
Dedico questo articolo alle migliaia di medici e chirurghi che in Italia si occupano quotidianamente della Medicina del NO. Si tratta di Medici del NO* che, nel Servizio Sanitario trattano i Pazienti del NO. Lo scrivente è un medico del NO, nemmeno fra i più meritevoli di attenzione, ma certamente osservatore attento della realtà.
Come è noto, l’intero impianto della sanità pubblica fonda sulla antica suddivisione in branche di diretta derivazione dai trattati dei padri della medicina. Da un po’ di anni, con percentuali variabili di insuccessi e libere interpretazioni, s’è introdotto il concetto di Dipartimento, con l’intento di ridurre la parcellizzazione, virtuale ma di fatto sostanziale, dei portatori di patologie che afferiscono ai servizi di diagnosi e cura e dei finanziamenti ad essi affluenti. Intento lodevole che si è scontrato, e per lo più infranto, con una cultura di settore particolarmente radicata in Italia. Infatti, la politica dichiarata del paziente/utente al centro del Servizio Sanitario è sostanzialmente tradita dal fatto che al centro si trova semmai la sua patologia, poiché è intorno a quella e non intorno all’utente, che è stato creato un centro di potere. In sanità pubblica centro di potere significa luogo ben definito dove afferiscono finanziamenti e tutto quanto consegue in termini di efficienza, eccellenza, carriere.
A farla breve, di fatto abbiamo divisioni ermetiche di urologia dove medici urologi gestiscono i pazienti urologici; divisioni di ematologia dove medici ematologi gestiscono pazienti ematologici; divisioni di nefrologia dove medici nefrologi gestiscono pazienti nefrologici e così continuando per tutto il trattato di Patologia Speciale Medica e Chirurgica. Tutti perseguono l’eccellenza nella loro branca di attività perché è giusto così, perché questo chiedono le istituzioni preposte all’accreditamento, perché solo gli accreditati otterranno i soldi per crescere, per pubblicare, per, in una parola, avere credito. Il credito ottenuto nel servizio pubblico con danaro pubblico, consente a molti professionisti di pretendere e ottenere parcelle californiane nell’attività rivolta al numeroso pubblico che può permettersi di pagarle. Fin qui tutto bene, non ho pregiudiziali verso l’economia di mercato. Il problema si va però a costituire indipendentemente dall’orientamento socio-politico dell’osservatore, semplicemente per il fatto che per tenere con pervicacia in piedi questi centri di potere, vanno puntualmente alle ortiche tutti i progetti per rimettere al centro del SSN il paziente piuttosto che il suo medico, il suo Ospedale, il politico di riferimento. Perché, si sa, il paziente è indisciplinato, non ci sta a farsi etichettare come un capitolo di trattazione trascritto sull’arco di una porta. Come al solito in Italia abbiamo importato buone scatole (i dipartimenti, nel nostro caso, ma gli esempi calzanti sono una moltitudine) da sistemi anglosassoni avanzati, ma le abbiamo riempite dei soliti contenuti clientelari, sudditali, autoreferenziali, come solo noi sappiamo fare, con l’aria cioè di far ben bene, con tanto di taglio del nastro e le TV, cose altrove impresentabili. Siamo riusciti a stravolgere la lettera e lo spirito di tutte le buone leggi che pur sono state talvolta fatte. Salvo lodevoli eccezioni, anche in Sanità, come in altri ambiti, ogni nuovo amministratore che arriva alla sua nuova scrivania finisce per favorire gli amici e gli amici degli amici che lo hanno aiutato nella sua piccola impresa di scalatore e allora ecco che una struttura sanitaria può diventare un’offesa all’intelligenza, una specie di mostro con le gambe corte e le braccia lunghe, ma in definitiva non serve che corra…….
Dopo questa premessa che traccia le linee attraverso cui si è andata nel tempo a creare la Medicina del NO, i Medici del NO e, cosa più penosa, i Pazienti del NO, andiamo ora a guardare da vicino questa madre snaturata, la politica del NO.
Il processo aziendale di produzione di salute, come viene illustrato dagli algoritmi di importazione anglosassone, appare efficiente, economico ed efficace. L’ outcome dell’azienda vede il paziente/utente risanato esprimere alti livelli di soddisfazione e la spesa diminuire grazie al taglio delle inefficienze e la correzione virtuosa degli errori che emergono dalle analisi del processo.
Ho cercato di approfondire la questione poiché non mi tornano i conti, né in termini di soddisfazione percepita, né in termini di razionalizzazione della spesa. Presto mi sono reso conto che nello sviluppo di questi processi di ammodernamento e nell’operatività degli stessi, quasi non si faceva cenno, in letteratura e nella prassi, a quella che è la parte insopprimibile di ogni processo: la produzione di scorie.
Permettetemi a questo punto una divagazione un po’ forte. Mi serve per argomentare in maniera chiara il concetto di scorie del processo allorché questo abbia un outcome non propriamente materiale come una lavatrice o tubi di ghisa. Come spesso accade, la chiarezza è maggiore se nella dialettica si fa uso dei contrari. Il contrario esatto di produzione di salute è la produzione di morte. Disgraziatamente la Storia ci mette a disposizione una formidabile azienda di produzione della morte: l’Olocausto perpetrato nei campi di sterminio nazisti. Il disegno politico venne messo a punto nella Conferenza di Wannsee, l’operatività affidata ai campi della morte, Auschwitz il più efficiente ed efficace tra questi. In questa sede non consideriamo gli aspetti orribili e disumani di questo progetto, ma freddamente, se possibile, l’ outcome del processo. Ancora due anni di guerra e l’obbiettivo criminale di far sparire dall’Europa gli ebrei, gli zingari, ecc… sarebbe stato centrato, dunque un processo efficace in termini di pulizia etnica, dove l’ outcome sarebbe stato un’Europa ariana. Ma i nazisti si trovarono di fronte il problema dell’enorme produzione di cadaveri e dello smaltimento di queste scorie del processo produttivo di pulizia etnica . Allo scopo di non infiacchire psicologicamente il soldato tedesco, che anzi doveva ritenersi impegnato in un “alto” compito di preservazione della razza, questo sporco lavoro di smaltimento (spoliazione dei cadaveri, trasporto nei forni e dispersione delle ceneri) venne affidato ad un corpo creato ad hoc: il Sonderkommand, costituito da internati.
Nel progetto efficientistico di produzione di salute, concepito in maniera di fatto settoriale per le ragioni che abbiamo visto, non si è tenuto in sufficiente conto, in termini anche solo numerici, dei pazienti polipatologia, quelli la cui diagnosi la scrivi in non meno di tre righe dattiloscritte, di quelli ultraottantenni che non guariscono e non muoiono, anch’essi in crescita e di quelli che, pur avendo avuto accesso a moderne terapie, hanno sì conservato la vita ma non riacquisito la salute. Nel processo di produzione della salute, che vede al centro le eccellenze parrocchiali invece dei pazienti, tutti questi soggetti vanno a costituire le ingombranti scorie del processo stesso. La gestione delle “scorie” non è affidata agli Eccellenti, che così perderebbero la qualifica, ma ai soggetti della Medicina del NO: no rispetto, no soldi, no speranza, no salute, no carriera.
Conosco personalmente parecchi Medici con la M maiuscola cui la politica e, a scendere, l’azienda che ne è emanazione, non ha affidato altro incarico che quello di spalare la cenere in silenzio, fino alla pensione. Professionisti esperti e menti brillanti che abili mani rubate alla terra hanno avuto il potere di relegare a Sonderkommando di questa patacca che sono la maggioranza delle nostre attuali Aziende sanitarie.
E che dire dei Pazienti del NO, cui spettano finanziamenti minimi, medici profondamente offesi, infermieri in cronico burn-out e locali fatiscenti? Ho visto con i miei occhi Reparti di Medicina per acuti senza ossimetro e senza defibrillatore, senza condizionamento nelle estati torride e senza pannoloni, senza infermieri sufficienti e senza medici sufficienti, senza vera informatizzazione, senza vere motivazioni a migliorare una qualità percepita di napoleonica memoria.
Dopo questa diagnosi impietosa viene da sé che la soluzione passa per una visione olistica del paziente e dunque la creazione di veri Dipartimenti, dove la gestione non viene fatta per patologia prevalente, ma relativamente al paziente nella sua globalità. Questo fortunato paziente sarebbe ricoverato nel Dipartimento e seguito nel suo iter diagnostico-terapeutico da un pool interdisciplinare di medici che, in virtù delle loro peculiari specificità, possono affrontare ogni tipo di situazione. Questa soluzione, ampiamente praticata in Europa, qui da noi somiglia ad una bestemmia in chiesa e come tale osteggiata. La ragione è semplice quanto misera: il vero Dipartimento cui mi riferisco non avrebbe 13 primari, ma uno, il capo-dipartimento. I finanziamenti andrebbero al Dipartimento e non ai 13 caporali in cerca di visibilità.
Queste semplici osservazioni sono ovviamente da anni sulle scrivanie dei caposezione di vari ministeri, perché sono le scatole importate da Paesi avanzati e non è stato possibile ignorarle. Ma i soliti furbi sono al lavoro e stanno trovando la via di fuga dal progresso delle idee. Progetti che non trovano dunque vera attuazione per ragioni “politiche”. Al contrario, vengono tutt’oggi spesi milioni di euro per costruire parrocchiette all’ombra di S. Pietro. Dato però che i milioni di euro vanno razionalizzati perché non ce n’è un’infinità, vengono lentamente chiusi i rubinetti su alcune realtà ospedaliere, che pur avrebbero avuto un futuro, per farle morire, ma lentamente, altrimenti il cittadino-utente-votante se ne accorge che gli hanno scippato l’ospedale, invece di renderlo efficiente.
Talvolta sono ottimista e penso che questa situazione di ritardo culturale somiglia un po’ a quella che doveva apparire ai tempi della cosiddetta Belle Epoque: intanto che alcuni continuavano ad aggiungere cavalli al tiro della carrozza, altri avevano compreso che il progresso vero era stato l’invenzione della macchina a vapore. Un momento di transizione dunque. Più spesso sono pessimista e vedo che nelle altre democrazie avanzate il futuro è oggi, ma non bisogna smettere di sperare, perché la Storia insegna che in ogni processo evolutivo non c’è modo di stare fermi, o si va avanti o si rimane travolti. Che fine hanno fatto quelli che ancora agli inizi del ‘900 sostenevano che il lavoro minorile nelle miniere era un caposaldo insostituibile dell’economia? E quelli che sostenevano che dare uno stipendio ai neri avrebbe provocato il caos? O, più semplicemente, quelli che “il bucato a mano è meglio, la lavatrice è un bluff” ?
Carlo Anibaldi (Medico Internista Ospedaliero)
*Nota a margine. I medici del Sì sono invece i reumatologi, dentisti, ginecologi, dietologi, croceristi e compagnia bella, vale a dire tutti coloro che ‘curano’ persone che fondamentalmente stanno bene o migliorano con 4 farmaci ben collaudati. Questi fortunati o furbi professionisti hanno abbracciato la Medicina del SI’, sì ai soldi, sì al successo, sì alla carriera, sì alla gratitudine dei pazienti, che quasi mai muoiono e quasi sempre migliorano, generalmente con 4 chiacchiere, un po’ di cortisone o un anti nausea e quasi sempre un ansiolitico che lo leghi per sempre al suo dottore. Se rinasco farò il medico in forza alla Costa Crociere, ovvio.
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