tutto sentire questo e se non sentiamo questo possiamo scrivere questa parola all’infinito, ma è solo retorica che non può affrancarci, poichè quella libertà là, di sentirci liberi piuttosto che esserlo, ce ne daranno sempre a piene mani, poichè non costa nulla.

[Carlo Anibaldi – ottobre 2011]

MARLENE by Jaramillo – Anibaldi Collection


“Don’t Try” Henry Charles Bukowsky Story – Jaramillo-Anibaldi Video Collection


LA LORO ORA PIU’ BELLA


Qualche anno fa, sfogliando un vecchio album di fotografie ingiallite che si trova da sempre a casa dei miei genitori, mi soffermai sulle espressioni dei volti delle persone cui era stato colto quell’attimo delle loro vite.
Alcuni  erano volti  conosciuti, altri no, e per la maggior parte, credo, erano raffigurate  persone  oramai non più tra noi vivi.
Guardare quei filmati dell’inizio del secolo scorso o delle vecchie fotografie  mi ha sempre affascinato, e una delle ragioni di questo interesse l’ho compresa quel giorno, davanti a quell’album.
Nel guardare quei visi cercavo di carpirne il loro grande segreto: sapevano che la loro ora più bella era oramai alle loro spalle o pensavano di doverla ancora vivere?
Ero insomma quasi ossessionato da questo impalpabile sbarramento che divideva drammaticamente in due la vita di tutti : ed eccomi, di volta in volta, cogliere negli occhi della gente quel sottile velo di rassegnazione che l’accompagnerà per il resto della vita.
Vite oramai segnate dall’aver riconosciuto, in un fugace attimo di un brutto giorno, l’ora più bella passare ed allontanarsi alle loro spalle.
Altre volte vedevo chiaramente espressa nei volti la baldanza della gioventù e negli occhi la certezza di andare incontro all’ora più bella : perché tanta fretta, mi dicevo con leopardiana preoccupazione.
Questo modo di vedere non mi dava pace perché la migliore delle ipotesi, in questo teorema, era costituita da una specie di stoltezza che impedisse  di riconoscere, nell’arco della propria vita, che ora fosse.
Un bel giorno, finalmente, fui preso a  braccetto, da una persona molto, molto anziana, che vive dentro di me da molto, molto prima di me, un vecchio saggio, direi, che talvolta mi viene a trovare e, purtroppo, spesso si allontana.
Con fare molto semplice, allorchè gli spiegai il mio problema, mi disse : “ L’ora più bella è adesso, mai come adesso ! ”
E’ proprio vero che talvolta la soluzione di un problema è talmente a portata di mano da non poterci credere, e allora si cerca lontano, lontano, lontano, fino a perder la strada del ritorno ….a se stessi, alle proprie immense possibilità di gestire un qui ed ora che è grande una vita intera e anche di più !
Da allora sono più rilassato quando guardo le vecchie fotografie, che pur continuano ad affascinarmi….
Per aiutarmi, nella vita di tutti i giorni, a  rafforzare questa importante presa di coscienza , mi aiuta un aforisma Zen che narra di un discepolo che si presenta al Maestro con il seguente grande problema : “ Maestro, da molti anni seguo i Tuoi insegnamenti, ho cercato in ogni modo di mettere i miei passi sui Tuoi passi, della Tua saggezza ho fatto la mia religione… ma ora sono confuso, indicami la Via che ho di fronte, guida i miei passi nel mondo ……”.
Il Maestro guardò le mani del discepolo che stringevano una ciotola e disse :
Hai finito il tuo riso. Dunque lava la tua ciotola.”
Questo semplice racconto contiene un potente richiamo a ciò che possiamo, credo, definire la summa di tutte le filosofie e dottrine : la vita di noi tutti e fatta del qui ed ora, lo sanno bene i bambini e molte persone anziane, ma nel corso dell’esistenza siamo per lo più proiettati in avanti dalle aspettative o ricacciati indietro dalle difficoltà di affermazione dell’Io, e, per lo più,  ci capita di assaporare fugacemente il gusto della vita intanto che  siamo indaffarati a fare qualcos’altro.
Non dovremmo insomma lasciare che gli affanni della prima parte della vita (affermazione dell’Io, conquista della posizione sociale, instabilità affettiva, coazioni infantili) ci prendano la vita intera, svuotandola di significati, che certo sono tutti nel qui ed ora, non nei progetti o nei rimpianti, che sono giochi della mente.

(Carlo Anibaldi)

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